La T-Mobile Arena di Las Vegas, illuminata. (Shutterstock)

La forza dell’Italia è ancora negli imprenditori di prima generazione che non si lasciano abbattere dalle difficoltà. E devono avere due caratteristiche, che nella teoria dell’impresa sono storicamente quasi antagoniste. Da una parte l’idea “macro” dell’economista austriaco Schumpeter, secondo la quale il vero imprenditore è quello capace di concepire, coltivare e realizzare un’idea – un prodotto, un servizio, un modello organizzativo o gestionale – volto a rompere l’equilibrio del mercato, e ad avviare una distruzione creatrice. Dall’altra quella “micro” dell’economista Israel Kirzner, secondo la quale invece credere che ogni ottimo imprenditore infranga gli equilibri è un’illusione, perché in ogni caso deve essere prima di tutto capace di allocare e arbitraggiare al meglio rispetto ai suoi concorrenti ogni singolo centesimo del costo del lavoro, del capitale, degli intangibles, della distribuzione e della logistica: insomma di tutti i fattori della produzione, interni ed esterni al proprio perimetro.

L’Italia è bancocentrica per la provvista di capitali di debito e investimento, e ancora troppo frenata da economie di relazione invece che di merito. Senza Kirzner non puoi neanche provarci, a fare quel che diceva Schumpeter. Ed è declinando magari senza neanche saperlo questi dettami, che da noi continuano dal basso ad affermarsi imprenditori di successo che non avevano dietro né famiglie, né capitali. Uno di loro è per esempio Remo Ricci, bolognese ed emiliano dai piedi ai capelli, classe 1963. Perito informatico, poi un anno di formazione post diploma all’Istituto Ifoa, e dopo diversi stage aziendali alla Sda-Bocconi prestissimo al lavoro come venditore di componenti elettronici in aziende italiane ed estere, su su negli anni fino a diventare sales & marketing director.

Nel tempo, Ricci matura due idee. La prima è che vendere gli ha consentito di conoscere bene il settore, i prodotti e i servizi connessi, ma dal commerciale vuol passare alla produzione. La seconda è che vuole cimentarsi in un settore che richiede dosi massicce di ricerca e sviluppo. Quindi, serve un’impresa adeguata.

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