La multinazionale Gnutti Carlo è ai primi posti nel mondo nella produzione di componentistica ad alta precisione per motori stradali, agricoli, marini e per macchine edili. Nata nel 1922 a Lumezzane, nella bresciana Val Trompia, da qualche decennio si è trasferita a Maclodio, a Sud di Brescia, dunque in un’area particolarmente colpita dall’emergenza sanitaria. Il vice-presidente Mario Gnutti incarna la quarta generazione di un’azienda che impiega 4mila persone in tre continenti – Europa, Usa, Asia – fatturando 700milioni di euro.
Mario Gnutti è il quattordicesimo protagonista del ciclo di interviste dedicate al D.C. (Dopo Coronavirus) progettato dai grandi dell’imprenditoria italiana.
Siete presenti in tre continenti e in nove Paesi. Chi ha dato le risposte più efficaci a voi imprenditori?
I più veloci e concreti sono stati gli Usa: subito hanno messo soldi in tasca alla gente e alle aziende. Non solo. Hanno erogato finanziamenti a fondo perduto per aiutare a pagare gli stipendi, così, nonostante mesi di fatturato tendente allo zero, siamo riusciti ad attutire l’impatto del costo del personale. I Governi europei hanno messo in campo strumenti simili, quindi erano abbastanza allineati.
Il più veloce tra gli Stati europei?
L’Austria, senza dubbio la più reattiva.
E la Cina?
E’ ripartita con difficoltà e mille problematiche, ma ora il mercato è tornato a livelli pre-Covid, aggiungo: se non di più.
Arriviamo a Brescia, assieme a Bergamo l’area italiana più colpita dalla pandemia
Brescia è la Leonessa d’Italia, la voglia di ripartire le appartiene come corredo cromosomico. Un desiderio di riscatto e di rivincita che leggevi negli occhi delle persone anche nei momenti più difficili. I nostri dipendenti quando dovevano esserci ci sono stati. Hanno dimostrato di essere un gruppo eccezionale ed è su di loro, del resto, che abbiamo basato i nostri successi. Spero che questa energia e voglia di fare vengano supportate da una certa situazione macroeconomica.
Qual è la peculiarità del capitale umano delle vostre aziende italiane se confrontate con le altre nel resto del mondo?
Quando dobbiamo affrontare un problema e ci sediamo attorno a un tavolo capita che vi siano persone provenienti diversi paesi appartenenti a tre continenti: Nord America, Europa ed Asia. Quel che più mi affascina e trovo arricchente a livello personale è vedere l’approccio diverso allo stesso problema, una diversità dettata dalle singole indole e personalità ma anche dalla tipologia della cultura di provenienza. Per noi conta cogliere il meglio di ognuno e farne una sintesi, arrivare a una summa. A margine di questo, devo comunque dire che l’attaccamento delle nostre persone all’azienda è incredibile.
Quali sono le grandi sfide che sta affrontando la Carlo Gnutti e che piano avete messo in campo per affrontarle al meglio?
Siamo consapevoli del dramma vissuto, ma allo stesso tempo va colta l’opportunità che si nasconde nella tragedia. Ci stiamo attrezzando per fare in modo che quel che c’è di buono in tutto questo possa emergere accompagnandoci per i prossimi anni. Dobbiamo tirare una riga, valorizzare le positività del passato e trasformare gli errori in nuova conoscenza, in qualcosa di utile. Tutti noi abbiamo il dovere di cercare qualcosa di positivo da mettere sul piatto della bilancia considerato che sull’altro pesa il macigno del Covid.
Cosa vorrebbe ci fosse su questo piatto?
Brescia è culla di eccellenze incredibili, potremmo innescare ulteriori sinergie, momenti di confronto per condividere problemi e superarli al meglio. Un tema chiave è l’aggregazione, l’unione delle forze. Certo, oggi siamo sommersi da problemi di cassa, di gestione, ma dobbiamo essere pronti per la ripartenza vera e propria
Nel senso che state vivendo una ripartenza al rallentatore?
Non siamo ripartiti al 100% e non sapremo quando arriveremo a questo 100%. Abbiamo conosciuto settimane in cui s’è toccato il – 85% di fatturato: confesso che nemmeno sapevo potesse esistere. Ora i segnali di ripresa ci sono, alcuni mercati sono più veloci, altri meno. Ci stiamo assestando intorno al – 50% e – 40% di fatturato. Dopo l’estate, mi auguro che ci avvicineremo sempre di più alla normalità.
Nella vostra multinazionale quale segmento sta soffrendo di più e cosa invece già è sulla rampa di lancio?
Premessa. Il 50% del nostro fatturato nasce dall’automotive pura e l’altra metà deriva da truck, movimento terra, agricolo, marino. Tutta la parte dei mezzi pesanti e movimento terra sta avendo una ripresa più decisa rispetto all’automotive che sta soffrendo molto e che purtroppo credo continuerà a soffrire fino a quando non saranno smaltiti tutti gli stock. Mi aspetto che i Governi intervengano perché non sostenere l’automotive è un errore.
Parla al plurale nel senso che il problema di un mancato intervento è globale?
Purtroppo sì. Spero che l’Europa si attivi al più presto con incentivi per rinnovare il parco auto, devono essere messi in campo strumenti per uscire dalla palude.
In tema d’Europa: il 17 luglio, a Bruxelles si terrà il vertice sul Recovery Fund. Cosa si augura?
Che vengano presi accordi in tempi brevi. Urgono interventi tempestivi: bisogna agire adesso e non fra un anno quando potrebbe essere troppo tardi. Il mio timore è che non si arrivi subito a un accordo e a quel punto vedo il buio perché anche nell’ipotesi che si trovi un accordo entro luglio comunque riusciremmo ad avere risorse a fine anno o inizio 2021. Figuriamoci se tutto slittasse ancora più in là.
Siete un gruppo in continua espansione. Per chi ha le spalle larghe come voi fare acquisizioni è quasi automatico. Corretto?
L’impellenza dell’oggi ci porta a concentrarci sulla situazione contingente e dunque sul calo del mercato causato dalla pandemia. E’ però chiaro che è nella natura della nostra azienda cogliere le opportunità che si presentano o che possiamo individuare. Penso che nei prossimi mesi ci saranno tante opportunità, vedremo se saremo in grado e nelle condizioni di poterle coglierle. Quindi sì, nel medio e lungo periodo, la nostra politica è quella di voler crescere in modo sano e sostenibile.
Si calcola che dopo anni di delocalizzazione ora potrebbe invertirsi la rotta con un massiccio rimpatrio della produzione, o parte di essa, dall’estero. Questo back-reshoring che potrebbe interessare anche la vostra multinazionale?
Per la verità non abbiamo mai delocalizzato. Il nostro approccio è sempre stato local to local. I nostri siti esteri sono stati pensati per servire il mercato locale. Lo stabilimento cinese fornisce la Caterpillar Cina così come la nostra azienda svedese fornisce i clienti europei. Non delocalizzare ha dato risultati positivi nel medio e lungo periodo, e non alludo al solo discorso logistico, ma anche alla politica dei dazi che non ha impattato sul nostro Gruppo. Siamo in grado di fornire tutti i nostri clienti da dove vogliono, assicurando la stessa qualità e il giusto prezzo.
La politica assistenzialista dal nostro Paese sta per arrivare al capolinea, anche per questo si prevede un autunno caldo. E’ preoccupato?
L’autunno preoccupa tutti perché si tireranno le somme. Lì vedremo il risultato di tutta questa situazione. Quanto all’assistenzialismo, non possiamo pensare di risolvere i problemi applicando in modo esclusivo queste misure, soprattutto se ad attivarle è uno Stato già carente in efficienza. L’assistenzialismo può avere senso laddove c’è un Stato efficiente, penso alla Scandinavia per esempio. Per noi è un discorso diverso.
Trema all’idea che lo Stato possa entrare nelle aziende in difficoltà?
Lo Stato deve fare lo Stato, e farlo bene sarebbe già tantissimo. Lasciamo fare le cose a chi le sa fare.
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