Che la guerra commerciale abbia inizio, finalmente. È questo che deve aver pensato Peter Navarro, assistente del presidente americano Donald Trump per la politica commerciale e direttore del White House National Trade Council, poco prima dell’annuncio del nuovo giro di tariffe contro la Cina. Una misura che era nell’aria, specie dopo l’ipotesi di dazi su alluminio e acciaio, ma che era ritenuta improbabile dalla diplomazia presente nella capitale statunitense. Una scelta che rischia di avere ripercussioni ben più gravi delle previsioni.
Vinta la battaglia intestina contro Gary Cohn, il direttore del National Economic Council che ha lasciato il posto poche settimane fa, Navarro è ripartito con la stessa foga con la quale ha scritto il suo libro più celebre, “Death by China”. Lo stesso che ha fatto breccia nel cuore di Trump, a tal punto che il miliardario newyorkese ne ha fatto uno dei simboli durante la vincente campagna elettorale. Cohn, ex presidente di Goldman Sachs, era conscio che iniziare una guerra sui beni importati dalla Cina avrebbe non solo fatto infuriare gli operatori finanziari (ieri Wall Street ha risposto in modo inequivocabile), ma avrebbe creato distorsioni geopolitiche di significativa rilevanza. Eppure, Trump ha deciso di far fuori Cohn, dare ascolto a Navarro, e imporre tariffe per circa 60 miliardi di dollari su un paniere di beni importati dalla Cina.
Le implicazioni di questa scelta sono reali. Il colosso americano del commercio elettronico Best Buy ha annunciato di voler stoppare l’acquisto degli prodotti Huawei, mentre Apple sarà probabilmente costretta a incrementare il prezzo finale dei propri device, in quanto è vero che sono “designed in California” ma sono anche “imported from China”. Il tutto senza contare che per fare ciò, il presidente Trump ha utilizzato il section 301 del Trade Act del 1974, il quale permette all’inquilino della Casa Bianca di prendere decisioni in materia di politica commerciale senza la preventiva consultazione della World Trade Organization (Wto). Una scelta, considerata dalla comunità diplomatica di Washington, «tipica della Guerra fredda, nonché del tutto ingiustificata dall’apertura cinese verso il libero mercato e la concorrenza».
È quindi stata attivata quella che J.P. Morgan considerava, nel novembre 2017, l’opzione nucleare sul commercio. E non si farà attendere la risposta cinese, sia su un piano commerciale sia su un piano geopolitico, considerato che la grana della Nord Corea ancora non si è risolta. Del resto, sul primo lato Pechino è il primo partner commerciale statunitense, e dal secondo la Cina ha giocato e continua a giocare un ruolo cruciale per la ricerca della pace fra Pyongyang e il resto del mondo occidentale. Ma c’è di più.
In realtà, infatti, la questione è ben più profonda di quello che si potrebbe immaginare. Da decenni Washington si lamenta che Pechino copia parte della proprietà intellettuale statunitense. E sono ancora diverse le cause aperte con la Cina presso la Wto. Un esempio è la mappa soprastante, fissata al 22 marzo 2018. Quasi tutte le cause riguardano la proprietà intellettuale. E proprio su questo punto si è focalizzata la misura di Trump. Ma perché proprio ora?
Una tesi che circola negli ambienti diplomatici di Washington da settimane è tanto semplice quanto ragionevole, se si pensa alla schizofrenia dell’attuale esecutivo. Dopo le tariffe su acciaio e alluminio, che hanno fatto infuriare Europa e Canada, l’amministrazione Trump si è resa conto che qualcosa doveva essere fatto. Dopo anni di accuse sulle pratiche commerciali scorrette da parte di Pechino, Trump non poteva soltanto attaccare i suoi principali amici transatlantici. Ecco quindi perché, al fine di ribilanciare l’intera partita, ha deciso di dare ascolto a Navarro e ha optato per imporre sanzioni e tariffe anche alla Cina.
Il problema è che una decisione del genere, data l’attuale bilancia commerciale statunitense, non potrà non avere ripercussioni anche sull’economia domestica. Ciò significa che, secondo la Brookings Institution, è legittimo attendersi un incremento dei prezzi di diversi prodotti, tecnologici e non, che avrà una ripercussione sulle classi meno abbienti operanti negli Stati Uniti. Vale a dire, parte della base elettorale di Trump.
Allo stesso modo, Trump sta mettendo in difficoltà anche Jerome Powell, il successore di Janet Yellen sullo scranno più importante della Federal Reserve. Dopo il rialzo del tasso d’interesse principale avvenuto lo scorso mercoledì, sarà difficile mantenere i tre incrementi del costo del denaro previsti dagli economisti della Fed per l’anno in corso. Le conseguenze sui consumi, e sull’incremento generale del livello dei prezzi al consumo, del conflitto commerciale contro la Cina potrebbero andare ben oltre le aspettative di Navarro e Trump.
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