Leader

Federico Bernardeschi ci ha parlato del suo sogno oltre la rete

Federico Bernardeschi

Non capita spesso che uno sportivo parli a una tavola rotonda all’Università Bocconi di Milano. Accade ancora meno di frequente che un ragazzo di meno di trent’anni si impegni in prima persona per un progetto filantropico. Eppure c’è chi è riuscito a fare entrambe le cose: Federico Bernardeschi, calciatore della Juventus e della Nazionale.

All’ateneo milanese è arrivato per parlare del suo progetto che lo vedrà a breve lanciare una fondazione che si impegnerà per portare lo spirito sociale nello sport.

“Perché”, dice, “è importante non solo sostenere cause lontane da noi, ma anche avere un impatto nel settore in cui si è leader”.

Da quando, a tre anni, ha iniziato a correre dietro a un pallone, racconta, il sogno non si è mai interrotto. A cominciare dall’età di 8 anni, quando è stato notato dagli osservatori dell’Empoli, fino alla Serie A e alla maglia azzurra.

“Ma quel sogno era davvero mio?”, si chiede. “Mentre crescevo sentivo addosso gli occhi di tutti coloro che mi stavano attorno e il carico di aspettativa che tutto ciò comportava. A un certo punto ho iniziato addirittura a pensare di essere arrivato a giocare a calcio per fare felici gli altri, per la sensazione di dover dimostrare agli altri il mio valore, più che per realizzare me stesso e il mio sogno”.

È iniziato così un percorso che ha portato Bernardeschi a lavorare non solo su concentrazione e determinazione come farebbe un bravo giocatore, ma soprattutto su se stesso, per salire al livello di campione.

Possibile che uno sportivo invidiato, certamente di successo, con uno stipendio mensile che per molti lavoratori equivale agli incassi di anni, senta il bisogno di un percorso di ricerca come questo? “Un calciatore è un essere umano. Non ci sono soldi, fama o successo che tengano se non si ha consapevolezza di sé e di ciò che si vuole”.

Lungo questo cammino due anni fa, proprio in coincidenza con il trasferimento alla Juventus “mi è successa una cosa che mi ha cambiato la vita”, dice. “Ho intrapreso un percorso Hoffman consigliato da un amico. Questo percorso ha coinciso con l’arrivo alla Juventus. Ed è stato particolarmente utile perché si tratta di una società vincente dove la pressione è importante”.

E proprio attorno a questa esperienza ruoterà la fondazione che nella sua fase iniziale, finanziata da Bernardeschi, permetterà a 33 atleti di tutte le categorie e di tutti gli sport di intraprendere altrettanti percorsi di ricerca dei propri obiettivi. Fedele all’idea di base della fondazione: passare dal concetto di donazione a quello di investimento sociale.

Intanto Bernardeschi guarda anche al suo futuro fuori dal campo. “Ora il calcio è il centro della mia vita, non so se mai mi staccherò da questo mondo, anche se ci sarà di sicuro dell’altro. Sto studiando business etico, una tipologia di business capace di creare benessere per tutti quanti. Magari anche nel mondo del calcio”. E post carriera non esclude un salto nella sua grande passione: la moda. “Non mi dispiacerebbe, come ogni ambito che mi permetta di esprimermi in un contesto globale”.

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