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Cina, il crack di Evergrande: ora si teme l’effetto domino

La crisi dell’immobiliare cinese fa sempre più paura. China Evergrande ha invocato il capitolo 15 del codice fallimentare Usa, che protegge le società non statunitensi in fase di ristrutturazione dai creditori che vogliono fare causa o bloccarle i beni negli Stati Uniti. La società chiede il riconoscimento dei colloqui di ristrutturazione in corso a Hong Kong, nelle Isole Cayman e nelle Isole Vergini britanniche.

La storia della crisi di Evergrande

Il tracollo di Evergrande arriva in un momento già critico per il settore immobiliare cinese. Dall’inizio della crisi del debito, a metà 2021, fino a oggi, le società che rappresentavano il 40% delle vendite di case in Cina sono fallite. La società, oggi simbolo della crisi dell’immobiliare in Cina, un tempo era la seconda del settore per fatturato nel paese. Nel 2021 sono arrivati i problemi di insolvenza a causa del forte indebitamento, scatenando una crisi nell’economia cinese che dura ancora oggi.

La situazione negli ultimi giorni è precipitata ulteriormente. Prima il crollo delle azioni di Country Garden Holdings (azienda immobiliare cinese che il 14 agosto ha perso il 17,4% del suo valore alla borsa di Hong Kong) e adesso il crack di Evergrande che alla fine dello scorso anno aveva in passività circa 2.437 miliardi di yuan (340 miliardi di dollari), circa il 2% del pil cinese.

Il rischio effetto domino

Il rischio adesso è l’effetto domino e c’è il timore che i problemi nel settore immobiliare possano diffondersi anche ad altri settori dell’economia del paese. Ma la crisi, che il presidente americano Biden ha definito “una bomba a orologeria”, potrebbe estendersi anche al resto del mondo.

Dopo il default del 2021, il mese scorso Evergrande ha dichiarato di aver perso 81 miliardi di dollari degli azionisti tra il 2021 e il 2022. La società ha dunque presentato all’inizio di quest’anno un piano di ristrutturazione da circa 20 miliardi di dollari di debito offshore, dichiarando che avrebbe fatto del suo meglio “per ripristinare un sano ecosistema di capitale e affari, riparare la sua struttura del capitale e stabilizzare le sue operazioni commerciali.

La società: “Non è bancarotta, vogliamo ristrutturare il debito”

Evergrande ha poi chiarito: “Non è bancarotta, stiamo portando avanti la ristrutturazione del debito offshore come previsto”. Lo si legge in una nota inviata dalla società alla Borsa di Hong Kong, dove i titoli sono sospesi dalle contrazioni da lungo tempo. “La società ha presentato richiesta alla Corte degli Stati Uniti ai sensi del Capitolo 15 del Codice fallimentare degli Stati Uniti per il riconoscimento degli schemi di accordo nell’ambito della ristrutturazione del debito offshore per Hong Kong e le Isole Vergini britanniche”.

L’economia cresce, ma non quanto basta

Tra crisi del settore immobiliare e dati deludenti sui consumi, sulle esportazioni e sul credito, l’economia cinese ha perso slancio a luglio, registrando una crescita del 3,7%, dopo il 4,4% di giugno. Il traguardo di una crescita del Pil del 5%, stabilito dal governo di Pechino per il 2023, è a rischio. Il paese, alle prese con la crisi del settore immobiliare e con un’economia fiacca dopo la pandemia, sta continuando a crescere. Ma non quanto basta per raggiungere gli obiettivi.

Lanceremo misure più semplici ed efficaci per espandere il potenziale della domanda interna, ravvivare la vitalità del mercato, promuovere uno sviluppo e promuovere un’apertura economica verso il resto del mondo”, ha assicurato il premier cinese Li Qiang. Ma le banche d’affari non si sono lasciate influenzare dal suo ottimismo e continuano a tagliare le stime di crescita del paese.

Secondo riferisce Bloomberg, Nomura ha tagliato dal 5,1% al 4,6% dopo la diffusione dei dati macro di luglio. “Nei prossimi mesi”, commenta la banca giapponese, “la crescita subirà ulteriori pressioni mentre la domanda repressa post-pandemica per i viaggi fa il suo corso”.

Già Morgan Stanley aveva comunicato di avere ridotto le stime di crescita dal 5% al 4,7% a causa di un “più ripido rallentamento degli investimenti nell’ambito di un delevereging nel settore immobiliare e da parte dei veicoli di finanziamento dei governi locali, con effetti a catena sui consumi”. Prima Jp Morgan aveva già ridotto le proprie previsioni al 4,8% così come Barclays, scesa dal 4,9% al 4,5%.

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