Articolo tratto dal numero di febbraio 2022 di Forbes Italia. Abbonati!
di Mirko Crocoli
Il coronamento di 30 anni di carriera di Alessandro Borghese ha un nome ben preciso, “Ab – Il lusso della semplicità”, una luxury location da circa 80 coperti, che fa parte di un gruppo operativo di oltre 50 dipendenti e che si trova nella moderna zona CityLife a Milano.
La particolarità? Oltre a servire le sue ricercate pietanze espone opere d’arte inedite e allieta gli ospiti con un dj set tutte le sere. Naturalmente rock and roll, come lo specchio della sua entusiasmante vita. Giusta chiosa per un professionista che dall’età di 17 anni è tra i fornelli delle cucine più prestigiose del mondo. Cresciuto tra gli artisti – la madre è infatti l’attrice Barbara Bouchet – Alessandro ha preso un’altra strada. “Sentivo la necessità di crearmi da solo”.
Un bisogno che lo spinse, neanche maggiorenne, a imbarcarsi sulla prima nave da crociera, alla pari, lavorando senza percepire un centesimo. Dopo anni di viaggi intorno al mondo, Borghese tornò in patria dove lanciò l’idea del ‘personal chef’ a domicilio (poi divenuto un must) format della ‘cucina in tv’ con gli antesignani programmi a tema enogastronomico via satellite, per Discovery Channel. Erano i primi anni Duemila. Da quel momento ha condotto oltre 20 trasmissioni da Cortesie per gli ospiti su Real Time, a Chef per un giorno per La7, da Ale contro tutti per Sky Uno a Cuochi d’Italia e Piatto Ricco per Tv8. Fino all’apprezzatissimo Quattro Ristoranti. Ha anche scritto cinque libri, ama la musica e gli sport motoristici ed è stato anche giudice di Junior MasterChef Italia. Considera la cucina il ‘lusso della semplicità’. Un atto d’amore per un lavoro che è un esuberante mix di tradizioni, eleganza, allegria e passione.
Ha viaggiato mezzo mondo: New York, Londra, San Francisco, Copenaghen, poi Parigi, la scuola di sommelier. E, infine, Milano e Roma. Insomma, la sua è una vita in movimento.
Tutto nasce da una forza e una voglia imprescindibile di realizzarsi e di fare qualcosa di concreto nella vita. Un ardimento e un desiderio di cimentarmi in qualcosa di diverso da quello che facevano i miei genitori. Mi ritengo una persona semplice che fa del lavoro un atto di devozione. Trent’anni intensissimi, di gioie e di dolori, ma colmi di ricchezza in termini di esperienza.
Era tutto nel dna?
Non proprio nel dna ma nella voglia di rivalsa. Nello spirito di fare qualcosa costruendola da zero. Avevo il desiderio assoluto di affermarmi e di non voler fare l’attore: non seguire le orme di mia madre, una figura, sotto certi aspetti, anche ingombrante. Tuttavia ci tengo a precisare che i miei genitori mi hanno insegnato l’umiltà, la fatica e il lavoro. Questo è il loro più grande merito.
Come ha iniziato questo mestiere?
Avevo 17 anni quando mi sono imbarcato per la prima volta. Il bagaglio delle scuole americane ti porta a essere pronto a 360 gradi, ti insegna a fare squadra e a vedere le cose ad ampio raggio. E volevo girare il mondo, magari nelle cucine delle navi da crociera poiché cucinare mi divertiva. È senza dubbio la più bella esperienza che un giovane di quell’età possa provare. La prima volta salii a bordo alla pari: vitto e alloggio, ma senza stipendio. Dopo otto mesi arrivò una conferma positiva del mio operato e un ingaggio a 800mila lire al mese. Ho viaggiato per altri tre anni, molto Mediterraneo ma anche Sudafrica e tanto altro.
Dalle crociere al grande successo come ci è arrivato?
Costruire e costruire, con ottimismo, in maniera propositiva. La vera fortuna è stato l’incontro con mia moglie. Probabilmente senza di lei mi sarei perso in altre vie. Mia moglie mi ha completato, concretizzato, indirizzato, seguito, sopportato e supportato. Non ho buttato per strada quello che avevo fatto prima ed è stato fondamentale per tenere il timone della nave sempre ben dritto.
La città che le è rimasta più nel cuore?
Roma, il posto dove ho lavorato di più. Tuttavia anche i tre mesi a Parigi, i tre a New York, i sei a San Francisco e l’anno a Londra mi hanno formato in un’età in cui avevo grande fame di sapere e conoscenza.
E poi arriva l’indipendenza…
Mi sono messo in proprio inventando il ruolo del personal chef a domicilio. È nato dalla voglia di non voler lavorare per nessuno. Era il 2004, un anno di svolta. Stavo per ripartire per Hong Kong dove sarei dovuto rimanere per tre anni. E invece iniziai con la televisione. Arrivò un provino televisivo per Discovery Channel. Erano i primi anni del satellite. Fu la mia Sliding doors.
Come fu l’approccio con il piccolo schermo?
Una sorta di conduzione con sperimentazione. C’era grande fermento per certi prodotti che stavano nascendo allora. Ricordo che i colleghi mi dicevano: ‘Stai in televisione? Dovresti stare in cucina!’. Non posso negare di essere stato un precursore nel nostro comparto e di aver sdoganato un po’ la ‘cucina televisiva’.
Lei è molto amato dalle persone per i suoi modi gentili e garbati. Non ha nessuna ‘maschera’ e non c’è finzione nel suo stile. L’umanità in primis?
Io faccio il cuoco: so bene quanti sacrifici ci sono dentro le cucine, e non solo. Prendersi troppo sul serio, in questo mestiere, è sbagliato. Dobbiamo distribuire felicità e gioia alla gente che viene da noi nel tempo libero. Se entro nei ristoranti di qualcuno, dove ci sono famiglie, mutui, sacrifici, pensieri, devo cercare di comprendere, aiutare se mi è possibile, consigliare, ma non certo infliggere sentenze irrevocabili. Stiamo parlando di persone che lavorano alacremente, con passione e amore. Il rispetto si antepone a qualsiasi ‘gioco’ televisivo.
Nel 2017 arriva il tanto atteso ristorante. “Alessandro Borghese – il lusso della semplicità”. Sulla homepage si legge “Cucinare è un atto d’amore”. In che senso?
Cucinare è un atto d’amore perché dedichiamo il nostro tempo a donare un momento di allegria e di bellezza a chi ci viene a trovare nei nostri ‘templi’. Cucinare è un atto d’amore perché è un atto di altruismo. Si regala qualcosa a qualcuno ogni volta che si cucina. Ma ci si deve mettere tanta dedizione. Cucinare è un atto d’amore anche per noi stessi. Bisogna volersi bene.
Come è nata l’idea del suo ristorante?
Volevo dare una casa alle mie idee e ai sogni che coltivo da tanti anni. In molti me lo chiedevano. Era nato come un’azienda di catering, di eventi, di matrimoni. Aveva uffici, cucine e servizi ma non un luogo fisico, una ‘dimora’. Quindi con mia moglie abbiamo deciso che era giunto il momento di fare sacrifici, di investire per dar vita a quello che oggi è il lusso della semplicità sia come filosofia che come brand. Fa parte della società ABNormal (da Alessandro Borghese). Oltre al ristorante c’è l’azienda catering e banqueting e alcune attività di entertainment. Un gruppo diversificato che a pieno ritmo conta più di 50 dipendenti.
È da considerare un ristorante di lusso?
Più che altro di livello, ma è un po’ come sentirsi come a casa. Vedere la scarpetta nel piatto, tanto per fare un esempio, mi riempie di gioia. Possiamo definirlo un servizio di alto livello ma con poche formalità, se guardiamo all’aspetto ospitalità. Altro non è che la mia filosofia del lusso della semplicità che però non vuol dire facile. È un vero e proprio stile di vita e di cucina.
Riesce a essere presente?
Compatibilmente con gli impegni sì, riesco a essere presente. Ma anche dopo 16 ore di lavoro raggiungo comunque il ristorante. L’ultimo pensiero è passare a salutare la mia brigata, controllare servizio e piatti, uscire in sala e fermarmi con la clientela. Questa è la creatura mia e di mia moglie. Io sono il frontman, ma la vera mente è lei.
E poi c’è l’aspetto artistico e musicale. Come si inseriscono nella location?
L’arte è una passione di famiglia che abbiamo poi trasferito all’interno del ristorante che ha una galleria interna perenne. Ogni due o tre mesi abbiamo un artista che espone. Da Rodolfo Viola, allo street artist Kayone, da Roberto Dell’Acqua, Mario Lisi a Roberta Bissoli. Sia opere di pittori italiani che stranieri. Sulla musica ci tengo a precisare che ha lo stesso potere evocativo del cibo.
Quindi venendo a mangiare da lei ci si trova in uno scenario magico. Si mangiano i piatti di Alessandro Borghese, si ammira qualche inedita opera d’arte, ascoltando della buona musica?
È così. Tra l’altro ho un dj fisso tutte le sere con vinili e musica rock. Dai Led Zeppelin ai Flash. Arte, musica e cucina. Abbiamo fortemente voluto questo format e c’è molto gradimento da parte delle persone. Gli ospiti mi dicono spesso che è come stare a casa. Quando sento certe parole, sono l’uomo più felice della terra. È il risultato di tutto quello che si fa sacrificio da una vita intera.
A quando un team auto o moto firmato Alessandro Borghese?
La mia passione per le corse in macchina è innata, non me la toglie nessuno. Chi lo sa, perché no? Per il momento ci sono dei nuovi progetti in essere legati a food media factory. Di sicuro c’è in prospettiva una nuova possibile apertura sempre de “il lusso della semplicità” con diversificazione, anche in stile sport e ristorazione. Le idee imprenditoriali non mancano.
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