Indonesia, 85 km al largo della costa orientale del Kalimantan. Il pozzo, battezzato Geng North-1, si apre 1.947 metri sotto il livello del mare e scende fino a 5.025. Secondo stime preliminari, contiene 140 miliardi di metri cubi di gas – circa due volte il consumo annuo dell’Italia – e 400 milioni di barili di condensati. È la nuova scoperta nel Sud-est asiatico compiuta da Eni, annunciata all’inizio di ottobre.
“Sono risorse significative sia per il volume, sia per la collocazione geografica”, afferma Guido Brusco, direttore generale di Eni Natural Resources, che si occupa, tra l’altro, delle attività di esplorazione e produzione di idrocarburi dell’azienda. “Siamo vicini all’Estremo Oriente, la regione che nei prossimi anni registrerà la più forte crescita di domanda di gas naturale liquefatto”. Secondo il rapporto Coal 2022 dell’Agenzia internazionale dell’energia, lo scorso anno il consumo globale di carbone ha superato per la prima volta gli otto miliardi di tonnellate. Più della metà era riconducibile alla Cina, un altro miliardo all’India. “La sostituzione del carbone con il gas in questi paesi”, dice Brusco, “sarà una delle dinamiche dominanti nel mercato dell’energia per i prossimi decenni”.
Il nuovo polo produttivo in Indonesia
In base alle prove di produzione, Eni stima per Geng North una portata di 2,2-2,7 milioni di metri cubi di gas al giorno e cinque-semila barili di condensati. Il pozzo si trova vicino ad altre risorse che Eni ha acquisito a luglio dalla Chevron. “Le scoperte precedenti erano significative, ma non abbastanza da essere sviluppate a prezzi ragionevoli”, spiega Brusco. “Ora ci sono risorse sufficienti per dare vita a un nuovo polo produttivo da 280 miliardi di metri cubi”. Forse anche di più: “Quando si fa esplorazione, si testano concetti, ipotesi. Ogni scoperta aumenta le probabilità di compierne altre nelle vicinanze. Il successo di Geng North ci fa pensare di poter trovare altro gas nella zona”.
Il nuovo polo ne affiancherà un altro, più a sud, costituito da altri asset rilevati dalla Chevron, e potrà appoggiarsi a infrastrutture esistenti. “Il bacino è vicino a Bontang Lng, un impianto di liquefazione costruito decenni fa, poi ampliato e ammodernato, pensato per sfruttare campi che, nel tempo, hanno diminuito la produzione. Perciò c’è una grande capacità disponibile”. Una vicenda che rispecchia quella di Giacarta nel settore del gas naturale. “L’Indonesia è stata un grande produttore, ma i suoi principali giacimenti si sono svuotati. Ora vuole tornare a raddoppiare la produzione e a sfruttare le infrastrutture”.
La strategia gas di Eni
L’Indonesia, dove Eni ha siglato il primo accordo di esplorazione nel 1968 ed è presente dal 2001, è uno dei paesi a cui l’azienda guarda per diversificare il suo portafoglio di gas naturale liquefatto (gnl). “Nei prossimi cinque anni, diventerà uno dei primi cinque paesi per Eni, sia per investimenti che per produzione”, dice Brusco. Una strategia in controtendenza con quella di tante grandi compagnie energetiche che hanno abbandonato il mercato. “Quelle aziende non avevano risorse sufficienti a giustificare la loro presenza. Noi le risorse le abbiamo trovate, come già era accaduto in Egitto, in Angola e in Costa d’Avorio. L’eccellenza nell’esplorazione è uno dei nostri punti di forza. Anche perché le risorse che troviamo costano meno di quelle che compriamo”.
Proprio questa, aggiunge Brusco, sarà la chiave della politica di Eni sul gas nei prossimi anni. “Vogliamo concentrarci sul gas che scopriamo, sviluppiamo, produciamo e commercializziamo, anziché sulla compravendita. Entro il 2030, il 60% della nostra produzione sarà gas. Entro il 2050, sarà il 90%”. Il vantaggio è che “in questo modo si garantisce la sicurezza energetica, perché si è certi di avere sempre le risorse a disposizione. E poi chi è presente sull’intera catena può estrarre tutto il valore dal gas, tenere basso il costo di produzione e resistere meglio alle oscillazioni di prezzo”.
Come cambia l’energia
Le scoperte indonesiane contribuiranno al cambiamento del mix energetico di Eni. Oggi, nel portafoglio dell’azienda, gas e petrolio hanno più o meno lo stesso peso. L’obiettivo è un rapporto 90-10 a favore del gas. “Tutto questo rientra nel percorso di decarbonizzazione che dovrà portarci alle zero emissioni nette entro il 2050”, spiega Brusco. “Il cambio del mix energetico è una delle leve per arrivarci, assieme all’efficienza, alla cattura dell’anidride carbonica, ai biocombustibili, alle rinnovabili e a tanti altri elementi”.
In questo quadro, il gnl avrà un ruolo centrale. Nel 2022 Eni aveva contratti per nove milioni di tonnellate di gnl all’anno. Nel 2026 il totale sarà di 18 milioni. “Il gnl, rispetto ai gasdotti, ha il grande vantaggio della flessibilità. Permette a una compagnia energetica di cogliere le occasioni di mercato: lo si può vendere in Europa come in Asia, a seconda del mercato più conveniente”.
Nell’ultimo anno e mezzo, la crisi energetica ha spinto aziende e paesi – a partire dagli Stati Uniti – a investire nel gnl. “Sono stati decisivi, però, anche alcuni progressi tecnologici”, sottolinea Brusco. Per esempio i floating lng (floating liquefied natural gas), ovvero impianti di produzione e liquefazione galleggianti come quello che Eni ha realizzato in Mozambico, più agili da costruire e da gestire. “Fino a qualche anno fa, solo giacimenti di grandi dimensioni giustificavano la costruzione di un impianto gnl. Oggi l’industria ha sviluppato soluzioni modulari che rendono conveniente l’impianto anche in presenza di giacimenti più piccoli. Così si possono valorizzare molte più risorse”.
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