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Carlo Cracco “scende in campo” con la moglie Rosa Fanti. Con lei scopriamo il progetto Vistamare

Carlo Cracco e la moglie Rosa Fanti (Gettyimages)

«Tra pochi giorni saranno in vendita sul nostro canale e-commerce i succhi di frutta e le marmellate. Tutti prodotti senza zuccheri aggiunti e con la vitamina c già inclusa». Lo dice con entusiasmo Rosa Fanti, da due anni moglie di Carlo Cracco. Da dodici anni è legata allo chef e di fasi della vita insieme ne hanno già vissute molte. C’è stata quella televisiva, quando lui era uno dei più temuti e amati giudici del programma Masterchef. Poi quella ambiziosa, del ristorante in Galleria Vittorio Emanuele, a Milano. Quando addetti ai lavori blasonati sostenevano che stesse facendo un passo troppo lungo e che col tempo se ne sarebbe pentito (il tempo però ha dato ragione a lui e si sono dovuti ricredere loro). Infine c’è la fase contemporanea, che nei mesi scorsi ha visto nascere la loro azienda agricola, in Romagna, in cui Rosa Fanti ha giocato un ruolo fondamentale visto che è lei ad aver studiato e sostenuto gli esami per diventare imprenditore agricolo.

Rosa Fanti a Vistamare

«Carlo mi ha insegnato col suo esempio quotidiano a non sentirsi mai arrivati. Trova sempre stimoli nuovi, è come se non potesse vivere senza», spiega. «Non so quale sia la dote che mi ha dato accesso a un uomo complesso come Carlo, di sicuro sono un’attenta osservatrice. Mi occupo di comunicazione, ho imparato a lavorare con lui stando al suo fianco. La sinergia di coppia aiuta, ma non è sempre facile da gestire. Ciò che noto è che la sfida in cucina è sempre più ardua e voglio contribuire ad aiutarlo. Non è più sufficiente fare bene da mangiare, ma è quasi un dovere lanciare messaggi attraverso il cibo. Non essere solo un anello della catena».

Che cosa intende?

«Da sempre Carlo si impegna a cercare le materie prime migliori, che dalla terra arrivano nella sua cucina. Per questo ha creduto nel progetto, l’azienda agricola è un modo per controllare la filiera».

Non vi bastava l’impegno che avevate già?

«A Carlo non basta mai. Abbiamo girato molto per trovare il posto giusto. Eravamo sul punto di prendere una tenuta in Toscana, poi la svolta. Un giorno eravamo a Sant’arcangelo di Romagna, a trovare la mia famiglia, e scopriamo che c’è un terreno in vendita. E così siamo andati a vederlo».

Che cosa vi ha colpito?

«La collina che scende verso il mare. È stato amore a prima vista e in suo onore l’abbiamo chiamata Vistamare. Tutti i prodotti che venderemo si chiamano così».

Quanto è grande lo spazio?

«In tutto sono quattordici ettari di cui cinque di vigneto e due di ulivi. Tutto il resto è frutteto con  prevalenza di pesche, cachi e ciliegie. Un ettaro è ancora incolto e stiamo decidendo come impiegarlo. Carciofi, erbe aromatiche e un orto sono le opzioni».

Produrre le materie prime è il tassello che mancava al ristorante.

«Ce ne siamo resi conto durante il lockdown a Milano, quando abbiamo attivato il nostro servizio delivery. Carlo ha lavorato giorno e notte per far arrivare i piatti pronti nelle case. Era lui in persona a confezionare le scatole, l’impiattamento è il suo rituale. Quello che però si dimostrava inaspettatamente complicato era reperire e mantenere la qualità delle materie prime, con gli standard alti di Carlo».

Qualcosa che sfuggiva al suo controllo.

«Esatto. Quindi appena è stato possibile siamo tornati in Romagna e abbiamo cominciato a coltivare. Oggi sappiamo che, per una certa misura, possiamo essere autosufficienti. I primi frutti a nascere sono stati le ciliegie, ne abbiamo di sei tipi. Sul nostro ecommerce tra pochi giorni ci saranno anche quelle sotto spirito».

Carlo Cracco nelle vesti di agricoltore

Prodotte da Carlo?

«Lui è alla regia dell’operazione. È rimasto talmente impressionato da questo frutto che ha voluto creare un dolce dedicato. Quando i clienti lo ordinano è sempre contento».

Quindi il menù del ristorante, in generale, sarà condizionato dalle materie prime di stagione.

«Questo accade già. Ora però Carlo è più attento perché le materie prime arrivano direttamente dal suo orto. Come per la moda, che ha sentito il bisogno di diventare sostenibile, anche la cucina sta seguendo quel percorso».

Si è ispirato a qualcuno?

«Alla sua esperienza direi. Per Carlo tutto è utilizzabile. Racconta sempre che quando era in cucina da Gualtiero Marchesi, il suo maestro, usavano sempre le parti nobili delle carni e tutto il resto veniva buttato. Oggi questo criterio non è più sostenibile. Per lui gli sprechi sono il nemico primario della cucina. Tanto che con tutti gli scarti dell’azienda agricola produciamo altre cose».

Per esempio?

«Due su tutti, con le bucce della frutta produciamo la carta che useremo al ristorante. Con i noccioli delle ciliegie e delle albicocche si fanno le farine per i dolci. Lo fa per noi la Cartiera Favini, start up che usa gli scarti e crede nell’economia circolare».

La vista da Vistamare

In pochi lo fanno. Nel settore agricolo si usano ancora modelli tradizionali e non tutti riescono a progredire e a digitalizzarsi. È d’accordo?

«Durante il corso mi sono resa conto che c’è un mondo di giovani che hanno deciso di abbandonare studi e carriere per rimettersi in gioco. Ho incontrato avvocati e commercialisti intenzionati a portare le loro conoscenze in una realtà che abbiamo sempre sottovalutato. Una realtà complessa e faticosa che ci ricorda ogni giorno che il futuro parte da lì, dalla terra e dal cibo che mangiamo».

È conveniente?

«Sul lungo periodo sì, bisogna pazientare. È un ritorno alle origini, bisogna essere pronti ad affrontare sacrifici enormi. Sei in balìa della natura, non puoi controllare tutto e devi imparare ad essere “zen”. C’è una forte pioggia a fine maggio? Le albicocche muoiono anche se le hai curate per mesi. Ci sono tanti giovani che mettono un’attenzione nobile e profonda nella parte biologica. È così che sono stati riscoperti grani antichi che si usavano un tempo e che hanno valori nutrizionali importanti. Sul breve periodo non saranno convenienti per chi li produce, ma le soddisfazioni possono essere enormi».

Sarete biologici anche voi?

«Servono tre anni prima che un terreno possa essere dichiarato biologico. Ci stiamo impegnando, abbiamo iniziato a produrre frutta e verdura senza diserbanti e prodotti chimici».

Altri obiettivi?

«Trasformare la cascina in un laboratorio didattico in cui invitare i bambini delle scuole. È capitato che Carlo sia stato invitato nell’istituto dei nostri figli, Pietro e Cesare, per cucinare e insegnare la lotta allo spreco. È tornato a casa con l’idea che sia importante cominciare presto a capirlo».

E lei cos’hai imparato?

«La prima volta che sono entrata in azienda ho capito che era come se avessi avuto il terzo figlio. La natura non ti aspetta, va avanti anche se non ci sei. Lo abbiamo capito durante il lockdown. Quando siamo tornati dopo due mesi era primavera e le piante erano era esplose».

Quando l’ho conosciuta non amava troppo la natura. Che cos’è successo nel frattempo?

«Io e Carlo abbiamo costruito tanto insieme, il ristorante in Galleria Vittorio Emanuele, nel cuore della città, è una sfida che ci ha dato molte soddisfazioni. Arriviamo entrambi da città diverse ma amiamo profondamente Milano, la massima qualità è un modo per restituire ciò che la città ci ha offerto».

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