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Un italiano a Bollywood

Una scena di riprese ODU in Valle d’Aosta.

Un eroe dalle ciglia folte, una bellezza dagli occhi bistrati, un baffuto antagonista, gli epici balletti sullo sfondo delle Alpi svizzere. Sono una manciata, gli elementi che rendono riconoscibile un autentico film di Bollywood, l’industria cinematografica indiana il cui nome è l’incrocio tra le parole “Hollywood” e “Bombay”. E il fatto che una fetta importante delle scene di montagna sia girata tra i monti della Svizzera rivela anni di attenti investimenti. “L’insospettabile nazione neutrale, cinematograficamente parlando, ospitò per la prima volta una troupe indiana oltre cinquant’anni fa, offrendo le sue cime innevate come scenario prediletto per le ambientazioni tra i monti” spiega Ivano Fucci, 32 anni, che insieme a Michele Saragoni è a capo di Odu Movies, oggi leader nella gestione di produzioni cinematografiche asiatiche in Italia. Ma perché la Svizzera? “Perché quelle innevate sono scene cult, esotiche per gli indiani e in tal senso immancabili, ma difficili da realizzare in patria, a causa delle lotte nelle regioni del Kashmir e Jammu, che rendono quei territori poco sicuri per una troupe” spiega Fucci.

Quello del cinema made in India è oggi un imponente sistema industriale, in grado di produrre ogni anno un migliaio e mezzo di titoli in una trentina di lingue, con 6 milioni di addetti al lavoro, per una media di oltre 13 milioni di spettatori al giorno. Secondo l’ultimo rapporto “Indywood” firmato Deloitte, questo si traduce in un giro d’affari di oltre 2 miliardi di dollari, che potrebbero arrivare a 3,7 entro il 2020.

Un exploit previsto per tempo da Fucci che, ai tempi dell’Università, a Lucca, scelse di passare alcuni mesi in India per migliorare il suo inglese a basso costo, e con la certezza di non avere altri italiani a distrarlo nell’intento. Un viaggio on the road, che l’ha portato anche nel cuore economico e finanziario del subcontinente, Mumbai: “Stavo lavorando ad una tesi sul tema del turismo e sulle possibilità che una nazione come l’India poteva offrire all’Italia. Conobbi Salvatore Ianniello, il rappresentate dell’ENIT, l’Agenzia Nazionale del Turismo, e dato che in quel momento c’era una posizione aperta per lavorare in agenzia, mi sono proposto e ho avuto il posto, mentre ancora stavo terminando la laurea specialistica”. Tuttavia la realtà dell’ente pubblico non si adatta alle aspirazioni del giovane imprenditore che, sul campo, ha iniziato a intravedere quella che poteva essere la reale risposta alla sua domanda iniziale: come attirare investimenti e turismo indiano in Italia? La risposta, secondo Fucci, si chiamava Bollywood.

Una scena di riprese ODU in Trentino.

I tempi dilatati delle produzioni bollywoodiane permettono infatti lunghi balletti e innumerevoli cambi di scena, con una tendenza a girare le singole parti musicate all’estero, per arricchire il prodotto. Questo non solo significa investimenti da parte della produzione, alberghi pieni fuori stagione, centinaia di comparse locali spesate. “Con il mio socio, Michele Saragoni, nel 2010 abbiamo fondato Occhi di Ulisse, che oggi si chiama Odu Movies: inizialmente eravamo principalmente una società di consulenza commerciale per aziende italiane che volevano promuoversi sul mercato indiano, per sviluppare nuovi business e rapportarsi con clienti locali. Fin da subito, in parallelo, abbiamo iniziato a girare dei video, come parte dei piani di marketing”. Presto però sull’attività di consulenza vera e propria prevale l’idea di portare in Italia le grandi produzioni cinematografiche indiane. “La tesi cui avevo lavorato ai tempi dell’università era intitolata proprio “Bollywood sulle Alpi” e raccontava come i forti arrivi di turisti indiani in Svizzera fossero legati al fatto che, all’interno dei film, questa era proiettata con un’accezione puramente romantica e incredibilmente suggestiva. Ho capito che era la destinazione, in questo caso l’Italia, a doversi promuovere direttamente attraverso Bollywood”.

È il 2011 l’anno della prima grossa produzione che Fucci riesce a portare in Italia: a Milano sbarca così il film bengalese Paglu, prodotto dalla Surinder Films: “Al botteghino andò molto, molto bene. E gli indiani sono fortemente scaramantici, anche negli affari. Ecco perché l’incredibile successo ci ha assicurato uno dei nostri clienti di punta, il grande produttore Nispal Singh”. Per una ventina di giorni di lavoro una produzione indiana può arrivare a spendere in media 250mila euro. Per Ivano Fucci, che nel frattempo si è sposato con la stella della canzone bollywoodiana Shweta Pandit e che parla fluentemente hindi, parte del lavoro è organizzare l’arrivo della produzione nei dettagli e in accordo alle esigenze di questo specifico cliente, che vanno dall’assicurare menu vegano al trovare velocemente le decine (se non centinaia) di ballerini richiesti per le scene in musica. “Spesso la trama principale è girata in India, ma altrettanto spesso la produzione sceglie di girare all’estero i balletti: almeno una volta al mese portiamo in Europa circa 35 persone e in genere servono tra i cinque e i dieci giorni per girare la scena. Rispetto a un intero film, si gira in presa diretta e non c’è bisogno del silenzio generale, quindi gli accorgimenti tecnici sono inferiori. Non vanno però considerate scene di serie B, anzi. Si tratta di una parte della narrazione fondamentale, tanto che circa il 30% dell’intero prodotto finale è solitamente composto da balletti”.

Quello che conta, quando il carrozzone di Bolllywood si muove, è quello che porta a casa, in termini di marketing per la nazione ospitante. È insomma il perfetto biglietto da visita per portare nella medesima località la sempre più interessante classe di viaggiatori indiani dalla buona capacità di spesa. Nel 2016 oltre 350 mila turisti indiani hanno scelto la Svizzera, numero che (secondo le previsioni dell’Ente del turismo, che ha apportato una campagna pubblicitaria ad hoc), nel 2017 potrebbe vedere un aumento del 10%. In prima linea, accanto a professionisti come Fucci, c’è l’Associazione Italian Film Commissions, composta da 16 commissioni su tutto il territorio italiano, che radunano vari organismi che provvedono (gratuitamente) all’erogazione di servizi, dall’assistenza logistica all’accesso alle risorse finanziarie locali, ma anche la concessione dei permessi e la ricerca delle location più suggestive. “La Film Commission regionale per noi è il primo passaggio, ci aiuta subito a individuare le città adatte o che possono essere promosse grazie al film. Poi entrano in gioco i comuni, gli alberghi, le imprese locali”.

Per gestire logisticamente il lavoro, nel quartier generale di Lucca ci sono due dipendenti fissi, più quattro persone a tempo determinato, che ruotano sui progetti in arrivo: “Passiamo così velocemente da sei a trenta dipendenti, ma nella fase più complessa della produzione arriviamo ad assumere un paio di centinaia di persone”. Dalla Liguria al Trentino, dal Veneto alla Valle d’Aosta passando per la Lombardia e spaziando poi al resto d’Europa, lo scorso anno la società ha realizzato una dozzina di film: “Nel 2016 abbiamo realizzato un milione e mezzo di fatturato, nel 2017 ci siamo avvicinati alla cifra, senza superarla. Per il 2018 abbiamo in programma tre grossi progetti come production service, con clienti indiani, che ci dovrebbero portare a superare il giro d’affari del 2016”. Nell’anno che vede i festeggiamenti per il 70 anni di relazioni diplomatiche tra l’Italia e l’India, secondo Ivano Fucci, Bollywood è una delle strade che il nostro Paese deve percorrere, per proporsi con successo nel subcontinente, come meta turistica: “C’è una classe alta, fatta di imprenditori e viaggiatori wealthy, che conoscono molto bene l’Italia, anche quella minore. Ma quella da attrarre è l’esplosiva middle class indiana, che può essere raggiunta con le produzioni cinematografiche. È fondamentale non mancare all’appuntamento, per definirci agli occhi della generazione giovane indiana come quel paese romantico e avventuroso immancabile nel loro piano di viaggio”.

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