Innovation

Cosa sta per accadere agli Innovation Days Italy

Roberto Ruggeri è ceo e partner di Digital Innovation Days Italy.

Un’esperienza immersiva nel mondo digitale con tre giorni di formazione, networking e intrattenimento. È questa, in sintesi, la descrizione degli Innovation Days Italy che si terranno al Talent Garden di Milano il 17, 18 e 19 ottobre 2019. L’evento fondato nel 2014 e portato al successo da Eleonora Rocca, è da anni uno dei più attesi e seguiti d’Italia in ambito digital marketing, e in questa sesta edizione lo sarà ancora di più grazie a case study presentate da aziende e agenzie tra le più celebri e molte altre sorprese alle quali il team organizzativo sta lavorando.

“L’elemento che contraddistingue l’evento in un panorama ormai molto eterogeneo, è la qualità degli speakers”, dice a Forbes.it Roberto Ruggeri, ceo e partner di Digital Innovation Days Italy. “Anche quest’anno abbiamo ricevuto il supporto di aziende al vertice nelle rispettive industry, con cui condividiamo valori e vision. Panelist di aziende come Luxottica, American Express, GroupM, Barilla, Moleskine, Snapchat, Facebook, Unilever, Enel, Discovery Channel, Leroy Merlin, Conde Nast, Ernst and Young, Intesa, IBM, Nielsen, Mip-Politecnico di Milano, Gruppo Armando Testa, Open Influence, Glovo, ci racconteranno le loro esperienze con la speranza di ispirare tutti i partecipanti affinché, finito l’evento, si sentano pronti a tornare alla propria vita professionale con rinnovata voglia di fare e curiosità per i temi trattati, da quelli più classici come la digital trasformation e i social media, a quelli più attuali come automazione e fintech”.

Non a caso il digital è solo uno dei canali di una strategia che deve necessariamente ormai essere omnichannel: “Nell’ultimo ventennio”, continua Roberto, “abbiamo avuto un’evoluzione piuttosto netta del marketing mix: dalle leve teorizzate nel 1960 conosciute come 4p (product, price, place, promotion), si è passati alle 4c (consumer, cost, convenience, communication) e le 4e per i social (engagement, experience, enhance, emotion): il target al centro di tutto. Questo preambolo per dire che probabilmente quello su cui siamo indietro è proprio la comprensione che si debba partire sempre dal target, facendo attenzione, perché da un concetto di one to many, si è passati ad un marketing sempre più one to one, che, grazie ad intelligenza artificiale, voice search, machine learning, chatbot e più in generale all’automazione, permette alle aziende di interagire con il consumatore attraverso il canale giusto, nel momento giusto, con il giusto tone of voice. Questo ovviamente vale anche per la parte paid, mi è capitato di recente ad esempio, di vedere capi di abbigliamento americani nelle ads di Facebook. Perché nessuna azienda italiana del medesimo mercato ha colto l’opportunità di parlare a un prospect che l’algoritmo di Facebook presumeva potesse essere interessato a quel determinato prodotto?”.

Secondo Ruggeri, in ambito retail invece il più grande trend è la convergenza tra fisico e digitale, dove i confini tra le esperienze diventano sempre più impercettibili. “Gli store come luoghi dove trascorrere il tempo, vivere esperienze e raccontarle alimentando il passaparola digitale”.

Roberto, che è anche un imprenditore si sofferma anche sullo spirito creativo che anima il nostro paese, dove però, “paghiamo lo scotto di un ambiente molto poco favorevole con burocrazia e pressione fiscale che mettono continuamente a dura prova qualunque impresa. Siamo arrivati ad un total tax rate del 65% dei profitti e ciò rende di fatto, lo Stato, socio di maggioranza, un socio che si preoccupa di godere degli utili finché è possibile e che abbandona la nave alle prime difficoltà con pretese esattoriali che non lasciano scampo. Nel resto d’Europa si adottano provvedimenti per incentivare le aziende e ridurre questi pesi, mentre in Italia non si fa altro che predicare l’abbassamento delle tasse e alla fine ci si limita a cambiarne solo il nome. Come se non bastasse, per districarsi tra le mille imposte, vengono sprecate tantissime ore che potrebbero essere dedicate alla produttività. Purtroppo finché non ci si renderà conto che chi produce non è nemico, bensì miglior alleato della crescita e che un atteggiamento meno punitivo per i fallimenti può sicuramente incentivare il fare impresa, non riusciremo mai ad avere anche noi gli Steve Jobs del caso. Di garage ce ne sono a volontà anche in Italia”.

Ma non ci sono solo aspetti negativi: oltre alle difficoltà, “credo sia corretto evidenziare ulteriormente anche gli aspetti positivi, tra cui la qualità delle nostre risorse umane e il valore del brand made in Italy nel mondo, gli stranieri sono sempre ben disposti a pagare il cosiddetto premium price per i prodotti del nostro paese”, conclude Roberto.

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