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Stefano Barelli
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La fiscalità del settore dell’arte: come accrescere la competitività e attrarre investitori

Accrescere la trasparenza, attrarre investitori e garantire una fiscalità equilibrata. Sono alcuni degli interventi necessari per migliorare gli scambi nel settore dell’arte. Se ne discute da tempo e da ultimo il tema è stato affrontato anche dalla legge delega per la riforma tributaria, che ha introdotto una regolamentazione specifica per escludere da tassazione in alcuni casi specifici. Ne abbiamo parlato con Stefano Barelli, partner dello studio Eptalex.

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Andiamo diretti al punto. Come rendere questo settore più trasparente e competitivo?

In primis, occorrono figure specializzate dotate di competenze manageriali, di un’adeguata formazione storico-artistica e di un costante aggiornamento sull’evoluzione del panorama dell’arte che consenta di interpretare i target di domanda e i gusti degli acquirenti in un mondo in rapida evoluzione. La dinamicità del mercato mette il settore di fronte a sfide come l’apertura e la concorrenza dei mercati stranieri con la conseguente necessità di competere anche con il sistema fiscale dell’arte di altri Paesi europei ed extra-europei.  Il sistema fiscale e, più in generale, la libera circolazione delle opere d’arte fra Italia, Ue ed extra Ue sono tra i principali elementi che minano lo sviluppo del mercato, così come l’assenza di una strategia di lungo periodo pianificata a livello nazionale.

Inquadrato lo scenario, cosa si potrebbe fare a livello normativo?

Le cessioni di opere d’arte non trovano oggi una specifica disciplina nel Testo unico delle imposte sui redditi. Da qui i numerosi contenziosi incentrati sull’eventuale rilevanza impositiva di tali cessioni e sull’individuazione della più appropriata categoria reddituale alla quale ricondurle. A livello normativo occorrerebbe dare certezza al settore; oggi non c’è una normativa primaria che definisce il settore dettandone le regole di base. Il contesto attuale, di fatto, è guidato dagli interventi giurisprudenziali e questa circostanza lascia spazio a differenti interpretazioni con il rischio di frenare il mercato e gli operatori che si trovano a fare i conti con regole fiscali poco chiare.

Perché?

Il sistema impositivo attuale si basa sulla distinzione, creata solo a livello giurisprudenziale, tra le figure del mercante d’arte, dello speculatore occasionale e del mero collezionista che tuttavia lascia ampi spazi di interpretazione sui presupposti per la tassazione delle transazioni. Uno dei punti focali della riforma dovrebbe essere quello di definire normativamente questi soggetti, attraverso l’individuazione di alcune ipotesi puntuali e di linee guida precise volte a direzionare l’interpretazione della disciplina nel singolo caso concreto limitando in tal modo la discrezionalità dei giudici e dell’amministrazione finanziaria.

Insomma poche regole, ma chiare.

Il legislatore dovrebbe limitarsi a dettare le direttive generali di base, volte a stabilire una cornice minima alla disciplina, lasciando comunque discrezionalità agli operatori di accertare di volta in volta la casistica applicabile nonché l’intento che sottende lo scambio di opere d’arte sul mercato (ovvero la presenza o assenza dello scopo di lucro). In tal senso, il legislatore dovrà valutare se e come codificare i criteri ritenuti più consoni al fine di escludere lo scopo lucrativo alle vendite di beni artistici.

L’importanza di una normativa chiara nel settore è confermata dal fatto che di recente è stato pubblicato un position paper ad opera di Assonime, l’associazione per le società per azioni italiane. Come giudica questo intervento?

Intanto mi preme dire che le disposizioni contenute nella Legge delega devono essere senz’altro viste con favore in quanto puntano a dare organicità, coerenza e certezza a un settore esposto all’aleatorietà delle differenti interpretazioni dell’amministrazione finanziaria e della giurisprudenza.

Sotto il profilo dell’imposizione diretta la proposta di Assonime è quella di stabilire un holding period quale criterio presuntivo per determinare l’assenza di intento speculativo e la conseguente irrilevanza fiscale della plusvalenza realizzata per effetto della cessione. Ipotizzando anche una differenziazione dei regimi, che preveda la concorrenza parziale alla formazione del reddito delle plusvalenze realizzate su beni posseduti per periodi di tempo intermedi prestabiliti.

Assonime chiede anche una riforma relativa alle plusvalenze.

Il paper suggerisce di prevedere l’irrilevanza fiscale delle plusvalenze realizzate in base al principio di esiguità dell’importo. In questo modo si potrebbe escludere implicitamente l’esistenza di un intento speculativo. Queste si testeranno adeguatamente nella pratica per verificare come concretamente risponderà il mercato. Per restituire certezza a contribuenti e amministrazione finanziaria sull’eventuale rilevanza reddituale delle plusvalenze realizzate dal collezionista privato sarebbe opportuno fare riferimento a dati oggettivi, come avviene in altri Paesi europei.

In tema di Iva, come sottolineato da Assonime, la disciplina nel campo dell’arte non è uniforme in tutti i Paesi dell’Unione europea e questo comporta che un’opera d’arte acquistata nel territorio di uno Stato che pratica  un’aliquota più bassa (alcuni Paesi, come la Francia e la Germania, si sono già avvalsi della possibilità di ridurre l’aliquota sulle cessioni di opere d’arte, ndr) viene a costare al collezionista, non soggetto d’imposta, meno rispetto a quanto costerebbe un’analoga opera acquistata nel territorio di altro Stato. Per le opere d’arte di maggior valore, questa circostanza potrebbe orientare i collezionisti privati consumatori – e in generale i collezionisti che non hanno in tutto o in parte diritto alla detrazione – a effettuare gli acquisti nei mercati che permettono l’applicazione di un’imposta più contenuta.

In questa situazione, si ravvisa l’urgenza di prevedere anche in Italia l’applicazione di un’aliquota ridotta sia alle cessioni, che alle importazioni di opere d’arte, inferiore a quella già attualmente prevista per le sole importazioni.

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