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Il dopo-Covid visto con gli occhi di un imprenditore appena trentenne, parla Davide Dattoli

Davide Dattoli (Courtesy Talent Garden)

Davide Dattoli, trent’anni secchi secchi, bresciano, è cofondatore e Ceo di Talent Garden, officina di talenti del digitale con startupper, professionisti, freelance, e aziende, anche con blasone, si va da Google a Poste Italiane. Si opera in spazi condivisi, in coworking appunto.  Il quartier generale è a Milano, Talent Garden è però presente in otto Paesi con 26 campus. Nel 2019, Dattoli è stato l’unico italiano a comparire nella lista Forbes dei 30 under 30 più influenti nel settore della tecnologia e innovazione.

Davide Dattoli  è l’ottavo protagonista del ciclo di interviste dedicate al D.C. (Dopo Coronavirus) progettato dell’imprenditoria italiana.

 

Il  rientro in ufficio chiede distanziamento, compartimentazioni, turni. Il suo nome viaggia in abbinata con coworking: prassi però  compromessa dal coronavirus. O non è così?

Potrebbe sembrare compromessa, in realtà si sta verificando solo un mutamento. Mi spiego. Tutti i coworking stanno riorganizzando i propri spazi per rispondere ai protocolli di sicurezza, vengono ridisegnate le planimetrie, le aree comuni e il modo in cui le persone interagiscono.  Il coworking da sempre offre enormi vantaggi alle aziende e ai propri dipendenti in termini di flessibilità, networking e attività complementari come eventi e formazione, ma oggi fornisce anche soluzioni per affrontare la nuova normalità lavorativa. Smart Working significa trovare un equilibrio che si traduce in un team ad alte prestazioni, guidato da efficienza e produttività. Un risultato che si può ottenere solo bilanciando le esigenze aziendali e quelle dei propri dipendenti in un ambiente di lavoro flessibile, e il coworking è progettato appositamente per questo.

In Talent Garden che azioni avete messo in campo e quali state progettando per rispondere all’emergenza?

Eravamo pronti già la settimana precedente al blocco totale. E da allora, non ci siamo mai fermati. Abbiamo spostato tutti i nostri percorsi formativi online. Lo stesso è stato fatto con gli eventi riservati alla nostra community, dagli incontri con esperti di tecnologia a meetup,  workshop, corsi di yoga e lezioni di lingua, aperitivi. Quindi abbiamo spinto lo sguardo oltre la nostra community lanciando in due settimane Antea, una piattaforma digitale dedicata ai temi dello Smart Working e alle nuove metodologie del lavoro, consente di apprendere, formarsi, crescere professionalmente, confrontarsi con gli esperti di settore, fare networking e creare nuove opportunità di business in un’ottica di community allargata.
Per noi, a questo punto, non si tratta solo di fare business, ma di sostenere la nostra comunità allargata in questo momento difficile per prepararci alla fine della crisi sanitaria.

C’è chi sostiene che nulla sarà uguale a prima. Houellebecq ritiene che sarà tutto uguale, solo un po’ peggio. Lei cosa pensa?

Le crisi disegnano da sempre nuovi scenari oltre che modelli di consumo. Questa crisi non sarà da meno. Chissà cosa riserva il futuro, però credo che sostenendoci a vicenda saremo in grado di affrontarlo come una comunità unica.

E’ dunque ragionevole pensare che ci stiamo allenando a vivere in un ecosistema digitale che non prevede marcia indietro?

Sono d’accordo, stiamo vivendo un cambiamento di mentalità aziendale e approccio umano che probabilmente sarebbe arrivato tra 10 anni.  Immagino, per esempio, che ora sarà molto più difficile accettare un solo giorno al mese di telelavoro, e magari anziché andare al supermercato faremo la spesa comodamente dal divano di casa.

In cosa potrebbe cambiare la cultura aziendale? O almeno: Lei cosa si augura?
Saranno richiesti investimenti in tecnologia e una ridefinizione delle modalità di vivere il lavoro. Cambierà completamente il sistema di valutazione del lavoro, i parametri non saranno tarati sulla presenza fisica ma sui risultati, sulle performance finali. Significa lavorare sull’attitudine all’innovazione e alla creatività, e su comportamenti votati all’imprenditorialità.

Le medicine per uscire dalla recessione
In primis, cambio di “Mentalità” nell’approccio del lavoro, il concetto espresso prima. Secondo, “Condivisione di conoscenze”, perché se c’è qualcosa che le crisi ci hanno insegnato è la loro innata capacità di ridisegnare le priorità dei modelli di consumo di clienti e aziende. Basti pensare che alcuni dei più grandi colossi mondiali – da Airbnb a Zalando passando per Google, IBM e addirittura Burger King – sono nati in anni segnati da profonde crisi economiche.  Per questo, specialmente in tempi di crisi, le aziende devono “emulare” l’atteggiamento delle startup che sono dei modelli in tema di capacità di innovare, di utilizzo nuove tecnologie, di  rapidità nell’assunzione di decisioni, non ultimo va coltivata una cultura dell’errore. Dall’altra parte, le corporate hanno risorse economiche e strutturali per massimizzare l’impatto dell’innovazione in un’ottica più ampia. Per questo motivo, la collaborazione tra startup e corporate diventa sempre più fondamentale e strategica per evoluzione dei business.
Infine “Comunità”, che significa confrontarsi, fare rete, collaborare per costruire qualcosa di nuovo. Il senso di innovazione per noi in Talent Garden riposa soprattutto nel patrimonio di competenze e visione della nostra community che oggi più che mai – partendo dalla nostra base comune che sono il digital e la tecnologia – sta trovando nuovi spunti per rispondere delle esigenze che emergono in virtù della crisi.

Teme la scalata straniera delle nostre aziende?

Il rischio è forte, la Cina è uscita per prima dalla crisi e adesso sta costruendo liquidità con cui può fare shopping. L’Italia è il paese con più debito quindi farà più fatica a rilanciarsi all’uscita, servirà molta inventiva e spinta di tutti per uscirne. Abbiamo poche risorse e molto distribuite, servirà fare squadra per costruire il futuro di tutti.
Due mesi abbondanti di convivenza con il Covid come hanno influito sulla sua essenza di giovane uomo?

E’ il tempo il concetto su cui sto più riflettendo. Ero abituato a prendere 100 voli all’anno e oggi mi chiedo se valesse davvero la pena. Ho sempre pensato di sì perché è innegabile il valore del rapporto umano che solo la presenza fisica può assicurare. Ma probabilmente oggi non è più così, nel senso che da una lato abbiamo milioni di strumenti che ci permettono di poter lavorare, anche ad alti livelli, da remoto, ma soprattutto siamo noi ad essere cambiati, ad aver sviluppato forse una maggiore empatia. Ora  abbiamo una sensibilità diversa e siamo in grado di svilupparla anche online.

A un bresciano concreto come Lei chiedo di aggiungere un SE allo slogan “Andrà tutto bene”?
Andrà tutto bene SE saremo in grado di cogliere le sfide e opportunità che questa crisi ci richiede e se saremo flessibili al cambiamento.

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