Dario Cecchini sarà il primo toscano a comparire su Chef’s Table, la serie tv prodotta da Netflix che racconta la cucina e la vita dei grandi chef e ristoratori mondiali. La nuova stagione parte oggi 22 febbraio 2019. Questo articolo-intervista è tratto dal numero di gennaio 2018 di Forbes Italia.
Netflix – Chef’s Table, sesta stagione: ecco chi è Dario Cecchini, per il New York Times “il macellaio più famoso del mondo”
C’è chi pensa che tutto sia cominciato da un funerale: quello della Bistecca. Macché. La sua storia Dario Cecchini, macellaio in Panzano in Chianti da otto generazioni, se l’è costruita giorno per giorno. E continua a costruirsela ancora nonostante ormai sia una star internazionale che, quando non è in “bottega” come dice lui, a curarsi e a massaggiare la sua “ciccia”, è sempre in giro per il mondo invitato dai potenti della Terra così come dagli enti di beneficenza, dalle associazioni dei macellai, o dai grandi chef di Londra o di New York, come Jamie Oliver o Antony Burdain per fare qualche iniziativa insieme. Un giorno, due, al massimo una settimana, ma poi torna. Torna sempre alla sua Panzano, un paesino nel cuore del Chianti, a metà strada esatta tra Siena e Firenze, dove vivono 964 persone ma da dove passa tutto il mondo. In gran parte ci passa, non solo per godersi il cuore del Chianti, ma proprio per andare a mangiare da lui, “dal Cecchini”.
Dario è un uomo semplice e intelligente, uno che il marketing ce l’ha nel sangue e la macelleria nella sua storia. Eppure lui il macellaio non lo voleva fare, studiava veterinaria a Pisa. “Quando ero piccolo, già a sei-sette anni”, racconta, “il mio babbo mi portava con sé per le fattorie a comprare le bestie: io ero affascinato da quegli ambienti, da quei colori, da quelle persone, persino dall’odore delle stalle che per molti è un puzzo ma per me è un profumo, che sento ancora. Il rapporto con la campagna per me è sempre stato profondo. Non saprei vivere in città, non ci riuscirei”.
Chi vuole può trovarlo nella sua bottega di Macellaio che ha ereditato dal padre Tullio (insieme alla capacità di tenere rapporti interpersonali) e dalla madre Angela, che tutti chiamavano Angiolina, (da cui ha preso la grande tenacia nel lavoro) scomparsi troppo presto. E infatti Dario a nemmeno 20 anni si è ritrovato a dover lasciare gli studi e a mettersi il grembiule per fare un mestiere che non solo non sapeva fare ma non voleva fare. “Tutto quello che so me lo ha insegnato Orlando Picci, un vecchio grande macellaio, amico di famiglia, che ancora oggi lavora con me. Ma io non volevo fare il macellaio, volevo che la mia vita da studente si allungasse il più possibile, ho sempre avuto uno spirito molto toscano, un po’ alla Amici miei”. La prova provata è appunto l’idea del Funerale della Bistecca. “Visto che dal 1 aprile 2001 la Comunità europea avrebbe messo al bando la bistecca con l’osso, pensai di organizzarle il funerale per l’ultimo giorno della sua vita, ossia quello precedente all’entrata in vigore del divieto. Avevo organizzato tutto un po’ alla buona con la banda del paese e un carro funebre preso a noleggio per metterci dentro una lombata di bistecche. Solo che il giorno prima la Reuters lanciò la notizia a livello internazionale. Tutto il mondo seppe che a Panzano in Chianti c’era il Funerale della Bistecca. E il paese si riempi di gente, televisioni, giornalisti…”.
Oggi Dario vive bene. Sua moglie, Kim, americana, gli ha dato quel pizzico di raziocinio di cui il genio aveva bisogno, i suoi oltre 40 dipendenti lo seguono come il capitano di una nave. La Macelleria Cecchini è aperta 364 giorni l’anno. Chiude solo il giorno di Natale quando Dario va a cucinare per i tre frati che vivono alle Stinche un piccolo eremo a pochi metri da casa sua. Ma Dario, nonostante sia un personaggio affermato, non vuole mai smettere di divertirsi seguendo il suo motto “Viva la ciccia”. Così ha sempre un’idea nuova come quella dello slogan “To beef or no to beef, this is the question” che gli venne spontaneo una volta che a una grande festa in Toscana con Carlo d’Inghilterra, non parlando l’inglese e non sapendo cosa dirgli, provò a rivolgersi al Principe declinando Shakespeare alla maniera del macellaio. Oggi “To beef or no to beef” è il grido che Dario lancia quando viene portata in tavola la Fiorentina. Già, la tavola. Cecchini ha due ristoranti, il Solo Ciccia e l’Officina della Bistecca, basati sulla filosofia del “non si spreca nulla” o meglio della “vacca intera”, ereditata anche questa dai genitori. “La Macelleria Cecchini, quando ero ragazzo, era la più piccola della Toscana. In casa non stavamo male ma i nostri pranzi erano sempre a base di quello che si vendeva meno: la testa, la coda, le zampe, le trippe. Non ricordo, da bambino, di aver mai mangiato una bistecca o un filetto. Così ho imparato che della vacca o del vitello non si butta via niente”.
L’idea di abbinare un ristorante, anzi “una cucina” come dice lui, alla Macelleria è nata in America, a San Francisco, durante uno dei suoi tanti viaggi a cucinare o a insegnare il taglio della carne nel mondo. “Kim ed io eravamo stati a una cena da Chez Panis e stavamo facendo una passeggiata. Arrivammo nel quartiere di Mission, oggi molto trendy, ma allora molto degradato, dove un gruppo di ispanici stava fumando crack davanti a una McDonald’s. Fu lì che dissi a Kim: ma perché i poveri devono mangiare sempre male e i ricchi sempre bene? Sarà possibile dare cibo di qualità a un prezzo giusto? Mi ero fatto la domanda ma mi ero anche già dato la risposta”.
Nacquero così il Solo Ciccia con sette portate di carni diverse, l’Officina della Bistecca dove si servono quattro qualità diverse di bistecca fino ad arrivare al trionfo di Sua maestà la Fiorentina come dice lui. Due menù di carne, diversi nell’offerta, a prezzi contenuti. Ma si torna sempre là, alle origini. “I miei genitori mi hanno insegnato che quando hai ospiti devi prenderti cura del mangiare e del bere che offri, ma sopratutto della loro felicità. Insomma devi farli star bene in tutto”. A qualunque costo. Lo dimostra il fatto che nei suoi ristoranti c’è sempre un menu vegetariano che viene presentato con la stessa dignità di quello tradizionale.
Ma non è finita qui. Dario è uno che pensa sempre al futuro, anche se, e lo dice a malincuore, non ha eredi. Ha comprato una parte del Castello di Panzano in Chianti e lo sta attrezzando per un’altra delle sue sorprese socio-gastronomiche. “Sarà una cosa insolita”, dice. Naturale: da lui chi se l’aspetta una cosa normale?
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