Distretto dei Metalli
Small Giants

Viaggio alla scoperta del Distretto dei Metalli bresciano da 8 miliardi di euro

Articolo tratto dal numero di gennaio 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

Le valli bresciane hanno un passato di povertà e di fame. La fame che a un certo punto è stata lo sprone per correre i rischi dell’imprendere, cedendo a quel pizzico di follia senza la quale un’impresa né la fondi né la fai crescere, figuriamoci prosperare. Ed è così che nelle valli Trompia, Sabbia e Camonica, a compensazione della magra agricoltura di montagna, fin dall’antichità sono state capitalizzate le due materie prime qui più diffuse, metalli e acqua. Si sono creati così i presupposti per la nascita dell’odierno Distretto dei Metalli, che, stando al rapporto di Intesa Sanpaolo, è nella top 10 italiana per crescita, redditività e patrimonializzazione. Non solo: il comparto di rubinetti, valvole e pentolame di Lumezzane, afferente il mondo dei metalli, conquista la posizione numero 14 della classifica. Se andiamo oltre i confini del distretto e consideriamo l’intera provincia, contiamo 100mila addetti di settore e un valore aggiunto che sfiora gli 8 miliardi di euro, secondo le analisi condotte da Confindustria Brescia su dati Istat.

Il distretto, come si diceva, non includerebbe la Val Camonica, silente e ritrosa, eppure stella di prima grandezza nell’arte della forgiatura da millenni. La Biennale della Forgiatura al Maglio di Bienno, nel cuore della Valle Camonica, è lì a ricordare con sfide a colpi di martello in cosa consista questa antica maestria. Per esempio, è nell’officina Erbon di Bienno che otto ‘master’ forgiano le spade e i fioretti della nazionale italiana di scherma, compresi quelli di Bebe Vio. Agli antichi magli si sono affiancati forge e strumentazione di ultima generazione per aziende 4.0. Si va dalla Fedriga (più di 60 dipendenti, fatturato oltre i 25 milioni) alla Morandini di Cividate Camuno (180 dipendenti, 110 milioni di fatturato), fino a Forge Monchieri, con una capacità produttiva fino a 120 tonnellate. A lungo qui il nome chiave delle aziende dei metalli è stato quello di Carlo Tassara, che mentre imperversava il biennio rosso – correva il 1919 – e i lavoratori di mezza Italia incrociavano le braccia, fondava a Breno uno stabilimento di leghe metalliche che si espandeva anche assorbendo altre aziende (tra cui la Breda Fucine). Crescita graduale fino alla  grande crisi del 2008, quando ha affrontato una pesante ristrutturazione, mantenendo in vita la sua prima acquisizione: la Metalcam, azienda di pezzi forgiati a disegno in acciaio.

La storia

Nelle tre valli si troverebbero testimonianze di lavorazione dei metalli fin dall’età preistorica. In Val Camonica la dimostrazione è incisa – e non in senso metaforico – sulla pietra. Basta vedere il Parco delle Incisioni Rupestri, dove, sulla roccia numero 35, compare la ‘scena del fabbro’, attribuita all’età del ferro. Si narra che i romani avevano individuato in Val Trompia luoghi dove confinare i damnati ad metalla, schiavi e prigionieri destinati all’estrazione del ferro. È testimoniata la presenza di forni fusori già in epoca longobarda e di ferro fuso nell’età delle Signorie. L’attività era talmente diffusa che un documento del 1299 rammenta l’antico diritto del vescovo di Brescia di ricevere la decima anche del ferro di Pisogne, mentre lo statuto sulle miniere di Bovegno del 1341 conquista il primato di più antico atto legislativo europeo del genere.

Chiusa la tregua siglata dalla Pace di Lodi e morto Lorenzo il Magnifico, gran tessitore d’equilibri, l’Italia veniva travolta da un fiume di guerre, a beneficio dell’industria delle armi. Nel 1526 mastro Bartolomeo Beretta da Gardone Val Trompia consegnava 185 canne d’archibugio all’arsenale di Venezia: l’atto di nascita dell’attuale Fabbrica d’Armi Pietro Beretta, condotta dalla più antica dinastia industriale del mondo. Nel 1539 dalle valli bresciane venivano esportati – si legge nell’Enciclopedia Bresciana –  338.800 pesi di ferri lavorati, di cui 77mila di acciai, 54mila di badili, 135mila di ferro ladino, 21mila di lamiere, settemila per armi, settemila di padelle, 4.800 di falci, 24mila di chiodi, 24mila d’archibugi, tremila di lame. Edolo e Angolo fabbricavano tondini di celate, corsaletti, verselli, gambali, pansiere. Le armature si perfezionavano a Brescia. Tra i forni di ferro della provincia erano rinomati quelli di Pisogne e Gratacasolo, quest’ultimo travolto da un uragano e ribattezzato Rovina. 

Facciamo un salto temporale e approdiamo all’alba del Novecento. La prima e la seconda rivoluzione industriale avevano lasciato in dote qualche impresa importante e, attorno, una rete di attività familiari a supporto delle grandi strutture, creando l’humus per le successive micro-piccole-medie imprese. Aziende al servizio dei due conflitti mondiali, quindi riconvertite dagli anni Cinquanta in poi, sull’onda del Piano Marshall, in un’Italia tutta da ricostruire. Di qui la domanda crescente di beni legati all’edilizia e non solo. Si aggiunga un’etica del lavoro calvinista, tutt’uno con il secolare allenamento alla fatica. In tutto questo fermento si ritagliava uno spazio speciale Lumezzane, in Val Trompia, decenni di gloria nel campo dei casalinghi fino agli anni Ottanta, quando il confronto con i paesi emergenti è diventato schiacciante. Quindi la reazione, che talvolta è anche equivalsa a una ricollocazione delle aziende nella più accessibile pianura, in altri casi a una delocalizzazione oltre confine. Soprattutto, su sprone della pandemia sono stati rivisitati modelli che non pagavano più. “I marchi bresciani stanno, con prudenza e a piccoli passi, riportando a casa alcune produzioni”, ricorda Roberto Ragazzi, responsabile delle pagine di economia del Giornale di Brescia. “Il numero delle imprese del settore è diminuito nell’ultimo decennio, ma il Bresciano conta ancora una trentina di aziende con proprio marchio, in parte dislocate in Val Trompia, alle quali si aggiunge il variegato indotto costituito da una filiera insostituibile di terzisti e fornitori”.

Le aziende del Distretto dei Metalli

Nel distretto dominano grandi aziende, se non colossi come la Holding Beretta, Umberto Gnutti, Eredi Gnutti Metalli, Metallurgica San Marco, Eural Gnutti. Nella Val Sabbia brilla Silmar Group (1,5 miliardi di fatturato), che opera nei settori del riscaldamento con Fondital, delle leghe di alluminio da riciclo con Raffmetal, dell’idrotermosanitario, del riciclo dei materiali plastici e della protezione passiva al fuoco con Valsir e le sue consociate e partecipate in Italia e all’estero.

Attorno un pulviscolo di micro, piccole e medie imprese. Tra loro c’è Enolgas Bonomi, a Concesio, nata nel 1960 come impresa famigliare, specializzata nella produzione di valvole a sfera in ottone, oggi un gruppo con un’offerta diversificata e una presenza capillare nei mercati internazionali. Altra storia d’azienda familiare è quella della Raffineria Metalli Guizzi, a Sarezzo. A fondarla fu Andrea Guizzi, che, grazie a un diploma di perito chimico specializzato nell’acciaio, iniziava a lavorare al rilancio degli altiforni di Piombino e di Bagnoli, assumendo il ruolo di responsabile del reparto fonderia di Eredi Gnutti. Nel 1961 avviava la sua azienda con un piccolo forno a crogiolo e un laboratorio d’analisi. Poi un crescendo in termini di dimensioni e qualità. Oggi brilla per la produzione di lingotti in bronzo.

Nel 2029 compirà 100 anni la Pinti Inox, a Sarezzo, produttrice di articoli in acciaio inossidabile, trimetallo e polimeri destinati alla cucina professionale e domestica. Oggi, alla quarta generazione, produce ogni giorno oltre 80mila posate e duemila tra pentole e vasellame, diretti in più di 50 paesi.

È alla quarta generazione anche la Nuova Galvanica Cropelli, sbocciata già nel 1901, ma fondata ufficialmente nel 1982 da Luciano Cropelli. Si occupa di trattamenti galvanici su prodotti di terzi applicati in diversi ambiti industriali, dalla galvanica decorativa a quella tecnica, dalla rubinetteria-raccorderia industriale a moda, alimentare, elettronica, medico-dentale, automotive e armiero.

E ancora, nei casalinghi brillano pmi come la Bugatti di Lumezzane, quest’anno centenaria e lunga serie di premi, in testa il Red Dot Design (quest’anno vinto con il bollitore Giulietta). Poi Abert (a Passirano, 136 dipendenti), Ghidini Cipriano (a Gussago, 64 dipendenti, una linea interamente realizzata in legno naturale, non trattato, nella più antica tradizione degli utensili da cucina), Inoxriv (Villa Carcina). Quindi due imprese del pentolame antiaderente, come Lumenflon (a Brandico) e Risolì (a Lumezzane).

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