Da giovane studente sessantottino a editore di Rtl 102.5, una delle principali radio italiane, con 7,2 milioni di ascoltatori nel giorno medio. Può essere riassunta così, in una frase – come lui stesso ama fare – la carriera di Lorenzo Suraci, imprenditore calabrese che ha lasciato la sua Vibo Valentia per iscriversi alla facoltà di ingegneria di Milano. Ritrovandosi, però, immediatamente catapultato nel mondo dello spettacolo grazie allo zio, allora direttore dell’Inps di Bergamo. “È stata una sorpresa anche per me. Ma avevo capito subito che poteva essere il mio settore di riferimento”, dice a Forbes.it Suraci. Che da lì a qualche anno, dopo aver aperto con altri tre soci una discoteca a Bergamo (1979), avrebbe sbarcato ufficialmente nel mondo radiofonico, acquisendo nel 1987 proprio Rtl 102.5, che allora si chiamava Radio Trasmissioni Lombarde.
Sono passati 35 anni da quel giorno, un’eternità considerando l’evoluzione repentina della società. Come è cambiata, quindi, secondo lei la radio, anche in considerazione dei cambiamenti generazionali che ha potuto assistere?
Per prima cosa ho vissuto il mio cambio generazionale. Perché se i nostri genitori ascoltavano Claudio Villa e Lilla Pizzi, io e i miei coetanei siamo figli dei Dick Dick, dei Camaleonti, dei Beatles, e del rock che veniva dall’Inghilterra e dall’America. Dai capelli corti, infatti, ci siamo ritrovati tutti capelloni. Poi è esplosa la discoteca, e ne è un esempio La febbre del sabato sera di John Travolta, la dance e l’house. Per arrivare ad oggi con la Generazione Zeta, che ha nuovamente cambiato le carte in tavola. Un trend che lo stesso Amadeus, più volte come ospite nella nostra Radio Zeta – punto di riferimento della Generazione Zeta, ha inseguito a partire dalla sua prima edizione di Sanremo. E in questo senso, l’esplosione dell’Indie, che riprende anche le melodie musicali dei cantautori italiani passati, è l’ennesimo cambio che è stato innescato dai giovani”.
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L’avvento delle piattaforme di streaming audio, come Spotify, ha portato con sé un monito che, nel corso degli anni, abbiamo sentito spesso: la radio è morta. Cosa si sente di rispondere?
Non è assolutamente così. E lo dimostra il fatto che la radio ha avuto un vero e proprio boom durante la pandemia. Fare radio, tv, o radiovisione – come facciamo noi da ormai 20 anni – non è lo stesso di quello che fa una piattaforma di streaming. Noi siamo in diretta 365 giorni l’anno, anche durante le feste, di giorno e di notte. Significa creare e offrire contenuti, essere empatici, entrare in connessione con chi ascolta o chi guarda. Inoltre, non dimentichiamo che la radio è il media che più si è adattato alle innovazioni tecnologiche e sociali e che è riuscito a diventare parte integrante di tutti i dispositivi: dal pc, al tablet, fino ad arrivare allo smartphone, con l’app. Dove, nel nostro caso, puoi ascoltare o guardare tutto quello che vuoi in qualsiasi momento. Questo è fare radio e radiovisione.
Avete inventato la radiovisione più di 20 anni fa e, a poco a poco tutti gli altri vi hanno seguito. Come vi è venuta questa idea?
Partendo dal presupposto che operiamo sempre con creatività, con voglia e idee, abbiamo ideato la radiovisione perché volevamo arrivare in tutte le case degli italiani. D’altronde, tutti hanno una tv, anzi ormai più di una. Poi considerando che la tv è nata da un’evoluzione della radio, e ha iniziato a riprendere quello che si faceva in radio, noi siamo voluti andare oltre: abbiamo unito e fuso i due media. E siamo molto orgogliosi di esserci riusciti ed essere stati il modello di riferimento di tutti gli altri. Anche se mi preme precisare che fare radiovisione da 20 anni non è lo stesso di chi la fa solamente da qualche anno. Anzi.
Ma lo switch off dall’Fm e la radio dab?
Ora come ora lo switch off dall’Fm sarebbe una vera e proprio follia, perché non siamo tutti pronti. In particolare la Rai che, nel corso degli anni, ha rallentato colpevolmente l’implementazione del Dab (digital audio broadcasting), occupando abusivamente il canale tv 12, che in tutta Europa era stato destinato proprio al suo sviluppo. Solo grazie alle battaglie attivate dalle radio private e dal Consorzio Dab, siamo riusciti ad andare avanti nella sua implementazione. Inoltre, anche se oggi tutte le case automobilistiche installano nei nuovi veicoli le radio dab (che, ormai, hanno un costo veramente esiguo), comunque non è possibile immaginare un completo switch off dall’Fm. Perché la copertura a livello nazionale non è ancora completa. E non per colpa delle radio private, che ormai riusciamo a garantire una copertura totale, ma sempre della Rai che, nonostante i finanziamenti ottenuti, non riesce neanche a coprire il 25% del territorio italiano.
Quindi volendo chiudere, quale sarà il futuro della radio?
La quotidianità e l’attualità perché la radio non si ferma mai. Nonostante tutto.
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