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Il distretto industriale di Caserta tra calzaturiero, tessile e mozzarella di bufala

Articolo tratto dal numero di maggio 2024 di Forbes Small Giants. Abbonati!

Caserta, e hai negli occhi la sua Reggia: opulenta all’ennesima potenza, riflesso delle ambizioni di una dinastia, i Borbone, e in particolare di Carlo III re di Spagna, che nel 1752 affidava il progetto di costruzione di nuova città della corte e dei ministeri al Renzo Piano di allora, Luigi Vanvitelli, emulando Versailles e l’Escorial.

Il progetto della Reggia

Per completare il progetto ci volle però un secolo: venne infatti consegnato nel 1845, quando il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia erano già stati unificati nel Regno delle Due Sicilie e a un soffio dal fatidico 1848, quando i moti incendiarono tutte le piazze d’Europa rivendicando carte costituzionali e la liberazione dallo straniero, oltre che da una serie di corone.  E così, nel 1861, l’anno zero d’Italia, via i Borboni e avanti i Savoia, con patto solenne siglato a Teano: per la pena del contrappasso siglato proprio a 40 chilometri dalla Reggia. A Teano il re Vittorio Emanuele II riceveva da Giuseppe Garibaldi i territori del Mezzogiorno appena affrancati dai Borbone. Che non sempre e non tutti si atteggiarono come gli Spagnoli dominanti e usurpanti nella Milano dei Promessi Sposi, impegnati ad alleggerire “ai contadini il lavoro della vendemmia”. In sintesi: ladri. Intorno alla Reggia si mossero anche teste coronate illuminate, come nel caso di Ferdinando IV.

La spinta dell’abbigliamento

Più della metà (4.895) delle imprese attive in Campania operano nella confezione di articoli di abbigliamento, seguono le imprese di fabbricazione di articoli in pelle e simili (2.057 imprese, pari al 23%) e, in misura minore, altre imprese manifatturiere come gioielleria e occhialeria. Le aziende del Tac (tessile-abbigliamento-calzature) corrispondono al 9% delle imprese di settore collocate sul territorio nazionale. E se Napoli ospita il 67% delle aziende campane di settore, segue il Casertano con una quota del 14%, infine Salerno (11%), Avellino (5%) e Benevento (3%).

La Reggia continua ad essere il principale attrattore del territorio, con ricadute sul pil locale per via del flusso turistico che nel 2023 ha toccato un milione di visitatori. Risultato lusinghiero però lungi dai 15milioni totalizzati da Versailles, che è di bellezza superiore e vicina alla capitale (bel vantaggio).

Il sito borbonico che nel Casertano ha creato i presupposti di un distretto imprenditoriale è il Belvedere di San Leucio, complesso nato dal sogno di re Ferdinando IV, despota illuminato, di dar vita ad una comunità di operai fondata sull’uguaglianza e la meritocrazia, e in primis sull’arte della seta. La colonia industriale dei setaioli, retta da uno statuto speciale e dipendente direttamente dal re, produceva anche calze, tappeti e cotonerie.  E ancora oggi il borgo rientra nel distretto tessile di Sant’Agata dei Goti-Casapulla, comprendente 20 comuni, sei della provincia di Benevento e 14 di quella di Caserta. Il distretto è specializzato nel confezionamento di abbigliamento per conto di imprese terze, attraverso il sistema del façon (produzione legata a importanti marchi della moda italiana), ma c’è anche chi produce con marchio proprio. Le imprese del distretto concentrano la propria attività dunque nel settore tessile-abbigliamento, in prevalenza capispalla e pantaloni, seguiti da maglieria, camiceria e confezioni in pelle a completamento della filiera tessile di specializzazione, e nell’offerta dei relativi servizi produttivi (taglio, cucito, confezioni, stiro) ma anche, pur in misura più contenuta, nella fabbricazione di macchine tessili. All’interno del Belvedere di San Leucio è stata creata l’Officina Vanvitelli, uno spazio di sperimentazione e di innovazione, un ecosistema creativo e di ricerca per il made in Italy, luogo di incontro di menti, di culture e diverse competenze per la moda e il design in Campania.

Aversa e la calzatura

Il Casertano anima anche il distretto della calzatura, ed è una sua cittadina, Aversa, ad esserne il cuore. Il distretto conta otto comuni napoletani e 16 casertani: Aversa, Cesa, Frignano, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Marcellino, San Tammaro, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola, Ducenta, Villa di Briano, dal 2007 anche Carinaro e Gricignano.

La Campania copre il 50% della produzione calzaturiera del Mezzogiorno e il 15% di quella nazionale e costituisce una delle nove regioni europee con il maggior numero di dipendenti nella realizzazione di scarpe e prodotti in pelle. La regione, con 390 calzaturifici e produttori di calzature a mano e su misura, è la quarta su territorio italiano per numero di aziende e quinta per numero di addetti (secondo i dati 2018 di InfoCamere-Movimprese, elaborati dal Centro Studi Confindustria Moda). La tradizione calzaturiera campana prendeva corpo nella prima metà del 900, con impennata tra gli anni Sessanta e Ottanta, epoca in cui l’artigianato puro si convertiva in artigianato industriale o vera e propria industria. Risalgono all’immediato secondo dopoguerra botteghe e poi aziende, come la Stabile Calzature, oggi alla terza generazione, specializzata in calzature personalizzate e su misura, oppure il Calzaturificio Gravino, fondato nel 1950 e specializzato nella produzione di scarpe classiche da uomo. Anche qui, tre generazioni di esperti artigiani prima ed imprenditori poi.

Con i due distretti per il settore conciario (Solofra e Grumo Nevano-Aversa) e i tre per il tessile abbigliamento (Sant’Agata dei Goti- Casapulla, San Giuseppe Vesuviano e San Marco dei Cavoti), la Campania entra nella rosa delle regioni con il più alto tasso di impiego nel sistema moda.

La bufala

Le mozzarelle di bufala campana sono prodotte anzitutto tra le province di Caserta e di Salerno. Proprio qui, tra la Piana del Volturno e del Sele, sull’onda delle invasioni saracene, venivano introdotti i bufali. I primi documenti che testimoniano la produzione di mozzarella di bufala campana risalgono al XII secolo, ma il termine ‘mozzarella’ compare per la prima volta in uno scritto nel 1570. Secondo alcune testimonianze, i monaci del monastero di San Lorenzo in Capua erano soliti offrire un formaggio denominato ‘mozza’ o ‘provatura’, con un tozzo di pane, ai pellegrini in processione alla chiesa del convento.

È nel XIV secolo che la commercializzazione del formaggio di bufala prende davvero piede sui mercati di Napoli e Salerno. Era poi la volta delle prime bufalare e della separazione del processo di produzione da quello di trasformazione del latte di bufala fresco. Processo accelerato dai Borbone, che nella Reggia di Carditello realizzavano un importante allevamento di bufale e un annesso caseificio sperimentale per la trasformazione del latte di bufala fresco. La Mozzarella di Bufala Campana è il terzo tra i formaggi Dop.

E quasi tre Mozzarelle di Bufala Campana Dop su dieci finiscono all’estero, in primis in Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna, che da soli rappresentano più del 60% dell’export. 750 è il numero, in milioni di euro, del fatturato al consumo della mozzarella di bufala Dop nel 2022, filiera che occupa 11mila addetti, a partire dai 1.300 allevamenti impegnati nell’esclusivo ciclo produttivo di questa tipologia di mozzarella.

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