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Come trasformare il panettone in business globale prima che lo faccia uno straniero

Il panettone a Natale non è solo tradizione. Una buona fetta è anche quella del giro d’affari. Che però non è mai riuscito a decollare oltre i confini nazionali.

Le potenzialità di sviluppo, per un prodotto poco conosciuto e quasi di nicchia, però sono enormi. Nel 2016 il valore dell’export di panettone si è aggirato a circa 60 milioni, e nel 2017 dovrebbe crescere del 10%. A questi numeri va aggiunta la componente che deriva dagli acquisti effettuati dai turisti stranieri nel nostro Paese: il 70% dei pasticcieri artigianali intervistati dalla Camera di commercio di Milano dichiara che l’acquisto da parte di stranieri pesa sì e no intorno al 4% del totale delle vendite.

Cosa potrebbe succedere quindi se Milano (ma se preferiamo l’intera Italia) facesse un salto in più, e le sue pasticcerie artigianali (quindi con prodotti di qualità superiore) vendessero all’estero evitando che, come già avvenuto per prodotti come pizza e caffè, siano marchi stranieri a rappresentare nel mondo una specialità italiana?

Appurato che anche all’estero c’è domanda di panettone, resta da capire come le singole pasticcerie italiane possano vendere all’estero, magari direttamente al consumatore, panettoni durante il periodo natalizio e perché no, come fanno Harrods & Co, durante tutto l’anno (a proposito, Harrods vende un panettone a 20 sterline, circa 23 euro).

Sempre l’analisi della camera di commercio di Milano evidenzia quanto per i mastri pasticceri sarebbe utile utilizzare maggiormente internet e le nuove tecnologie digitali per meglio promuovere il panettone proiettandolo verso l’estero.

E’ plausibile aspettarsi che una piattaforma internazionale di vendita sia la soluzione ideale? Consideriamo una criticità molto importante. Le piattaforme internazionali hanno come primo obiettivo la vendita. La qualità è sicuramente importante ma se, poniamo, hanno l’opportunità di vendere 1 panettone artigianale italiano a 30 euro al kg con un margine del 10% e un panettone artigianale canadese a 20 euro (ammesso che in Canada si facciano panettoni artigianali) con un margine del 40% è facile comprendere quali dei due prodotti avrà la posizione più alta grazie agli algoritmi di gestione che guidano le scelte dei consumatori sul sito di vendite e-commerce straniero.

Non si dimentichi poi il problema dell’imitazione del made in italy. Il recente accordo CETA, come riporta Coldiretti, salvaguarda pochissimi prodotti italiani (meno di 50) e tra questi non appare il panettone tradizionale (le cui ricette sono ben definite dalle varie associazioni che raccolgono gli artigiani pasticceri).

L’unica soluzione plausibile resta la creazione di un marketplace italiano. Avrebbe più senso un sito e-commerce, possibilmente di proprietà, che possa gestire ordini e soprattutto prevendite. Il concetto di prevendita è semplice e soprattutto aiuta a pianificare gli acquisti di materia prima (quindi se compro più farina, poniamo, potrò chiedere uno sconto al mio fornitore, ergo più margini).

Spedire panettoni artigianali tramite sito e-commerce all’estero sembra una follia? Il Sacher Café di Vienna spedisce le Sacher (ok, non sono panettoni ma nemmeno mattoni da costruzione) con ottimo successo.

Sarebbe più opportuno che le pasticcerie artigianali si aggregassero. Quanto costerebbe un’operazione del genere ad ogni singola pasticceria? Ipotizzando che i costi di costruzione e investimento (per la promozione digitale) del sito e la promozione all’estero dovessero ammontare a 450mila euro e poniamo che tutte le 150 pasticcerie del “panettone classico” milanese si mettessero in affari. Avremmo un costo, abbordabile, di 3000 euro per ciascun produttore.

Se qualcuno vuol far soldi, vendere un prodotto italiano con una storia, promuovere l’Italia, questo è il momento. La tecnologia esiste, la credibilità alimentare dell’Italia anche, basta solo un piccolo investimento e tanta lungimiranza.

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