Carlo Ratti
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Come il coronavirus ha cambiato il design, secondo le archistar

Articolo di Piera Anna Franini apparso sul numero di giugno 2020 di Forbes. Abbonati

Il coronavirus finirà per riplasmare le nostre case, uffici, città e infrastrutture? È ragionevole pensare a un ante e un dopo Covid dell’abitare gli spazi pubblici e privati? Il coronavirus finirà per riplasmare le nostre case, uffici, città e infrastrutture? È ragionevole pensare a un ante Covid e dopo Covid dell’abitare gli spazi pubblici e privati? Ne abbiamo parlato con architetti e designer. Punti di vista e progetti sono diversi e talvolta divergenti, partono però da una stessa premessa, condensabile nel concetto di flessibilità di tempi e spazi. Altra considerazione condivisa è che la pandemia ha accelerato processi già latenti rompendo un’inerzia. In tal senso, non hanno dubbi Leonardo Cavalli e Giulio De Carli alla testa di One Works, studio di architettura e ingegneria specializzato nella progettazione di infrastrutture di trasporto e spazi urbani e che con Lombardini22 registra il più alto fatturato tra le società di architettura italiane.

Giulio De Carli e Leonardo Cavalli

Per la ripartenza, Cavalli e De Carli stanno lavorando sul tema densità e dal momento che non si possono ingrandire stazioni o terminal, si deve riorganizzare spazi inerti. Un esempio? “La banchina di avvicinamento agli arrivi e partenze degli aerei potrebbe essere attrezzata per la sosta. I momenti di attesa e sospensione del tempo devono diventare un’esperienza, parcheggi di centri commerciali o di stazioni potrebbero trasformarsi in luogo dello stare, dove il tempo viene accorciato grazie alla tecnologia che controlla la densità dei flussi per cui vado in loco quando c’è il semaforo verde. Queste devono essere operazioni a costo quasi zero perché c’è l’incognita del tempo: quanto durerà l’emergenza? Stiamo quindi immaginando soluzioni a bassissimo costo e da capitalizzare anche dopo”. In virtù della pandemia, il dopo sarà più tecnologico. One Works ha condotto uno studio simulando tre percorsi di attesa nel terminal, “assumiamo 100 come valore nell’epoca pre coronavirus, questo valore diventa 130 nella fase attuale, ma è destinato ad abbassarsi a 60 nel dopo pandemia grazie all’implementazione della tecnologia, che ora monitora le questioni legate alla salute ma poi aiuterà a superare gli intralci di attraversamento del terminal”. In Lombardini22, spiega l’ad Franco Guidi, si lavora sulla gestione della densità negli uffici con compartimentazioni, segnalazioni di zone con assembramenti, regolazione di flussi in ingresso e uscita. “Questo si salda con la modularità e rotazione del personale, con orari ufficio dalle 7 del mattino a tarda sera e l’estensione del telelavoro: fattori che saranno l’eredità del dopo Covid”.

Una cosa è sicura: per un bel po’, saranno banditi gli open space. Piero Lissoni, fondatore dell’omonimo studio e tra i grandi maestri del design, non crede in una rivoluzione epocale degli spazi. “Clienti come Knoll ci chiedono soluzioni per superare la fase di emergenza. Stiamo lavorando su open space da rendere efficienti nel brevissimo termine con oggetti, schermi, pareti mobili. Soluzioni temporanee e dunque economicamente sostenibili, con materiali dove la latenza dei germi è ridotta. Le case rimarranno tali e quali, spero, però meglio arredate”, dice. “Bastano piccoli tocchi di design, non sono necessari cambiamenti strutturali”, spiega Carlo Ratti al timone dell’omonimo studio e docente al Mit di Boston. “A cambiare non sarà tanto l’hardware, l’impianto urbanistico delle nostre città, quanto il software. Fenomeni come lo smart working resteranno con noi consentendo di ridurre la metratura complessiva degli uffici convertibili, almeno in parte, in appartamenti. La casa verrà trasformata parzialmente in luogo di lavoro e quindi aggiornata con quinte o angoli diversi per le diverse funzioni perché è necessario poter lavorare in serenità in video conferenza senza essere ossessionati dalle eventuali intrusioni di esseri viventi con cui condividiamo l’appartamento”.

Una modalità ibrida di vivere e lavorare su cui sta operando anche lo studio di Giuseppe Tortato che immagina una rivoluzione di un design che ci accompagna nello smart working a casa e nei luoghi di lavoro non tradizionali. “Penso a nidi componibili da utilizzare sul terrazzo di casa, in salotto oppure in giardino. Oggetti che non siano solo cellule lavorative per isolarsi o per lavorare ma anche strumenti utili per vedersi un film o leggere un libro”. Sulla base di questo modulo primordiale sta inoltre sviluppando un prototipo indoor e outdoor, “una struttura in legno, una gabbia appunto, installata per esempio nel salotto di casa che consente di isolarsi e di lavorare connesso con il mondo esterno ma anche con i familiari. La versione indoor, si integra come elemento di arredo e di design, è un modulo operativo che garantisce riservatezza, comfort acustico e la connettività necessaria per lavorare, ma è anche un oggetto di design iconico con altre funzioni come quella di sostegno per il televisore, mensole e ripiani. Il materiale con cui è realizzato è naturale e riciclabile, in legno o bamboo”.

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