Essere, o non essere, questo è il dilemma. Dopo l’invasione delle modelle virtuali come Li’l Miquela, utilizzate da note maison come Alberta Ferretti e Balmain, la moda accoglie un nuovo fenomeno ancora poco conosciuto in Italia ma già consolidato all’estero: gli abiti digitali. Lo scorso maggio, Richard Ma, chief executive della security company di San Francisco Quantstamp ha speso 9,500 dollari (circa 8mila euro) per regalare alla moglie un digital dress disegnato da The Fabricant, brand il cui motto è “il nostro lavoro va oltre gli attuali concetti di sfilate, fotografi, studi e taglie tradizionali”.
Una cifra importante, specie se si considera che l’abito in questione non esiste, almeno non nel senso fisico del termine. Intanto, l’immagine del vestito-non vestito chiamato Iridescence ha fatto il giro del web attraverso le pagine Facebook e WeChat della moglie di Richard Ma. Un altro marchio che realizza moda in formato digitale è lo scandinavo Carlings, ma a prezzi decisamente più accessibili. Per acquistare un loro prodotto basterà seguire questi 3 semplici step: scegliere un modello tra quelli disponibili sulla pagina online, caricare una vostra immagine e ordinare; a questo punto, un designer provvederà a creare il tuo outfit virtuale che potrai condividere sui social. L’ultima collezione di streetwear del marchio (a partire da 11 dollari) è andata sold out in un mese. Come si può parlare di sold out nel caso di collezioni digitali? Uno stratagemma come un altro per rendere i prodotti speciali e desiderabili quasi quanto i capi fisici, si potrebbe pensare.
Ma quali potrebbero essere i motivi che portano alla scelta di acquistare un capo che puoi “indossare” solo virtualmente? La mancanza di coraggio nell’indossarlo fisicamente? Il costo, in certi casi, più contenuto? O forse ci sta davvero sfuggendo qualcosa che giustifichi un certo buon senso nel comprare oggetti intangibili (il processo creativo di abbigliamento digitale prevede sia il tradizionale taglio 2D sia il software di progettazione 3D)? Certo, almeno in questo caso, il fashion system potrà fare a meno di interrogarsi sul tema della sostenibilità. Ma sarà forse questo il nuovo lusso a prova di Generazione Z? Lo stesso Fabricant, d’altronde, riferisce che “i marchi apparel di tutto il mondo stanno cercando di entrare nello spazio della moda digitale per creare un legame più profondo con i consumatori della Gen Z, ovvero i nati dopo il 1997 che hanno conosciuto solo un mondo connesso digitalmente”. Non è da escludere che, prima o poi, i colossi del fast fashion possano accogliere con favore questo nuovo trend.
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