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Come Piquadro ha scommesso sulla sua pelle

Marco Palmieri ha fondato Piquadro nel 1987


Articolo tratto dal numero di luglio di Forbes Italia
Di Cristina Manfredi 

Ce n’è voluto di tempo a Marco Palmieri per trasformare il suo pensiero laterale in un plus. Classe 1965, nato a Milano ma cresciuto nel bolognese, sorride nel ripensare a quando da ragazzo le sue intuizioni fuori dagli schemi restavano incomprese. Poi è successo che l’idea di passare alla pelletteria, lasciando l’informatica applicata ai sistemi di controllo produttivo, è diventata una realtà che si chiama Piquadro. E ha chiuso il 2017 con un fatturato di oltre 97 milioni di euro, in crescita del 28,6% rispetto al 2016.

Tutto è cominciato nel 1987, quando Palmieri inizia a produrre cinture con i primi macchinari acquistati e piazzati nell’allora garage di casa. Lo aiuta quella che poi sarebbe diventata sua moglie, Beatrice Nichele, ma i legami affettivi finiscono lì, perché Palmieri non proviene da una famiglia di imprenditori e non ha nessuna eredità industriale da raccogliere. Traccia la sua idea di azienda e di prodotto seguendo solo il suo istinto e lancia il marchio nel 1998, con un’offerta di borse, cartelle, zaini, valigeria e piccola pelletteria, sviluppata nel tempo. Il pubblico riconosce e apprezza la funzionalità applicata all’estetica tipica di Piquadro, mentre il marchio viene quotato alla Borsa Italiana nel 2007. Nel 2016 Palmieri rileva il toscanissimo brand The Bridge e lo rilancia in grande stile, raggiungendo l’anno successivo ricavi oltre i 23 milioni di euro, che rappresentano circa il 24,6% della crescita complessiva del gruppo. Infine, a inizio giugno, Piquadro ha perfezionato l’acquisizione dello storico marchio parigino Lancel dal Gruppo Richemont, con un fatturato da 53 milioni realizzato nell’esercizio chiuso a marzo 2018.

Come si fa a mettere in piedi un piccolo impero degli accessori partendo da zero?
L’Italia è il Paese delle aziende di famiglia, dove il saper fare viene custodito e tramandato con cura e orgoglio. Si tratta di un patrimonio culturale importantissimo, ma a volte può rappresentare un limite. Nel mio caso, il fatto di non dovermi confrontare con i genitori, dimostrando di essere almeno altrettanto bravo e non sentire il peso di proteggere l’impresa tramandata da generazioni, è stata la mia fortuna. Ero libero di rischiare, sviluppando la mia personale visione del progetto. Anche il non essere inserito in un distretto industriale è stato un bene. Quando sei una realtà affermata, fa gioco trovarsi all’interno di un tessuto sociale e produttivo condiviso, ma all’inizio si rischia l’omologazione. Io non ho mai voluto conformarmi a una visione predefinita del prodotto.

Allora come mai ha acquisito The Bridge, un’impresa squisitamente familiare e da ultimo Lancel, altro brand carico di storia?
Perché hanno entrambi una identità precisa e riconoscibile. E perché come Piquadro eravamo pronti a fare delle operazioni più strutturate. Siamo solidi, disciplinati, costanti nei risultati e con una forte capacità organizzativa. Nel caso di The Bridge, abbiamo razionalizzato certi aspetti gestionali e distributivi, ma a nostra volta abbiamo imparato moltissimo dalle loro esperienze e tecniche. Sono convinto che con Lancel possiamo fare altrettanto.

Qual è la sua vera forza?
La curiosità, in primo luogo. E la capacità di strutturare al meglio la realizzazione pratica di uno spunto creativo. In più credo di essere stato il primo tra i piccoli a cercare un private equity per farmi finanziare. Ma anche qui si ritorna al discorso di prima. Non avevo capitali di famiglia da investire, perciò mi sono dovuto inventare una soluzione per crescere.

Come ha fatto a convincere i mercati con un approccio mentale fuori dagli schemi?
Ci sono riuscito nel momento in cui ho imparato a spiegarmi con chi mi stava intorno. Conosco persone geniali che non hanno mai raggiunto dei traguardi importanti perché non sanno comunicare efficacemente con il proprio team. Io mi fido del mio gruppo di lavoro, così come loro di me e abbiamo tutti un obiettivo comune. In più io ho un compito nei loro confronti: proporre dei percorsi sfidanti che migliorino la qualità delle loro vite.

E qual è la sua sfida oggi?
Dopo l’operazione Lancel continuo a guardarmi intorno, perché potremmo valutare altre acquisizioni in futuro.

Che consiglio darebbe oggi ai giovani imprenditori?
Siate irragionevoli, perché è quella la chiave delle grandi intuizioni. E non ponetevi come obiettivo i soldi. Concentratevi sull’offrire prodotti e servizi sempre migliori: solo così arriveranno i guadagni.

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