La vita di Donald Trump è cambiata molto dagli anni ’80. Il copione che segue è in gran parte lo stesso.
La proposta avanzata questa settimana dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di trasformare Gaza da “un inferno” alla “Riviera del Medio Oriente” ha stupito i leader mondiali. Ma non è la prima volta che Trump propone lo sviluppo del lusso come strumento per rivitalizzare una città. Per rendersene conto basta compiere un salto indietro nel tempo, fino all’era Trump di Atlantic City.
“Donald era un grande sviluppatore”, dice Nicholas Ribis, che ha lavorato come amministratore delegato del suo impero die casinò. “Nessuno lo fa come lui. Proprio come ha ideato il piano per la Striscia di Gaza, che sono sicuro gli sia venuta in mente sul posto. È stata una grande idea. Non si realizzerà mai, ma è stata grande”.
Donald Trump ad Atlantic City
Trump ha iniziato a essere affascinato da Atlantic City alla fine degli anni ’70, quando il gioco d’azzardo è diventato legale e i casinò riportavano 134 milioni di dollari di ricavi in tutta la città nel loro primo anno. Ha iniziato a fare telefonate, muovendosi sulla base della soffiata di un architetto vicino a suo padre su un appezzamento disponibile. Gli abitanti del posto non hanno sempre accolto bene i piani di Trump – una donna che possedeva una pensione vicino a un sito non volle vendere, dando il via a una battaglia. “Mi rifiutai di insultarla”, ricorda Alan Marcus, consulente della comunicazione che all’epoca lavorava con Trump. “Lui è convinto che facendolo, denigrando qualcuno, si affermano i propri diritti. Pensa che denigrare gli altri ti elevi”.
Il Trump Plaza, con le sue luci rosse, aprì nel 1984. Il Trump’s Castle arrivò un anno dopo, e il Trump Taj Mahal, che il giovane magnate definì “l’ottava meraviglia del mondo”, nel 1990. Per tutto il tempo ha seguito lo stesso manuale che Barbara Res, che ha contribuito a costruire la Trump Tower, aveva visto in molte delle sue proprietà. “Trump magnifica tutto”, spiega. “Se prende una cosa per aria e ci mette il suo nome sopra, dice che è la più grande cosa mai costruita. Lui fa così”.
Il valore dell’immagine
I casinò hanno portato molti soldi, ma non abbastanza per coprire le spese dovute ai debiti di Trump, fino alla bancarotta all’inizio degli anni ’90. Trump, da sempre un venditore, ha trovato altri ‘dumb money’ (i ‘soldi stupidi’, cioè provenienti da investimenti poco avveduti della gente comune, ndt) sul mercato azionario. Gli investitori hanno fatto incetta di azioni della sua società quotata, che debuttò alla Borsa di New York nel 1995 con la sigla ‘Djt’. In un primo tempo la società aveva un solo casinò, ma Trump alla fine aggiunse gli altri due, accumulando debiti a bilancio. Gli investitori hanno pagato il prezzo quando l’azienda di casinò è finita in bancarotta altre due volte negli anni 2000.
Tra le lezioni che Trump potrebbe avere imparato c’è questa: il clamore e la pubblicità contano. Pazienza se i conti dei suoi casinò non stavano in piedi: Trump arrivava in elicottero, richiamava la folla, organizzava incontri di boxe e costruiva grandi edifici. Apparentemente era abbastanza perché prima le banche, poi per gli obbligazionisti e poi gli investitori di Wall Street abbracciassero i suoi progetti. “Sa molto, molto bene come plasmare l’opinione della gente”, spiega Marcus. “Alcuni degli attori più intelligenti di Wall Street – Bear Stearns e altri – hanno commesso quell’errore, investendo e reinvestendo nel suo debito, sapendo che non intende mai pagare”. Sono seguite grosse perdite, ma Trump ne è uscito bene, in parte grazie a una rete di operazioni con se stesso, con cui spostava i soldi dalla società quotata alle sue tasche.
I soldi degli altri
Una delle principali abilità di Trump è quella di attrarre denaro altrui. Nei primi anni ’80, con circa 400mila dollari sul suo conto corrente, aveva trovato creditori che gli consegnavano milioni, che sarebbero poi diventati miliardi entro la fine del decennio. “È una combinazione di fascino e forza e ogni genere di manovre”, dice Andrew Weiss, che ha lavorato alla Trump Organization dal 1981 al 2017. “In qualche modo riesce a convincere le persone, anche quando all’inizio pensano che i suoi progetti siano fuori dal mondo o folli o altro. E l’ho visto farlo molte, molte volte”.
Ora Trump ci sta riprovando con Gaza, suggerendo che i contribuenti statunitensi non dovranno scucire un soldo per il suo progetto. “Potrebbero pagare paesi confinanti molto ricchi”, ha detto martedì 4 febbraio. L’Arabia Saudita ha subito respinto l’idea, e un portavoce qatariota ha dichiarato che era troppo presto per parlare di cose simili. Ci sono probabilmente zero possibilità che un qualsiasi paese arabo spenda abbastanza soldi per trasformare tutta Gaza in riviera.
Ma chi lo sa, forse i ‘dumb money’ arriveranno ancora e qualcuno butterà qualche miliardo per compiacere Trump, che potrebbe usare i soldi per qualche progetto che avrà un impatto discutibile su Gaza, ma che gli permetterà di cantare vittoria. “Il mondo diventa più grande, ma lui non pensa più in grande”, dice Marcus. “Ritorna sempre al solito punto: ‘Che cosa ci guadagno io?’”.
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