Per decenni abbiamo lottato per abbattere il digital divide. Ora, che siamo tutti connessi, gli appartenenti alla classe agiata ci stanno ripensando. E stanno cercando di impedire ai figli la dipendenza dalle tecnologie. Il reddito e l’istruzione fanno differenza nell’uso dei dispositivi mobili e dei computer, ma non nel modo che pensavamo: la fa tra chi può permettersi di limitare l’accesso a Internet e agli smartphone, e chi invece ne è sempre più dipendente.
Le scuole pubbliche americane cercano di educare i bambini fin dalla tenera età all’apprendimento mediato dal computer, riporta il New York Times. Chi ha i soldi, invece, vorrebbe bandire gli schermi digitali dalle classi il più possibile.
Qualcuno non ci sta: “Queste società mentono alle scuole, e mentono ai genitori. Ci stanno ingannando tutti”, lamenta al quotidiano una pediatra di Kansas City, riferendosi alle aziende che stringono convenzioni con gli istituti scolastici per l’adozione delle nuove tecnologie nell’apprendimento. La storia è quella dei genitori di una piccola scuola del Kansas, che volevano allontanare i propri bambini dal mondo digitale, senza riuscirci. Sia perché nessun genitore voleva condannare il proprio bambino all’isolamento tecnologico, e poi perché gli studenti delle medie non riescono già più a rinunciare ai cellulari. Le mamme e i papà, disperati, hanno tentato in tutti i modi di persuadere figli e insegnanti a cambiare l’approccio, ma non c’è stato nulla da fare.
Vale anche per i genitori che vivono nella terra dei giganti tecnologici, Silicon Valley, “sempre più spaventati dall’impatto che gli schermi hanno sui loro bambini, scelgono stili di vita liberi dagli schermi”, scrive Nellie Bowles, autrice dell’articolo.
“Il digital divide riguardava l’accesso alla tecnologia, e adesso che tutti ce l’hanno, il nuovo digital divide è limitare l’accesso alla tecnologia”, racconta Chris Anderson, ex direttore di Wired, al Times. “Quello che può succedere ora è che i figli dei più poveri e del ceto medio cresceranno con gli schermi, mentre i figli della élite di Silicon Valley torneranno ai giocattoli di legno e al lusso delle interazioni umane”.
“Per gli insegnanti di oggi, riuscire a far concentrare i propri studenti e a fargli prestare attenzione a quanto sta venendo discusso in aula, resta una sfida costante”, scrive la psicologa Azadeh Aalai. “In particolare, siamo in competizione con i gadget digitali dei nostri studenti ogni giorno, a partire da quando entriamo in classe”.
Non è un caso, dunque, che il New York Times si trovi in prima linea nel racconto delle implicazioni vastissime della nostra cultura sempre più digitalizzata. Il nuovo trend di ricerca probabilmente si focalizzerà su come gli studenti si avvicineranno alla tecnologia sulla base del loro status socioeconomico, con i membri della classe agiata che identificano i pericoli di troppo tempo passato con lo smartpone in mano mentre tutti gli altri non possono dirvi di no: per lavorare o trovare lavoro, per comunicare, per apprendere.
Con due effetti collaterali, scrive il quotidiano americano: le scuole per i bambini a basso reddito “dipendono troppo” dagli strumenti tecnologici. E i bambini stessi, secondo alcuni ricercatori, sono quelli che sviluppano una maggiore dipendenza dalla tecnologia rispetto ai coetanei più benestanti.
Secondo Pierre Laurent, in passato dirigente a Microsoft e Intel e ora nel consiglio di amministrazione di una scuola d’eccellenza di Silicon Valley: “Il messaggio lì fuori è che il tuo bambino resterà imprigionato in un’altra dimensione se è incollato a uno schermo. Quel messaggio qui non funziona”. Spiega Laurent: “La gente che vive in questa parte del mondo capisce che ciò che conta veramente è tutto ciò che avviene intorno al Big Data, all’intelligenza artificiale, e non è qualcosa in cui potrai essere particolarmente bravo perché avevi un cellulare in mano alle elementari”.
Se chi lavora per innovare il mercato diventa sempre più sospettoso, e si sta attrezzando per disconnettere i figli, Apple e Google competono per introdurre i loro prodotti nelle scuole, avendo nel mirino i bambini più piccoli: nell’età in cui la lealtà al brand comincia a formarsi.
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