Diminuiscono i giorni di incasso medi tra le aziende italiane. Passano da 85 a 83 giorni, ma si tratta di tempi ancora lunghissimi per riscuotere un credito, soprattutto nei settori dei servizi finanziari e delle utility, ben al di sopra dei 66 giorni medi che si registrano a livello mondiale (il livello comunque più alto degli ultimi 10 anni). Sono alcuni dei dati estratti da Euler Hermes in un’analisi svolta in 36 Paesi e che ForbesITALIA pubblica in anteprima per i suoi lettori.
I tempi di incasso rappresentano il termometro più rilevante della salute dei settori economici e dunque delle aziende che ne fanno parte; in un contesto globale di crescita dei fondamentali, la presenza di un allungamento dei tempi può essere considerato un punto di forza delle aziende che, meritando maggior fiducia, ricevono sostegno nel proprio ciclo commerciale da parte dei propri fornitori; in Italia, al contrario, l’allungamento dei tempi è spesso coinciso nella storia degli ultimi anni con la maggiore difficoltà delle aziende ad onorare gli impegni contrattuali nei tempi pattuiti, situazione che può generare tensioni finanziarie sino al rischio di insolvenza, impoverendo la marginalità della filiera che si trova costretta spesso a finanziare i ritardati incassi con l’indebitamento oneroso.
In Europa, l’Italia si è contraddistinta – assieme a Danimarca e Finlandia – per la più decisa diminuzione dei giorni di incasso. Da un lato, spiega Massimo Reale, direttore commerciale Euler Hermes Italia, grazie al miglioramento della congiuntura economica, dall’altro per il progressivo smaltimento degli Npl bancari che ha permesso al sistema di erogare più liquidità. “Le aspettative di Euler Hermes per l’Italia rimangono positive, nonostante il rischio del deterioramento delle insolvenze a livello globale. Nell’immediato futuro, ci attendiamo un’ altra riduzione della forbice rispetto ad altri Paesi, in particolare associata a una liquidità di sistema ancora adeguata”, aggiunge Reale.
Ma cosa si potrebbe fare per innescare un processo virtuoso di riduzione dei tempi già nel breve termine? Reale individua tre punti salienti: “Estendere la normativa sui tempi di pagamento obbligatori già presente in alcuni settori (agroalimentare) a tutta l’economia reale, imponendo in particolare le stesse disposizioni ai crediti verso la Pubblica Amministrazione; massimizzare i benefici dell’imminente introduzione della fattura elettronica, che renderà molto più rapido, efficiente e tracciabile il sistema di fatturazione delle transazioni commerciali; garantire la liquidità e il giusto costo del denaro sul mercato, con particolare riferimento alle PMI, le prime a soffrire il taglio dei finanziamenti e delle linee di credito nei periodi di crisi, le prime a rischiare il proprio business quando costrette ad incassare oltre i tempi dovuti”.
L’allungamento dei tempi di incasso nel 2017 è un fenomeno trasversale, in quanto è presente in due terzi dei settori e dei paesi analizzati. I tempi medi di incasso a livello globale sono più bassi in Nuova Zelanda con 43 giorni, seguita dai Paesi Nordici (Danimarca e Finlandia), Austria e Svizzera, USA e Paesi Bassi. Del gruppo con i tempi più lunghi fanno invece parte Francia (74), Italia (83) e Cina, quest’ultima al livello massimo di 92 giorni. Per quale motivo in Cina i tempi sono così lunghi? E ciò può comportare problemi per le aziende italiane che lavorano con il paese asiatico? “Le motivazioni sono molte”, spiega ancora Reale, “citerei le principali; in primis il sistema produttivo in mano alle grandi corporazioni e società di matrice statale che impongono modalità e tempi; da aggiungere poi la presenza di ingenti sostegni finanziari ai settori/aree target dell’economia, rispetto a molti altri settori (soprattutto quelli con sovracapacità produttiva) che sono entrati in difficoltà generando ritardi nelle filiere; in ultimo la chiusura e la poca trasparenza del sistema dei pagamenti che rende estremamente difficoltosa anche le attività di recupero del credito sul territorio. Questo aspetto probabilmente è il più pericoloso per le aziende esportatrici italiane, nonostante il grande potenziale di mercato e il potere d’acquisto presente nel paese, che deve imporre un’attenta selezione della clientela unito a un costante monitoraggio delle transazioni economiche intraprese”.
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