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Come si costruisce il successo di un fenomeno pop

La popstar Ariana Grande in concerto.

È possibile prevedere quali prodotti si affermeranno come grandi successi commerciali? Perché ci piace ciò che ci piace? Esistono degli elementi comuni e imprescindibili che legano tutti i grandi fenomeni pop?  Sono queste le domande al centro di Creare successi. La scienza della popolarità nell’era delle distrazioni (Roi Edizioni), libro che segna il debutto editoriale di Derek Thompsontra gli editorialisti più seguiti della rivista statunitense The Atlantic e inserito nel 2016 tra gli Under 30 più influenti al mondo secondo Forbes.

La risorsa più preziosa e, di conseguenza, la più difficile da guadagnarsi nel mondo del business di oggi, è l’attenzione delle persone. Anche se molte canzoni ai vertici delle classifiche, spettacoli televisivi, film campioni d’incassi, meme e immancabili app sembrano uscire dal nulla – è la tesi di Thompson – in realtà ci sono delle regole che governano questo apparente caos culturale: le motivazioni psicologiche per le quali le persone amano ciò che amano, la scelta dei social network attraverso i quali si diffondono le idee e le dinamiche economiche dei mercati culturali. Secondo Thompson esiste un modo per progettare i successi e, altrettanto importante, esiste una modalità tramite la quale la gente capisce quando questa popolarità viene costruita a tavolino.

Secondo l’autore, il modello dell’epidemia, in cui le persone infettano altre persone che a loro volta infettano gli altri, secondo una sorta di viralità, non basta a spiegare i grandi successi. Dietro un’ondata di popolarità apparentemente “virale”, dimostra Thompson, c’è sempre una massiccia “trasmissione di contenuti” del vecchio tipo, cioè di uno o più influencer o grandi organizzazioni (ad es. Justin Bieber o il New York Times) che hanno già un pubblico di milioni di persone, o una “trasmissione occulta” a un pubblico altrettanto vasto di cui gli esperti di marketing non sono al corrente, come ad esempio la comunità dei fan.

Esistono quindi alcuni segreti utilizzati per creare fenomeni pop:

– “Il contenuto è il re, ma la distribuzione è il regno”

Al giorno d’oggi sono più le idee geniali che si perdono nel mare magnum della rete, rispetto a quelle che riescono ad emergere e diventare dei veri e propri fenomeni sociali. La produzione culturale si è moltiplicata di 7 volte grazie al web e la qualità non basta più a farsi spazio nel mercato. La chiave di volta risiede nella strategia di diffusione che si sceglie di utilizzare. La viralità è una chimera dei nostri tempi, il velo dietro cui nascondersi quando si tenta di spiegare il repentino successo di una novità immessa sulla rete. La strada per trasformare un’intuizione in fenomeno virale passa dalla distribuzione.

– L’importanza del broadcaster

Ciò che conduce un’intuizione a trasformarsi in un fenomeno sociale passa, innanzitutto, da un broadcaster autorevole. Secondo Thompson avere successo è molto meno naturale e virale di quanto sembri: “Guardate la crisi delle fake news. Inizialmente sembrava che alla base ci fosse la condivisione su Facebook di storie non verificate. Finché è saltato fuori che dietro c’era l’operazione di propaganda degli hacker russi“, ovvero i cosiddetti dark broadcaster. In pratica, grandi trasmettitori più o meno occulti – organizzazioni o influencer – in grado di diffondere alle masse un messaggio, un video, un’app, nel cosiddetto rapporto one-to-million, da uno a tanti.

– La formula MAYA

Come si sviluppa il successo? Attraverso la formula “MAYA”, Most Advanced Yet Accettable, cioè la cosa più avanzata e comunque socialmente accettata (acronimo ripreso da Raymond Loewy, designer degli anni Cinquanta). Un continuo oscillare fra l’attrazione per il nuovo e il timore per lo stesso: è questa l’altalena che regola i meccanismi sociali, economici e psicologici odierni. Un eterno ritorno che rassicura e protegge, soprattutto in un’epoca in cui i contenuti sono sempre più abbondanti e i filtri sempre meno efficaci.

“Vince chi crea qualcosa che si ficchi all’incrocio tra la nostra neofilia e la neofobia, la voglia del nuovo e la sua paura. Perché siamo tutti consumatori bipolari”. Spotify è diventato il più celebre sito di streaming grazie a un’involontaria applicazione della legge MAYA da parte del suo creatore: Matt Ogle sapeva che alla gente piace sentire nuova musica, ma non vuole sforzarsi a cercarla. Per fortuna al momento del test di lancio un bug nell’algoritmo lasciò filtrare nelle playlist alcuni vecchi brani già ascoltati dall’utente: fu successo, da lì in poi il trucco è stato far sì che nelle proposte settimanali restasse sempre qualcosa di familiare, già ascoltato. Vedi anche l’approccio della Silicon Valley per vendere idee rendendole familiari: Uber è nato come “l’Airbnb delle auto”, Deliveroo “l’Uber delle bici”. E La La Land è il Cantando sotto la pioggia del 2017.

– Un eterno ritorno?

Quindi tutto sarà sempre più o meno uguale nel tempo? No, è possibile osare quando il successo è stato già raggiunto. Il modello Kid A dei Radiohead, l’album più antimelodico della band ma che ha venduto, nonostante ciò, un milione di copie, riflette benissimo il concetto. Sulla stessa linea Beyoncè ha osato con Lemonade come quarto album o Michael Jackson con Thriller come sesto. Non avrebbero potuto farlo se non fossero stati già così famosi.

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