Innovation

Gli esperti di intelligenza artificiale guadagnano come rockstar

Nelle foto che lo ritraggono compare con la giacca di pelle, le cuffie appese al collo e uno zaino. Niente di strano, considerando che ha soltanto 32 anni. Potrebbero invece stupire, soprattutto in Italia, i compensi che Ilya Sutskever ha dichiarato nel 2016: 1,9 milioni di dollari. D’altra parte, non stiamo parlando di un attore e nemmeno del brillante fondatore dell’ultima startup di successo della Silicon Valley. Ilya è un ingegnere nel campo dell’intelligenza artificiale. Per la precisione, è il direttore della ricerca di OpenAI: la no profit fondata e finanziata da Elon Musk per studiare potenzialità e rischi della tecnologia che sta rivoluzionando il mondo.

Non si tratta di un caso isolato: come riporta il New York Times, un altro ricercatore di OpenAI, Ian Goodfellow, nel 2016 ha guadagnato 800mila dollari nonostante si sia unito alla no profit solo a marzo; l’esperto di robotica Pieter Abbeel ha totalizzato 425mila dollari pur iniziando a lavorare a giugno (dopo aver preso un periodo di congedo dalla sua cattedra a Berkeley). La ragione per cui questi compensi sono noti pubblicamente, a differenza di quelli di Google o Facebook, è semplice: essendo una no profit, OpenAI è obbligata a dichiarare quanto guadagnano i suoi dipendenti. Per la stessa ragione, però, non può offrire stock option ai suoi lavoratori (che quindi – nonostante le cifre stellari – vengono pagati sicuramente meno dei colleghi assunti dai colossi tecnologici della Silicon Valley).

“La quantità di soldi che circola è imbarazzante”, ha spiegato a Wired Wojciech Zaremba, che ha lavorato sia per Google, sia per Facebook. Ma a quanto ammonta una quantità imbarazzante? Il vicepresidente di Microsoft Research, Peter Lee, ha affermato che i migliori ricercatori nel campo dell’intelligenza artificiale hanno superato i guadagni di alcuni quarterback della NFL; stiamo parlando – come minimo – di svariati milioni di dollari. Non si tratta di esagerazioni, visto che Anthony Levandowsky, ex ingegnere di Alphabet per le auto autonome, ha dichiarato un compenso assolutamente fuori dalla norma: oltre 120 milioni di dollari. E gli esperti di AI alle prime armi? Non se la passano per niente male: i nuovi assunti senza alcuna esperienza pregressa possono guadagnare, secondo le stime, tra i 300 e i 500mila dollari l’anno.

Un’esibizione allo Science Museum di Londra nel 2017.

Tutto questo, comunque, non sta avvenendo solo negli Stati Uniti: nel mese di aprile, Start Today – la società giapponese proprietaria del sito di ecommerce Zozotown – ha pubblicato sette nuove offerte di lavoro nel campo della AI, della robotica e della crittografia. I compensi arrivavano fino a un milione di dollari l’anno (100 milioni di yen). In Cina, gli stipendi nelle startup più importanti possono toccare anche quota tre milioni di dollari. DeepMind, uno dei laboratori di ricerca più avanzati al mondo (di proprietà di Google ma con sede a Londra) spende ogni anno 120 milioni di euro per pagare i suoi 400 dipendenti. La media è di 300mila euro per dipendente.

Da un certo punto di vista, questa potrebbe essere considerata la rivincita dei nerd contro calciatori, manager e attori. In verità, si tratta semplicemente della ferrea legge della domanda e dell’offerta: la AI è un campo che conta oltre mezzo secolo di vita, ma che è esploso solo attorno al 2012; quando pionieri come Andrew Ng (prima a Google, poi a Baidu, oggi alle prese con un progetto personale) hanno dimostrato le straordinarie potenzialità (anche commerciali) dei network neurali alla base di tutti i sistemi di deep/machine learning. Insomma, è passato ben poco tempo da quando questo campo dell’ingegneria informatica – fino a pochi anni fa ancora considerata un’eterna promessa mai realizzata – ha iniziato ad attirare l’attenzione dei colossi tech e degli studenti di tutto il mondo. Col risultato che, secondo i calcoli di Element AI, solo 22mila persone in tutto il mondo hanno le capacità necessarie per fare ricerca di qualità e programmare delle intelligenze artificiali. Un anno fa, erano addirittura la metà. “C’è una valanga di domanda ma pochi rivoli di offerta”, ha sintetizzato il fondatore della startup Skymind, Chris Nicholson.

La concorrenza per attirare i migliori talenti fa salire ulteriormente i compensi; rendendo gli ingegneri più noti dei veri e propri brand, assunti anche allo scopo di attirare le giovani promesse: “Quando assumi una star, non stai assumendo solo lei”, ha spiegato sempre Nicholson. “Stai cercando di assumere anche tutti quelli che la star attrae. E stai pagando anche per la pubblicità che inevitabilmente quella assunzione attirerà”.

Ma ci sono anche delle controindicazioni: prima di tutto, la quantità di offerte per i pochi talenti a disposizione fa sì che questi cambino lavoro con grande frequenza (due dei tre ricercatori di OpenAI citati all’inizio sono passati, dopo meno di un anno, a Tesla e a Google), rallentando inevitabilmente la ricerca tecnologica. L’altro problema, ben più grave, è che le università fanno molta fatica a trattenere i loro docenti, attratti inesorabilmente dalle sirene delle aziende private. In questo modo, la ricerca in un campo cruciale come quello dell’intelligenza artificiale diventa sempre più un affare privato e lontano dal confronto pubblico e accademico. Gli esempi più noti sono quelli di due dei massimi esperti mondiali nel campo della AI, Geoff Hinton e Yann LeCun, che hanno abbandonato (o comunque ridotto) il lavoro presso le rispettive università di Toronto e New York per accettare le offerte di Google e Facebook. Lo stesso vale anche per le istituzioni a guida governativa, sempre più desiderose di approfittare delle potenzialità dell’intelligenza artificiale nel campo della fisica, della medicina, della difesa e quant’altro; ma che raramente possono permettersi di pagare gli stipendi richiesti dai nomi più noti.

La bolla, se così possiamo chiamarla, è comunque destinata a scoppiare. Nel giro di pochi anni, una nuova e numerosa ondata di giovani talenti uscirà dalle università per riversarsi nel mondo del lavoro. A quel punto, forse, gli esperti di AI smetteranno di essere trattati come rockstar per tornare a essere considerati per ciò che sono: dei “semplici” geni della matematica.

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