mps, monte dei paschi di siena
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Cosa sta succedendo al Monte dei Paschi. E perché si incrocia con Carige

La sede del Monte dei Paschi a Siena. (Getty Images)

“Entro due o tre mesi, saremo chiamati a fare delle scelte” sulla destinazione futura della banca, visto che il governo si è impegnato con la Bce e l’Ue a procedere con una fusione entro giugno di quest’anno. Così ieri, parlando di Monte Paschi, il vicepresidente del Consiglio Giancarlo Giorgetti. I tempi del mercato e della Ue, però, potrebbero imporre soluzioni ancor più rapide. È questo il sentiment che spiega la risposta violenta di Piazza Affari che ha portato alla sospensione del titolo dopo che, nella prima mezz’ora, si era accumulato un ribasso del 9% abbondante. Il detonatore che ha scatenato l’ennesima crisi della controllata del Tesoro, che assomiglia sempre di più a un pugile alle corde (in un anno il titolo ha perduto il 62%, scendendo a un valore di 1,7 miliardi di euro) è stato l’arrivo in banca della bozza di decisione sullo Srep 2019, in cui si indica come target minimo di capitale complessivo un livello pari all’11%.

È, almeno all’apparenza, una buona notizia: Francoforte, infatti, ha abbassato i target di capitale, cosa che faciliterà il collocamento di un bond Tier 2, un’emissione necessaria per rimpinguare il cuscinetto di capitale dell’istituto, uno dei requisiti del piano di ristrutturazione concordato con la Ue che la banca non è stata in grado di assolvere entro il 2018 a causa della volatilità del mercato. Ma la notizia è stata accompagnata dalla richiesta, inattesa, di una copertura integrale degli npl (anche quelli vecchi) e dall’invito ad accelerare gli sforzi per centrare gli obiettivi del piano. Insomma, un’altra tappa di un cammino travagliato che sembra scoraggiare gli estimatori (pochi) che puntano su uno sbocco felice per la controllata del Tesoro.

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A complicare il percorso contribuiscono “le scelte” che, secondo quanto sostenuto da Giorgetti, il governo dovrà fare nel breve sul fronte del credito. La vicenda Mps, infatti, s’incrocia con quella di Carige su cui a breve riferirà in Parlamento il ministro Giovanni Tria. E prende corpo la tentazione di promuovere l’aggregazione tra le due realtà più fragili del sistema (cui va aggiunta la Popolare di Bari), magari attraverso una fusione propedeutica all’intervento di un partner forte (o meno debole). La sola prospettiva si è tradotta stamane in una pioggia di vendite sui titoli più indiziati, da Unicredit e Ubi, ma soprattutto su Banco Bpm, zavorrato dal richiamo sugli npl in attivo da Francoforte.

Ma andrà così? L’ipotesi meno lontana dalla realtà resta il ricorso a Unicredit, ipotesi finora rigettata dalla stessa banca anche se, in forma anonima, “due fonti vicine alla banca” hanno dimostrato una certa disponibilità a un intervento in Carige sulla base delle condizioni spuntate da Banca Intesa per le Popolari. A suo tempo l’operazione fu aspramente contestata dai Cinque Stelle, ma non sarebbe la prima correzione di rotta del Movimento. Però i margini sono stretti. Anche perché si avvicina la scadenza dei prestiti Tltro con la Ue. Il 2020 non sarà facile per nessuno.

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