Bonacina
Small Giants

Rispetto della tradizione, welfare e spirito innovativo: il segreto del design made in Italy secondo Elia Bonacina

Articolo tratto dall’allegato Small Giants del numero di dicembre 2022 di Forbes Italia. Abbonati!

Accade sempre più raramente di poter raccontare realtà produttive che hanno attraversato la storia italiana. Quando capita, però, si incontra la meraviglia. È il caso di Bonacina 1889, azienda brianzola di Lurago d’Erba specializzata nella produzione di mobili in giunco e midollino (rattan, in inglese). La sua storia, come suggerisce il nome, affonda le radici nel 19esimo secolo per svilupparsi lungo tutto il Novecento, intrecciandosi con quelle delle grandi famiglie di industriali, dagli Agnelli ai Thyssen, per giungere ai giorni nostri. Un concentrato di visione e lungimiranza che oggi trova in Elia Bonacina, quarta generazione e ceo dell’azienda, il suo erede.

L’ascesa del marchio, dalle gerle brianzole ai primi mobili in rattan

Studi in architettura d’interni e vocazione per la finanza, a soli 31 anni ha già ben chiaro quali debbano essere le traiettorie del made in Italy nel design. “Perché il rattan in Brianza? Il mio bisnonno Giovanni frequentò una delle prime università di Economia e commercio a Milano. Fu un suo compagno olandese, durante un roadshow di materie prime provenienti dall’Indonesia, a fargli scoprire il giunco e il midollino. Pensando alle gerle dei contadini brianzoli, ne acquistò una grossa quantità e iniziò a intrecciare ceste e cestini. Gli fu subito chiaro che usando il giunco erano molto più resistenti”, racconta Elia Bonacina. Pochi sanno, infatti, che il rattan è un legno massello. Dalle gerle alla prima collezione di mobili il passo fu breve: Bonacina iniziò ad arredare le case in Brianza dell’alta borghesia milanese, arrivando a produrre mobili per le dimore della nobiltà internazionale. 

Una crescita che non si arrestò neanche durante la Seconda guerra mondiale, quando a essere prodotte erano ceste porta munizioni e stuoie per i carri armati, per culminare durante il boom economico e la nascita del grande design italiano. “Frequentando il Politecnico di Milano, mio nonno Vittorio conobbe progettisti come Gio Ponti, Franco Albini, Marco Zanuso: cenavano a casa nostra e andavano in laboratorio a sperimentare con gli artigiani, provando forme, storie e idee. Proprio qui nacquero alcune icone del design come le sedute Gala e Margherita, oggi esposte nei più importanti musei del mondo”. Realizzati a mano da artigiani specializzati, gli arredi Bonacina entrarono nelle case di Gianni e Marella Agnelli, dei Mondadori, dei Thyssen e addirittura furono scelti in due occasioni per l’arredo della Casa Bianca.

La poltrona Nastro di Joe Colombo, realizzata nel 1964

L’ingresso di Elia Bonacina a 21 anni: “Era un periodi di crisi dell’industria italiana”

“Negli anni ’90 mia mamma Antonia ebbe l’idea di creare un catalogo con i prodotti realizzati per le grandi famiglie dell’industria. Fu un ulteriore boost: in tutto il mondo gli Agnelli sono un simbolo di stile, classe, italianità”. Quando Elia Bonacina entra in azienda, nel 2012, a soli 21 anni, non è un momento facile: “Era un periodo di forte crisi dell’industria italiana. Come amministratore delegato ho subito acquisito il marchio Pierantonio Bonacina, nato da un altro ramo della famiglia, e ho ristrutturato il business. Ho eliminato i rivenditori e assunto sales manager interni che avessero contatti diretti con architetti e designer. Poi ho voluto dimostrare che l’artigianato, contrariamente a quello che ripetevano tutti, non era morto, anzi. E che avrei trovato giovani artigiani di talento. Ho contattato i più grandi recruiter e ho detto loro di chiamarmi soltanto quando, ogni mille ragazzi che vedevano, ne trovavano uno con quella luce negli occhi, quella passione”. 

E così, oggi, l’età media dei dipendenti Bonacina è di 30 anni. “I nostri artigiani sono giovanissimi e appassionati: si va dallo scultore che per i casi della vita era finito nella metalmeccanica fino al grande violinista, passando per le ex studentesse di garden design amanti della natura che nell’intreccio hanno trovato la loro dimensione. L’artigianato è arte, e loro lo dimostrano quotidianamente. Ogni anno inseriamo due o tre nuove figure in produzione con l’idea di portarle fino alla pensione, proprio come hanno fatto mio papà e mio nonno. È vero, il mercato del lavoro oggi è diverso, ma io cerco persone per la vita”.

La gestione illuminata: “Tutti andiamo nella stessa direzione”

Una gestione illuminata, che è espressione di una concezione di management in cui non esistono gerarchie. “Ogni anno leggo il bilancio aziendale con tutti i dipendenti, anche per abbattere quello stereotipo del sciur padrun che c’è in Italia. Lo faccio per far capire quanto rischia Bonacina, quanto investe. Poi diamo premi di produzione, abbiamo un ristorante interno con prodotti biologici e aree ricreative per la produzione, verso Natale facciamo una tavolata da cento posti nel nostro capannone. Il risultato? Tutti corriamo nella stessa direzione”. Una corsa che ha consentito all’azienda di crescere, dal 2012 a oggi, con una media del 30% all’anno. Il 2022 si chiuderà con un fatturato di 7,5 milioni, in aumento del 25% rispetto all’anno precedente, esportando l’85% del fatturato. 

Un percorso brillante che non era scontato per un ceo appena 31enne. Una crescita che prende vita sulla precisa volontà dei Bonacina di dare aria e spazio al nuovo. “Ho una grande fortuna: quella di essere cresciuto in una famiglia che ha riconosciuto il mio talento affidandomi le redini dell’azienda nel momento in cui, dieci anni fa, si è posto il problema di come risollevarla dalla crisi. Spero un domani di avere la stessa avvedutezza con i miei eventuali figli, comprendendo quando fare un passo indietro. Anche rischiando che sbaglino, certo. Oggi nel design sono ancora troppe le aziende in mano alle vecchie generazioni, noto che si fa fatica a scommettere seriamente sui giovani offrendo loro la libertà di inaugurare nuove rotte, di investire. Spesso accade che i figli subentrino ai padri quando magari hanno già 50 anni, una famiglia e una vita avviata. Naturale che non possano avere le energie e l’entusiasmo di un trentenne, come nemmeno quell’incoscienza necessaria a fare scelte coraggiose”.

Bonacina
Da sinistra Elia Bonacina, Elena Lazar, Andrea Tinelli e Mario Bonacina. Sedute al centro Margherita e Antonia Bonacina

Il futuro costruito sul benessere dei dipendenti

A ispirare la visione manageriale di Elia Bonacina, due figure mitologiche: “Adriano Olivetti ed Enrico Mattei. Ho studiato il loro pensiero e condivido lo sguardo orientato al futuro, l’idea di imprenditoria costruttiva, attenta ai bisogni delle persone e fondata sul benessere dei dipendenti. Erano imprenditori che credevano profondamente nel valore dell’Italia, proprio come me. Ho una forte vena patriottica: il mio desiderio è quello di dimostrare che la narrazione costruita negli ultimi decenni attorno all’Italia, quella del ‘non si può fare impresa’, dei giovani che non possono emergere e nella cui provincia ‘non nasce nulla di interessante’, non corrisponde alla realtà. A darmi ragione è l’ammirazione che trovo all’estero quando si parla di artigianato made in Italy”.

A fare il punto della storia di Bonacina è poi una novità: un museo dell’azienda che verrà inaugurato il 9 febbraio 2023 a Lurago d’Erba. “Sarà uno spazio per tutti, non solo per gli addetti ai lavori. Ospiterà il nostro archivio di 1.600 prodotti e racconterà moltissimi aneddoti incredibili, spiegando questo materiale così complesso, che viene spesso confuso col vimini o il bambù. L’idea è che rappresenti un luogo in stretto dialogo con il territorio: con la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte stiamo creando una fiaba sull’artigianalità da distribuire nelle scuole dei dintorni, poi organizzeremo dei laboratori dedicati ai bambini e andremo nelle scuole a parlare con i genitori, per far capire che quella dell’artigiano è una professione con prospettive solide”. Un’iniziativa che nasce dalla volontà di accendere l’interesse per l’artigianato nei bambini, con la convinzione che il made in Italy, per sopravvivere e fortificarsi, debba avere il coraggio di puntare sulle nuove generazioni.

L’amore per l’artigianato e per il made in Italy

“L’artigianato è stato demonizzato per lungo tempo. A volte succede che le stesse persone che si congratulano con noi per come siamo riusciti a coinvolgere i giovani spingano i loro figli verso professioni come l’avvocato o il medico perché sono ‘più sicure’. La conseguenza di tutto ciò? Migliaia di mancati artigiani infelici per tutta Italia. Persone che avrebbero potuto diventare veri artisti ma che sono stati indirizzati altrove, lontano. Mi capita di fare colloqui ad alcuni quarantenni che finalmente hanno capito qual è la loro vera passione e che vogliono iniziare a lavorare con le mani, a creare”. 

Un amore, quello per l’artigianalità e il made in Italy, che ha sempre tenuto Elia Bonacina saldo alle sue radici e resistente alle numerose tentazioni. “Ho ricevuto alcune offerte di acquisto dai più grandi fondi del design ma ho sempre rifiutato, provocando lo sconcerto del mio commercialista”, afferma scherzando. “La strategia del fondo è quella di creare una massa critica per quotarsi in borsa. Non è impensabile, quindi, che un domani diventi proprietario un imprenditore cinese o indiano e che decida di spostare la produzione altrove. Questo è il motivo per cui non venderò mai. Tutti i più grandi business in Italia sono stati creati dalle famiglie. Basti pensare a Ferrero oppure a Luxottica. Purtroppo, o per fortuna, le aziende italiane funzionano con gli italiani. È questo che molti faticano a comprendere”.

 

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