Il controllo intensivo dei dipendenti in smart working rischia di diventare controproducente: può servire a motivare i più pigri, ma diminuisce la fiducia verso il datore di lavoro e non porta benefici né al morale, né alla produttività dell’azienda. “Spesso si pensa che controllare il personale sia una strategia facile per prevenire la pigrizia”, afferma Janina Steinmetz, docente di marketing alla Business school della City, University of London. “Certo, alcuni dipendenti non si impegnano e una supervisione costante può ridurre il fenomeno. Un controllo percepito come inaspettato o eccessivo, però, può creare una cultura di sfiducia. In tal caso, i dipendenti potrebbero sentirsi alienati e perdere la motivazione”.
Se in ufficio il capo ha la possibilità di controllare il dipendente in momenti casuali, con lo smart working – per molti destinato a diventare la nuova normalità – può sorgere la tentazione di monitorare in modo costante l’attività. “Controllare qualcuno fermandosi alla sua scrivania, in un normale ambiente di lavoro, può dare molti vantaggi”, prosegue Steinmetz. “Non solo a scopo di supervisione: può essere l’occasione per una domanda o per una chiacchierata veloce. Il discorso cambia quando si parla di monitoraggio costante a distanza”.
Come gestire lo smart working: no alla sorveglianza, sì al controllo degli obiettivi
L’utilizzo della tecnologia per sorvegliare i dipendenti in smart working – condivisione obbligatoria dello schermo, visualizzazione delle pagine web visitate, clic al minuto, perfino attivazione della webcam durante la giornata – può produrre infatti conseguenze psicologiche che vanno anche al di là della perdita di fiducia nel management. “La ricerca”, continua Steinmetz, “mostra che le persone non solo si comportano diversamente quando sono monitorate – per esempio, restano lontane dai social media quando il capo è in ufficio -, ma pensano anche in modo diverso al loro lavoro”.
Alcuni test, infatti, hanno dimostrato che le persone credono di avere commesso più errori quando sono strettamente sorvegliate. “Guardano il loro lavoro dalla prospettiva dell’osservatore, più che dalla propria”, spiega Steinmetz. “Un atteggiamento che spesso ingigantisce l’errore. In questo modo si ostacolano l’apprendimento e la fiducia dei dipendenti. I datori di lavoro farebbero meglio, quindi, a stabilire obiettivi per i loro dipendenti in smart working e a controllarli regolarmente per vedere come li stanno perseguendo”.
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