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Continua il fenomeno delle grandi dimissioni: in Italia il 25% dei lavoratori pronto a cambiare occupazione entro un anno

Nonostante il rallentamento graduale dell’economia globale, il fenomeno delle grandi dimissioni non accenna a fermarsi. In Italia il 25% dei lavoratori è pronto a cambiare lavoro entro un anno, mentre il 51% è pienamente soddisfatto della propria occupazione.

Sono alcuni dei dati emersi dell’indagine di PwC Hopes and Fears Global Workforce Survey, che ha analizzato gli atteggiamenti e i comportamenti di quasi 54mila lavoratori in 46 paesi. A livello mondiale il 26% dei dipendenti (rispetto al 19% del 2022) afferma di voler cambiare lavoro nei prossimi 12 mesi.

Tra i lavoratori che hanno dichiarato di essere più propensi a cambiare attività, il 44% si sente oberato, il 38% fatica a pagare le bollette ogni mese, mentre il 35% fa parte della Gen Z.

Il fenomeno delle grandi dimissioni in Italia

In Italia si registrano percentuali analoghe, con il 25% degli intervistati che dichiara di voler cambiare lavoro entro 12 mesi. Una quota che aumenta tra le giovani generazioni, con il 37% della Gen Z e il 32% dei millennial.

Tra i fattori determinanti risultano la cultura, la mission aziendale e le policy di inclusione. A livello mondiale, il 47% degli intervistati inclini a cambiare dichiara di trovare il proprio lavoro appagante, mentre la soddisfazione sale al 57% facendo la stessa domanda a chi non ha intenzione di dimettersi.

Fra i più inclini alle dimissioni, il 51% afferma di poter essere sé stesso sul luogo di lavoro, contro il 59% registrato nella fascia di dipendenti non intenzionati a cambiare occupazione.

In Italia, scende al 51% la percentuale di soddisfazione professionale fra chi non è incline a dimettersi, mostrando una più netta mancanza di sensemaking dell’esperienza lavorativa.

L’incertezza macroeconomica incide sulla richiesta di aumenti salariali

Il raffreddamento dell’economia e l’inflazione continuano a incidere su portafogli e capacità di spesa. Solo il 38% della forza lavoro dichiara di riuscire a risparmiare a fine mese (rispetto al 47% registrato nel 2022).

I lavoratori sentono il bisogno di trovare una seconda occupazione: uno su cinque (21%) svolge più professioni e, fra questi, il 69% lo fa perché ha bisogno di un reddito aggiuntivo. Una percentuale che sale se si considerano la generazione Z (30%) e le minoranze etniche (28%).

La situazione economica traina la richiesta di aumenti salariali: i lavoratori intenzionati a chiedere un aumento rappresentano il 42% degli intervistati (rispetto al 35% del 2022), e raggiunge il 46% se si restringe il perimetro ai lavoratori con difficoltà finanziarie.

“La forza lavoro mondiale è divisa in due: coloro che possiedono competenze preziose, ben posizionati per continuare il loro percorso formativo, e coloro che non ne possiedono. Spesso chi non ha le competenze è meno sicuro finanziariamente e meno in grado di accedere alla formazione per acquisire le competenze del futuro”, ha affermato Bob Moritz, presidente di PwC Global.

“In un mondo in cui gli amministratori delegati sanno di dover trasformare le loro aziende per avere successo, emerge la necessità di combinare i vantaggi della tecnologia con un piano per sfruttare i talenti di tutti i lavoratori. Non è nell’interesse di nessuno che le aziende inseguano lo stesso gruppo di lavoratori qualificati, mentre il resto della società non progredisce”.

Difficoltà economica e scarsa formazione

I dipendenti in difficoltà economica dimostrano di essere meno preparati ad affrontare le sfide del futuro del mondo del lavoro, come l’ascesa dell’intelligenza artificiale.

Secondo l’analisi di PwC, a livello mondiale la ricerca attiva di opportunità per lo sviluppo di nuove competenze raggiunge il 62% fra i dipendenti che riescono a pagare comodamente le bollette, mentre si ferma al 50% per coloro che sono in difficoltà economica (-12%).

Allo stesso modo, i lavoratori che godono di maggiore sicurezza finanziaria sono più propensi a cercare feedback sul lavoro e a utilizzarli per migliorare le proprie prestazioni (57%) rispetto a chi è in difficoltà (45%).

Più di un terzo (37%) degli intervistati che dichiarano di stare finanziariamente meglio è convinto che l’Ia migliorerà la loro produttività, mentre è il 24% fra i lavoratori con problemi di liquidità. I dipendenti con maggiore sicurezza economica considerano l’Ia come volano per la creazione di nuove opportunità di lavoro (24% vs 19%) e sono meno inclini a pensare che possa avere un impatto negativo (13% vs 18%).

I lavoratori qualificati sono più ottimisti

Le competenze professionali condizionano la fiducia dei lavoratori e l’attitudine al cambiamento in un ambiente economico e lavorativo in rapida evoluzione. Secondo l’indagine, il 51% di intervistati nel mondo afferma che le skill richieste dal proprio lavoro cambieranno in modo significativo nei prossimi cinque anni.

La percentuale cala al 15% fra i lavoratori che non hanno una formazione specializzata. Circa due terzi dei professionisti è convinto che il proprio datore di lavoro li aiuterà a sviluppare le competenze digitali, analitiche e di collaborazione di cui avranno bisogno.

In Italia l’aumento del divario di competenze preoccupa i ceo, mentre i dipendenti non mostrano una particolare  urgenza nell’aggiornamento professionale. Solo un terzo di loro ritiene che le competenze necessarie per svolgere il proprio lavoro cambieranno in modo significativo nei prossimi 5 anni.

“I risultati emersi dalla survey, validi per l’Italia quanto a livello globale, mostrano la necessità per le aziende di agire proattivamente per rispondere alle esigenze del mondo del lavoro che sono in continua trasformazione. I lavoratori italiani sono meno pronti all’innovazione e alla trasformazione rispetto ai colleghi di altri paesi”, ha spiegato Riccardo Donelli, partner PwC Italia People Transformation.

Le pratiche di assunzione tradizionali scoraggiano i dipendenti a cambiare lavoro

Secondo l’analisi PwC, i datori di lavoro rischiano di lasciarsi sfuggire talenti preziosi a causa di approcci di assunzione e sviluppo del personale obsoleti. A livello mondiale, più di un terzo (35%) dei lavoratori con competenze specializzate afferma di aver perso opportunità di lavoro per mancanza di conoscenze.

Una percentuale analoga di intervistati (35%) afferma di possedere competenze che non emergono dal proprio cv o dalla propria storia lavorativa, a conferma di come le aziende possano trascurare dei talenti all’interno delle proprie organizzazioni.

L’indagine ha rilevato che 4 ceo su 10 pensano che la propria impresa non sarà più economicamente sostenibile fra 10 anni senza un processo di trasformazione aziendale. La forza lavoro è un po’ più ottimista nella Hopes & Fears Survey: solo il 33% degli intervistati ha questa convinzione, anche se il pessimismo sale al 40% tra le generazioni più giovani.

La fiducia nella longevità aziendale a lungo termine è determinante per trattenere i talenti ed evitarne le dimissioni: il 43% degli intervistati convinti che la propria azienda non sopravviverà al prossimo decennio sono più propensi a cambiare lavoro entro 12 mesi.

Questa percentuale scende al 12% fra i lavoratori che hanno fiducia nella longevità e capacità di resilienza dell’impresa. In Italia si riscontra un certo ottimisti: il 25% degli intervistati ritiene che la propria azienda non sopravviverà per più di 10 anni senza una trasformazione. Il dato sale al 44% tra i più giovani.

L’impatto dell’Ia è ancora in discussione

In Italia, l’impatto dell’Ia viene percepito come meno significativo rispetto alla media globale. Solo il 21% ritiene che questa tecnologia contribuirà ad aumentare la produttività e l’efficienza (a differenza del 31% a livello mondiale).

A livello globale, il 48% dei dipendenti non prevede un impatto positivo dell’Ia sulla propria carriera nei prossimi cinque anni, mentre per il 70% non inciderà sulla produttività del lavoro. Il 27% dei lavoratori invece considerano l’Ia un’opportunità per apprendere nuove competenze.

Un atteggiamento che cambia a seconda della generazione: i più giovani sono molto più propensi a pensare che l’Ia avrà un impatto sulle loro carriere, che sia in positivo e in negativo. Solo il 14% della Gen Z, infatti, pensa che questa tecnologia non avrà nessun tipo di impatto. La percentuale sale al 17% per i Millennials e al 34% per i Baby Boomers.

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