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Ferie forzate: sì ma solo se già maturate e senza distorsioni, parla il giurista

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(GettyImages)

Gli interventi del Governo, finalizzati a ridurre ed evitare gli spostamenti, nonché i contatti tra le persone per contenere il contagio da COVID-19, recano disposizioni volte a favorire il ricorso dei datori di lavoro allo smart-working e, ove questo non fosse possibile, alle ferie e congedi retribuiti per i propri dipendenti.

Il tema delle ferie, pertanto, negli ultimi giorni ha assunto un ruolo centrale. Senza dubbio, si tratta di uno strumento importante per togliere dall’impasse tutte quelle aziende nelle quali non è possibile prestare attività lavorativa in regime di smart-working, in quei reparti aziendali non indispensabili per la produzione.

Lo Studio Legale Fava & Associati, tra i più importanti studi legali in ambito giuslavoristico d’Italia, ha cercato di dare risposta ai dubbi più comuni con un documento esplicativo. Ne riportiamo di seguito una sintesi.

Se la fruizione delle ferie è un diritto dei lavoratori, il periodo di godimento delle stesse viene definito dal datore di lavoro, nell’esercizio del proprio potere di organizzazione, tenendo conto delle esigenze dei dipendenti e garantendo un congruo periodo di preavviso tra l’assegnazione e la fruizione delle stesse. In alcuni contratti collettivi, tale attribuzione è sottoposta alla previa consultazione con le rappresentanze sindacali.

L’illegittimità della determinazione unilaterale del periodo di godimento delle ferie da parte del datore di lavoro sussiste allorché non vi siano comprovate esigenze organizzative aziendali e non venga tenuto conto anche degli interessi dei lavoratori.

Il DPCM dell’8 marzo scorso, il cui contenuto sul punto è stato ripreso e ribadito nel DPCM dell’11 marzo, pur non prevedendo alcun obbligo in tal senso, ma una mera esortazione, garantisce al datore di lavoro la possibilità di determinare autonomamente e in via unilaterale il periodo di ferie, facendo venir meno sia la necessità di compiere una valutazione comparativa delle diverse esigenze, sia la necessità di garantire un periodo di preavviso tra l’assegnazione delle ferie e il momento di godimento, nonché il tema della consultazione necessaria delle rappresentanze sindacali prevista in alcuni contratti collettivi. E ciò, pur essendo stato previsto, con il DPCM dell’11 marzo, al comma 9 dell’art. 1 che “..si favoriscono, limitatamente alle attività produttive, intese tra organizzazioni datoriali e sindacali”: si tratta di un invito per i datori di lavoro e non già di un obbligo.

Del resto, le ragioni organizzative sono obiettivamente sussistenti, in considerazione della necessità per le aziende di tutelare i propri dipendenti, evitando spostamenti e contatti tra le persone, ma anche per far fronte a eventuali cali di produzione. Non si tratta, dunque, di una condotta arbitraria del datore di lavoro: al contrario, si tratta di una scelta utile all’azienda e non ingiustificatamente vessatoria nei confronti dei lavoratori i quali in tal modo vedono tutelata la propria salute e garantito il proprio reddito.

Peraltro, non può definirsi vessatoria una decisione caldeggiata e auspicata dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

È prudenziale, per le aziende, tuttavia, procedere con tale “attribuzione forzata” solo con riferimento alle ferie maturate e non anche a quelle maturande, per le quali è preferibile tener conto delle esigenze e del consenso dei dipendenti.

Chiarito l’aspetto della possibilità di imporre le ferie, ciò che le aziende devono considerare è che, tale strumento non potrà essere utilizzato in maniera distorta: l’apertura del Governo incontra un limite importante e degno di nota. Laddove l’attività dei dipendenti possa essere svolta in regime di smart-working, la scelta di procedere ugualmente con l’imposizione delle ferie, potrebbe essere contrastante con la ratio dei provvedimenti adottati, trattandosi di una scelta operata al solo fine di far smaltire le ferie arretrate, per ridurre i costi.

Tale aspetto, dunque, potrebbe essere oggetto di impugnazione dai parte di quei dipendenti che, pur potendo svolgere la propria attività in regime di smart-working, si sono visti imporre la fruizione di un periodo di ferie. In tal caso, potrebbe ravvisarsi una illegittima condotta datoriale, non sussistendo effettive ragioni organizzative.

Ed infatti, nel Protocollo d’Intesa tra le parti sociali (Cgil, Cisl, Uil, Confindustria e Confapi) siglato in data odierna, all’art. 8, seppur in maniera poco chiara e intellegibile, è stato previsto di “utilizzare in via prioritaria gli ammortizzatori sociali…”, e di ricorrere solo in via residuale all’utilizzo di ferie arretrate e non fruite.

Ciò a conferma del fatto che lo strumento delle ferie è certamente favorito, ma in via residuale, da impiegare quando gli altri mezzi messi a disposizione dall’ordinamento non sono sufficienti.

 

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