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Gli investimenti in startup, la filantropia e il nuovo film su Bob Dylan: Edward Norton si racconta a Forbes

Intellettuale, attivista e anticonformista, Edward Norton si è sempre distinto nel panorama delle star di Hollywood per essere un visionario e uno che ama fare le cose a modo suo. Si è dedicato, da subito, agli investimenti oltre che a una carriera nel mondo dell’intrattenimento, tutti indirizzati verso le cause in cui crede. Ed è stato uno dei primi, quando ancora nessuno ne parlava, a lanciare il modello dell’imprenditore sociale.

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Dalla carriera cinematografica al background finanziario

Edward è noto per film come Schegge di paura, American History X, Fight Club, La 25° ora, Glass Onion: A Knives Out Myster, dove interpreta un imprenditore tech. Ha fondato inoltre diverse società di successo e fa parte di diversi consigli di amministrazione aziendali e no-profit, come il Maasai Wilderness Conservation Trust, per cui ha raccolto consistenti fondi correndo la maratona di New York.

“Miro a creare modelli filantropici che non si basano solo sulle semplici donazioni, ma che sono in grado di fare guadagni, in modo da renderli business produttivi e in grado di gestirsi da soli e di raggiungere il successo anche economico, oltre che la visibilità”, ha detto.

Ha esposto, di recente, ancora, questo concetto sul palco di Dreamforce di Salesforce, a San Francisco, una manifestazione a cui è sempre stato legato. Lo vedremo al cinema dal 25 dicembre negli Usa e dal 23 gennaio 2025 in Italia in Complete Unknown di James Magold, l’atteso film sulla vita di Bob Dylan, interpretato da Timothée Chalamet.

L’intervista a Edward Norton

Lei non è nuovo nel settore degli investimenti. Ha avuto già esperienze con Uber e la piattaforma di raccolta fondi CrowdRise, che è stata poi acquistata da GoFundMe.
Essere un imprenditore è come recitare, scrivere o dirigere. È un altro modo per raccontare storie. Il mio intento è sempre stato cercare un migliore modello finanziario per l’industria dell’intrattenimento e, perfino, la filantropia, che spesso si basa solo su donazioni. Fondare e sviluppare un’azienda è un’attività altrettanto creativa, perché implica una buona dose di comunicazione. Magari ci sono imprenditori di successo senza che nessuno sappia di loro, ma io ho usato spesso anche i social media per riuscire a raggiungere investitori e clienti.

Durante Dreamforce quest’anno ha presentato Zeck, che ha raccolto oltre 7,5 milioni con Saleforce Ventures, Khosla Ventures e Breyer Capital ed è in crescita costante. Di cosa si tratta?
È una piattaforma software basata sul cloud che ha rivoluzionato il tedioso processo delle riunioni del consiglio di amministrazione per favorire una metodica decisionale migliore con gli investitori e con i dirigenti stessi, creando efficienza temporale migliore e anche un miglioramento qualitativo delle dinamiche delle attività. Zeck è stato fondato da me con Robert e Jeffrey Wolfe, in fondatori di Moosejaw, acquisito poi da Walmart e di CrowdRise, acquisito poi da GoFundMe, e con James Zubok, investitore di private equity ed esperto di società di software. Dopo aver partecipato a tante riunioni obsolete e inefficienti, sia come operatori che come consiglieri, abbiamo deciso di reimmaginare completamente l’intero processo di riunione del consiglio, con un software con schede in più rapida crescita.

Tra gli imprenditori che ammira di più ha nominato Marc Benioff, fondatore, presidente e ceo di Salesforce e dal 2018 proprietario, con la moglie Lynne, del settimanale Time.
Lo conosco da molto tempo ed è stato il primo imprenditore per me, che si è basato non solo sul capitalismo degli azionisti, ma anche dei “portatori di interesse”, gli stakeholders, su quello che possiamo fare per la nostra comunità e non solo per noi stessi. Per me, come per lui, abbiamo bisogno di un maggiore senso di scopo per il capitalismo imprenditoriale. Marc si è sempre impegnato per creare soluzioni per restituire alla comunità, oltre che per guadagnare. Per me lui è un vero imprenditore sociale, perché ha cercato di riqualificare anche il settore importante del no-profit in Usa, che in nessun altro paese, è tanto grande. Ormai esistono moltissime fondazioni e continuano a crescere. Per me un imprenditore deve anche organizzarsi per risolvere i problemi sociali e del mondo, invece di guadagnare quanto più denaro possibile. E, secondo la mia visione, un altro modello economico ideale per il futuro è il capitalismo per l’ambiente e sostenibile, con attenzione alle energie rinnovabili.

È anche un Goodwill Ambassador per la Biodiversità all’Onu ed è sempre stato impegnato nella causa ambientale.
Supporto l’Africa Wildlife Foundation, che combatte il bracconaggio di elefanti e rinoceronti e altri animali e sono il presidente della sede americana del Maasai Wilderness Conservation Trust. Ho sempre amato viaggiare e l’avventura. Quando a 14 anni mi immergevo nelle acque dei Caraibi la barriera corallina era molto diversa da adesso, che è degradata tantissimo. E, perfino i pesci non sono più numerosi come allora. Assomiglia a una foresta bruciata, certe sue parti sono morte o stanno morendo. È terribile vedere come il nostro pianeta sia in grave pericolo e come ancora troppa parte dell’umanità, per non dire certi nostri politici, restino indifferenti a questo o ignorino il problema. Sono molto attivo nell’Africa orientale, e mi sono sempre impegnato per proteggere l’equilibro tra uomo e natura, le comunità locali a rischio, e per cercare di promuovere uno stile di vita il più sostenibile possibile.

Tra i suoi investimenti c’è pure Edo, società tecnologica con basi a New York, Los Angeles e San Francisco, che misura l’impatto degli annunci in modalità lineare e in streaming. Le ne è presidente e co-fondatore.
Continuerò a fare film, ma credo nel futuro della tv come mezzo sempre più vasto di diffusione. Edo è una società di analisi che ho fondato con l’economista e imprenditore Daniel Nadler. Al momento abbiamo stretto collaborazioni con Disney, Amazon, Netflix, Paramount Global, TelevisaUnivision, Nielsen e svariate altre, mentre abbiamo aiutato inserzionisti come State Farm o SoFi a fare le migliori scelte di investimento.

Dove vede le maggiori possibilità di successo nel futuro?
La maggior parte dei dati sul pubblico televisivo si basano sul calcolo di quante persone vedono uno spettacolo o una pubblicità, Edo esamina l’attività di ricerca legata alla comparsa di un programma o di una pubblicità in TV. Offre analisi più elaborate e produttive, con un vasto archivio creato in oltre dieci anni. La nostra attività di ricerca si basa su alta tecnologia ed è un indicatore migliore dell’interesse dei consumatori rispetto a qualsiasi valutazione del pubblico. Inoltre, può essere resa immediatamente disponibile ad acquirenti e venditori. Vogliamo rivoluzionare la tecnologia pubblicitaria televisiva e finora abbiamo ottenuto dei risultati molto positivi.

Lei è da sempre più attivo in campo imprenditoriale: come concilia questa sua attività con quella dell’attore?
In principio non avevo subito chiaro che volevo diventare attore. Mi appassionai prima al teatro, ma più al recitare in sé. Ero attirato dalla cinematografia ed ero quasi disgustato dall’idea di diventare famoso o di essere considerato solo per il mio aspetto fisico. Presi come modello attori come Robert De Niro, Dustin Hoffman e Al Pacino, perché mi sembrava puntassero  solo alla loro recitazione, non curandosi di sembrare attraenti. Ma avevo talento per la recitazione, perché feci il mio esordio a otto anni in un musical e poi notai che mi cercavano. Così decisi di buttarmi nei film. Per un periodo insegnai e non me la cavavo male. Mi piaceva scrivere: sono sempre stato abile con le sceneggiature. Per avere successo ho semplicemente evitato di parlare della mia vita privata e mi sono focalizzato puramente sulla mia professione. Ho sempre creduto che le troppe chiacchiere, mi distraessero dai miei obiettivi e mi facessero perdere tempo.

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