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Performance e sostenibilità per i top manager secondo Badenoch + Clark

Diego di Barletta

“La capacità manageriale ai vertici di un’azienda rappresenta una leva di sviluppo sempre più determinante e in quanto tale è corretto premiarla”. Non ha dubbi Diego Di Barletta, head of executive di Badenoch + Clark, il brand dedicato ai servizi di head hunting e specializzato nella ricerca e selezione di professionisti di alto profilo, senior e top
manager ed executive. Un contributo che, prosegue Di Barletta, “va adeguatamente remunerato specie nella sua componente variabile, soprattutto in un contesto come l’attuale, fortemente determinato da elementi anch’essi variabili e dove perdurano complessità dello scenario economico, competizione sui mercati, innovazione tecnologica
costante”.

Uno scenario in cui, oltretutto, la quotazione più del volume di fatturato è garanzia di migliori stipendi per i top manager. Almeno secondo quanto emerge dall’Executive Compensation Outlook 2019 di Badenoch + Clark, lo studio, realizzato in collaborazione con JobPricing, che ogni anno analizza i compensi di executive manager e membri dei board delle società quotate in Borsa italiana. Se è vero, infatti, che lo stipendio medio di un ceo di società con fatturato da 100 a 800 milioni di euro spazia dai 256 mila a poco più di un milione di euro annui (con un delta pari a 293%), il ceo di una quotata non guadagna meno di 450 mila fino a un massimo di 1 milione e 200 mila euro (delta pari a 222,9%).

“Significa che in proporzione, nel segmento borsistico, i ceo guadagnano di più”, commenta Di Barletta. Stesso discorso vale per i dirigenti con responsabilità strategiche, che in una quotata guadagnano in media da poco più di 196 a oltre 341 mila euro, con un delta pari al 98,5%, a fronte dei 134-337 mila euro delle non quotate con un delta pari a 150,4%. Quanto alla parte variabile nella remunerazione del top management, certifica l’Executive Compensation Outlook 2019 di Badenoch + Clark, il 79,4% delle aziende ha scelto una quota variabile cash per almeno un membro del proprio board; l’85% di esse aggancia il sistema di incentivazione a obiettivi finanziari, il 10% lo aggancia anche a obiettivi di sostenibilità.

Perché, spiega Di Barletta, “oggi c’è molta attenzione, oltre che al risultato economico, anche alle tematiche reputazionali, di csr e sostenibilità”. C’è poi, nella diffusione di benefici non monetari, il 44% che opta per sistemi previdenziali, e il 79% per polizze assicurative. Un limite su cui il nostro paese deve lavorare è ancora una volta il gender gap: le donne con cariche esecutive nei board delle società quotate sono, infatti, appena l’11,9%. Una disparità che “si riflette anche nelle minori opportunità di guadagno”, osserva Di Barletta, “e che è decisamente maggiore nelle società quotate”: se nei dirigenti italiani il delta è in media intorno all’8%, nelle listate in Borsa italiana si arriva fino al 70% nel caso dei profili esecutivi che siedono nei board. La soluzione è, almeno apparentemente, molto semplice: “occorre uno scatto in avanti dal punto di vista culturale”, conclude Di Barletta.

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