Rodolfo Falcone, country manager di Red Hat Italia
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Così Red Hat guarda al futuro con l’hybrid cloud

Articolo apparso sul numero di giugno 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

Il cloud ha avuto una forte spinta durante la pandemia. La necessità di lavorare da remoto ha dato un impulso alla realizzazione di nuove soluzioni per infrastrutture e piattaforme applicative. Un fenomeno che, anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria, è destinato a consolidarsi, anche se le aziende stanno ripensando progetti e investimenti.

“Il ritorno a una relativa normalità sta portando le imprese a dare il giusto peso agli investimenti necessari, non solo per l’accesso al servizio cloud in sé, ma anche per tutte le opzioni correlate, dalla protezione dei dati ai servizi aggiuntivi, come la ridondanza e la flessibilità di trasferire dati e applicazioni tra più cloud”, dice Rodolfo Falcone, country manager di Red Hat Italia. La società, che si occupa di soluzioni open source per le aziende, segue l’evoluzione delle strategie in tema di cloud computing. Se la domanda è in crescita, in parallelo aumentano le spese. “Da una parte c’è l’escalation data dalla congestione delle richieste, spesso urgenti e con poca pianificazione, con un effetto prezzo che si è scaricato sulla domanda, sfruttando la disponibilità a pagare e facendo leva sulla tensione dal lato dell’offerta. Dall’altra l’introduzione di voci di spesa derivanti da nuovi servizi, quali la containerizzazione, cioè la liberazione delle applicazioni dai vincoli dell’infrastruttura originaria, la virtualizzazione, l’edge computing e le applicazioni di intelligenza artificiale”.

Di fronte agli alti costi dei servizi e alla difficoltà di governarli, tra le aziende c’è chi pensa a una repatriation, ossia al ritorno, almeno parziale, alle soluzioni interne. “Se la necessità di affrontare il mercato in modo più dinamico e con la massima flessibilità è stata fondamentale nel decretare il successo immediato del cloud, ancora una volta sono gli impulsi che derivano da un mercato sempre più competitivo a influenzare il modo in cui le organizzazioni si rivolgono a questo paradigma, ormai passato dalla fase di novità a quella di consolidamento. In altre parole, le imprese si stanno chiedendo come è possibile ottimizzare la loro presenza nel cloud, ottenendone i benefici e perfezionando gli investimenti”, sottolinea Falcone.

Un’analisi delle applicazioni che andranno o che sono nel cloud, per verificarne l’effettiva ottimizzazione, riveste un ruolo fondamentale. “Un’applicazione tradizionale, monolitica, containerizzata per farla migrare, permetterà di sfruttare solo in parte le potenzialità del cloud. Al contrario, utilizzerà le risorse disponibili in modo poco efficiente, contribuendo a innalzare anche i costi. Un passaggio da affrontare insieme alla migrazione è quello della reingegnerizzazione delle applicazioni, in modo da renderle cloud native e sfruttare al meglio funzionalità ed efficienza, limitando i costi collegati”.

L’approccio lift and shift, con la semplice migrazione delle applicazioni nel cloud, è stato decisivo per molte aziende nel momento dell’emergenza, ma nel lungo periodo non regge. Da qui la necessità di una revisione profonda delle applicazioni: la scelta di renderle cloud native appare la più efficace per mantenere aperte tutte le strade. “Le applicazioni cloud native assicurano la maggior parte dei vantaggi garantiti dal cloud computing, a cominciare dalla scalabilità delle applicazioni. I singoli servizi, inoltre, non sono legati per forza a uno specifico cloud service provider, per cui è possibile valutare costantemente le migliori offerte, sia dal punto di vista tecnologico che da quello economico. Essendo basato sui microservizi, l’approccio cloud native permette anche di ottenere una maggiore flessibilità, perchè le componenti containerizzate sono semplici da portare da un sistema all’altro”, spiega ancora Falcone, che sottolinea anche la facilità con cui i microservizi possono essere ricombinati e riutilizzati per produrre nuove applicazioni grazie ad Api (Application program interface) standard.

Il modello architetturale vincente per il futuro, secondo i più recenti studi di mercato, sarà ibrido. Lo conferma anche una recente ricerca Red Hat. “Due aziende su tre usano l’hybrid cloud a sostegno delle proprie iniziative It. Red Hat ha sposato questa come piattaforma ideale per ogni organizzazione che intenda sfruttare le tecnologie a supporto del business. Un’infrastruttura ibrida, che unisca tecnologie on premise con piattaforme cloud, meglio ancora se di fornitori diversi, permette al cliente di ottenere tutti i vantaggi economici e di flessibilità garantiti dal cloud, abbinati però alla tranquillità di poter mantenere in house eventuali dati e applicazioni particolarmente critici, ma soprattutto di evitare ogni forma di lock in”, afferma Falcone. La posizione di Red Hat Italia su questo fronte è chiara: “Come fornitori di piattaforme open source, ci siamo sempre battuti contro ogni forma di lock in legata alla scelta di tecnologie proprietarie e puntiamo a evitare che la stessa situazione si ripeta in ambito cloud. Le nostre soluzioni sono caratterizzate da un’aderenza totale agli standard di mercato e da interoperabilità completa, per garantire la massima libertà di scelta, per ogni applicazione e in ogni momento”. 

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