Daniele De Leonardis Stellantis
Business

Semplicità, dati e omnicanalità: come Stellantis Italia rinnova il customer management

Ha cominciato nel mondo delle telecomunicazioni, in H3G, ovvero Tre Italia. Poi è stato manager in Gameloft, una startup di videogiochi per cellulare, tra il 2006 e il 2010. “Quattro anni in cui siamo passati da Nokia leader del mercato a Nokia fuori dal mercato, con l’egemonia di Apple”, ricorda. Oggi Daniele De Leonardis, 41 anni, originario di Brindisi, laurea in ingegneria al Politecnico di Torino, è customer management officer di Stellantis Italia. “Sono passato da una piccola startup a una grande startup”, dice. “Lo spirito è lo stesso: mettersi in gioco, sfidare l’ovvio e lo status quo, cercare la discontinuità. Nella prima lettera che ho ricevuto nell’allora Fca mi avvertivano che non avrei mai vissuto lo stesso giorno due volte”.

Le parole chiave del customer management

De Leonardis ha la responsabilità di molteplici aspetti: dal budget pubblicitario al rapporto con i clienti, fino a tutto ciò che ha a che vedere con il digitale, come social media e vendita online. Una delle parole chiave del suo lavoro, oggi, è detox. “A volte il nostro modo di comunicare con il cliente è troppo tecnico. A volte è troppo e basta”, spiega. “In qualche caso elaboriamo testi troppo complessi o troppo lunghi. Dobbiamo semplificare l’esperienza. Sul nostro sito abbiamo ridotto le call to action, cioè gli inviti a fare qualcosa o a cliccare su qualcosa: non possiamo bombardare di opzioni il cliente”.

Un’altra espressione che ricorre nei discorsi di De Leonardis è data driven. “Una delle sfide principali, nel mio campo, è misurare il ritorno degli investimenti pubblicitari. Non solo sui canali digitali, su cui tutto è misurabile, ma anche su quelli tradizionali. Abbiamo adottato strumenti di misurazione sofisticati che si applicano anche alla televisione, per esempio. Nel giro di tre minuti da un passaggio in tv, su qualsiasi rete e in qualsiasi fascia oraria, possiamo quantificare l’impatto sui volumi di ricerca del brand”.

Proprio l’uso di tutti i canali – la cosiddetta omnicanalità – è il terzo pilastro della strategia di Stellantis Italia e del suo cmo. Il gruppo ha introdotto per questo la figura degli e-seller: consulenti con esperienze commerciali di vario tipo, in concessionarie d’auto o in aziende di vendita online. “La loro funzione è affiancare il cliente in una fase preliminare e accompagnarlo verso l’acquisto, che si conclude sempre in concessionaria. Chi non vuole lasciarci i dati in questa fase può parlare con un esperto capace di indirizzare verso le offerte del mese e di illustrare le caratteristiche di un prodotto”.

Dove online e offline si incontrano

Circa 1.500 persone al giorno contattano gli e-seller. Duemila al mese concludono un acquisto. “Il costo di acquisizione dei clienti si riduce e la quota di coloro che arrivano all’acquisto aumenta”, dice De Leonardis. “L’altro vantaggio per l’azienda è che si instaura un contatto diretto con le persone: è come una continua ricerca di mercato. Per il consumatore, il beneficio sta nell’immediatezza del dialogo e nella possibilità di andare in modo mirato dal concessionario, con un risparmio di tempo”.

Servizi online e offline, sottolinea De Leonardis, “non sono contrapposti, ma si intersecano. Quando si passa dall’uno all’altro, non ci devono essere frizioni, tutto deve essere fluido. L’e-seller è complementare al concessionario, che resta il luogo in cui il cliente finalizza l’acquisto”. Quanto alla tipologia di cliente che passa dagli e-seller, “non ci sono polarizzazioni di brand o fasce demografiche”.

I consulenti sono assistiti dall’intelligenza artificiale. In base al contenuto della conversazione con il cliente, l’IA suggerisce informazioni da fornire: offerte, dettagli sul prodotto, ragguagli sull’elettrificazione. “I dati non vengono salvati”, precisa De Leonardis. “L’intelligenza artificiale pesca dal nostro materiale di formazione. Non sostituisce l’umano, ma lo affianca e gli fornisce strumenti per gestire la conversazione”.

Non solo vendite

Le responsabilità di De Leonardis e del suo gruppo di lavoro vanno al di là delle iniziative pubblicitarie tradizionali e della cura del cliente. “Le nuove generazioni si aspettano che i grandi brand ricoprano un ruolo sociale, che si battano per migliorare il mondo”, spiega. “Nel nostro settore si parla di brand activism: l’azienda non può limitarsi a parlare, ma deve sporcarsi le mani, fare cose concrete”.

Tra le iniziative di brand activism di Stellantis Italia c’è quella del marchio Citroën per la lotta al bullismo e al cyberbullismo. Un problema che, secondo dati 2022 del Sistema di sorveglianza Hbsc Italia, ha colpito almeno una volta il 15% degli adolescenti italiani. Il progetto ha coinvolto più di 17mila studenti di 700 classi, è realizzato assieme al Centro nazionale contro il bullismo – Bulli Stop ed è patrocinato dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica e da quello delle Infrastrutture e dei trasporti. È associato alla minicar elettrica Citroën Ami, che, si legge in un comunicato del gruppo, “al suo lancio sul mercato è stata ‘vittima’ di cyberbullismo sui social: il pubblico l’aveva giudicata per il suo aspetto esteriore, senza comprenderne i pregi e le potenzialità in termini di mobilità sostenibile”.

L’importanza della credibilità

La scelta delle cause da sposare, spiega De Leonardis, è basata “sul posizionamento della marca. Bisogna vedere quali sono i temi su cui il brand è credibile”. Citroën si occupa di bullismo perché “il suo posizionamento è quello di un marchio vicino alle persone. Jeep, per esempio, rappresenta la libertà, perciò aveva senso una campagna come quella contro gli stereotipi”.

Stellantis promuove anche tante altre iniziative di carattere sociale a livello mondiale, con ricadute anche in Italia. “I risultati di queste iniziative vengono valutati secondo criteri molto diversi da quelli di una campagna pubblicitaria”, dice De Leonardis. “I tratti comuni sono l’omnicanalità e la necessità di amplificare per raggiungere un pubblico ampio e far emergere anche l’impegno sociale globale dell’azienda. Nei casi di brand activism, però, si monitora come le iniziative avvicinano le persone al marchio. Anche l’arco di tempo da considerare è molto diverso”.

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