Articolo tratto dal numero di agosto di Forbes Italia
Di Eva Desiderio
Se possibile oggi è ancora più combattiva di quando ebbe inizio la sua avventura, alla fine degli anni ’70, con già chiaro in testa l’obiettivo verso cui concentrare la propria creatività: inventare bijoux, per rinnovare un mercato fermo agli anni americani dell’anteguerra, facendoli diventare veri protagonisti del guardaroba delle donne, accessori capaci da soli di cambiare un look, modulare una personalità femminile. “Sono stufa di veder rovinare le cose e versare poi tante lacrime di coccodrillo”, dice Angela Caputi, imprenditrice e designer fiorentinissima, ma cittadina del mondo. “Io ho sempre difeso strenuamente l’artigianato e i suoi valori, mentre altri hanno delocalizzato con l’aiuto delle banche, hanno smesso di mandare i ragazzi ad imparare il mestiere. Questi sono errori irreparabili e la politica ha le sue colpe”. Lei continua a usare le mani e insieme ai suoi quindici dipendenti, soprattutto donne, a far vivere tra colori e fantasia il laboratorio-bottega di via Santo Spirito, al 58, Firenze, nel seicentesco Palazzetto Medici, tappa obbligata di chi cerca ancora pezzi unici e una moda che sa emozionare. È una signora dolce e solare Angela, ma di polso, coraggiosissima e decisa, colta e curiosa, amante dell’arte e della natura, fedele e coerente alla regola di una vita serena e severa, dedicata al suo brand e alle sue passioni.
“I grandi gruppi del lusso stanno comprando tutto, interi laboratori, e gli artigiani non sono più liberi di fare quello che vogliono, di far uscire gli oggetti dalle loro mani con spontaneità”, continua Angela, che da sempre fa seguire alla sua etichetta, Angela Caputi, il soprannome Giuggiù, “perchè così mi ha sempre chiamato mio padre”, confida con tenerezza. In tempi di invasione social lei resta ferma sulle sue posizioni. “Sono contraria alla vendita sul web delle mie collezioni. Artigianato e internet non vanno d’accordo, essere artigiani vuol dire intraprendere un dialogo tra chi crea e chi compra. C’è una cultura che altrimenti va a morire. Io non ho voluto un sito online”.
Angela ha cominciato a lavorare in una stanza di via Cimabue, da sola e con una ragazza ad aiutarla. Poi via via la crescita, prima in Borgo Pinti, poi in una ex chiesa in Borgo San Jacopo e ora in Santo Spirito, sempre nel cuore di Firenze. “La prima collezione era dedicata al Natale ed aveva per soggetto dei cappellini tirolesi. Era il 1977, ebbi coraggio, incoscienza, ne facevo di tutti i colori, cercavo un materiale leggero pensando al rhodoid americano. Nessuno credeva che coi bijoux in plastica potessi sfondare. Oggi sono entrata nei musei del mondo e nei loro bookstore. Lo sforzo più grande all’inizio fu spiegare alle banche quello che volevo fare. Ma li devo ringraziare perché hanno creduto nel mio lavoro”, dice muovendo le mani – ogni dito un anello antico o liberty comprato nei mercatini in giro per il mondo – e allineando sul tavolo di lavoro pezzetti colorati, fili, piccoli talismani che prendono la forma di collane o bracciali. Nessun disegno a fermare la creatività di Angela Caputi, solo le mani che mischiano i colori e le forme. Allo stesso modo ha agito quando nel passato ha pensato di sviluppare una linea di abbigliamento cruise e di costumi da bagno. Oggi preferisce affiancare ai suoi bijoux i manufatti di alcune aziende artigianali che scova durante i suoi viaggi. Con lei lavorano il figlio, Alessandro Bencini, che fa il fotografo, e la figlia, Maddalena Bencini, che la affianca nelle linee e gestisce la boutique di Parigi, dopo averle fatto spesso da modella. Figura fondamentale anche la sorella. Più di una spalla, consigliera discreta e molto attiva, come pure alcune collaboratrici storiche.
“Prima di creare i miei gioielli di plastica studio il viso delle donne, lo immagino, e m’ispiro a quello. Le mie ispirazioni sono istintive, non seguono mai le mode del momento, quelle non mi interessano. Mi attira la vita di tutti i giorni. Analogamente, non mi piace l’idea di espandermi troppo e diventare un prodotto commerciale. Ho due negozi a Firenze, uno a Parigi, Milano, Forte dei Marmi, Vienna e un monomarca a Lugano, con un partner. No, in America non ho esclusivisti, non voglio lasciare le mie cose in mano a nessuno, vendo bene in tutti gli Usa, specie in California e Florida. Lo stesso vale per il Giappone, che è un mercato molto sofisticato, e per tutta Europa. E naturalmente in Italia, dove non mancano le clienti e le turiste affezionate”.
Lei si sente ancora semplicemente “un’artigiana” e ne va molto fiera. I suoi fornitori sono quelli di sempre, specie le vecchie fabbriche italiane di bottoni, che hanno ancora vecchi macchinari per inventare cose piccole. “Penso spesso al colore della pelle delle donne e guardo all’arte e alle mostre che visito. Come a Forlì, cui mi sono ispirata per la collezione dedicata ai lapislazzuli. Finora non mi è venuto mai in mente di creare bijoux al maschile, anche se molti uomini usano i miei spilloni sul bavero delle giacche. E adorano i miei cornini rossi!”.
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