Davide D'Andrea Ricchi
Cultura

Sviluppare il franchising con il crowdfunding, l’idea di Davide D’Andrea Ricchi

di Daniele Tortoriello

Franchising e crowdfunding sono termini la cui associazione può sembrare forzata o poco significativa. Vero è che il crowdfunding è un nuovo strumento di finanziamento le cui potenzialità si stanno scoprendo un po’ alla volta ma il collegamento con il franchising non appare così intuitivo. Esistono tuttavia diversi punti di contatto che sono stati messi in evidenza da Davide D’Andrea Ricchi, fondatore di Sviluppo Franchising e uno dei massimi esperti del settore, nel suo libro Let’s Franchising (edizioni BFC Books, Milano 2020).

Il libro rientra in una collana innovativa, realizzata in collaborazione con l’edizione italiana Forbes, per raccontare le storie imprenditoriali di successo, dedicata ai professionisti, al mondo imprenditoriale e alla business community in generale.

Cerchiamo di capire meglio il connubio tra franchising e crowdfunding, grazie proprio all’aiuto di Davide D’Andrea Ricchi. 

Può esistere una relazione tra franchising e crowdfunding? Se esiste come si concretizza?
Quella tra franchising e crowdfunding la definirei una giovane e stimolante frequentazione. Una relazione che esiste sia sotto il profilo teorico, della legge, sia sotto quello pratico, con diversi casi di successo, di progetti di franchising, finanziati con il crowdfunding anche in Italia. La connessione tra i due temi nasce nel 2018, quando la Consob ha aperto questo strumento di finanza alternativa anche alle piccole e medie imprese e quindi, per estensione, anche ai franchisor rientranti in questa categoria. Oggi lo startupper franchisor o reti franchising avviate possono avvalersi del crowdfunding per trovare i capitali per avviare il proprio piano di sviluppo oppure per conquistare nuovi mercati.

Quali sono i punti di forza e di debolezza?
Il crowdfunding non è di certo una rosa senza spine, come d’altronde si può dire per ogni strumento tecnologico. Di buono, per la società franchisor promotrice, c’è che i piccoli azionisti che investono nel progetto non avranno mai la forza di influenzare le scelte della governance, del socio o dei soci di maggioranza. I punti di debolezza che invece personalmente vedo sono due. Il primo è la necessità, per raggiungere il traguardo (o meglio goal, per utilizzare il gergo delle piattaforme), di un investimento in marketing importante. Non è facile raggiungere e persuadere degli investitori “freddi”, che magari non hanno mai sentito parlare del progetto. Il secondo punto debole sono i tempi. Le campagne durano mesi, dal lancio fino alla raccolta. Non è detto che il proponente del progetto ottenga i soldi. Nel caso non si raggiunga la cifra prefissata, i soldi ritornano agli investitori. Il rischio allora è di aver investito soldi e fatica, senza aver ottenuto poi un risultato utile.

Quali sono i casi più recenti nell’ambito franchising?
Ci sono diversi casi di progetti di franchising che hanno ottenuto soldi richiesti e si sono realizzati su quasi tutte le piattaforme più importanti di equity crowdfunding. Tra i casi più eclatanti, quelli che hanno raccolto di più, PoshWash, un format di lavanderie automatico, che ha ottenuto circa 580 mila euro su Crowdfundme, e The Longevity Suite, network che opera nel settore della bellezza, con centri antiage, che ha raccolto 600 mila euro su Mamacrowd. Ma il caso più performante è quello a cui ho dato il mio diretto contributo tecnico: mi riferisco al marchio I love Panzarotti, un format food che ha raccolto oltre  1 milione di dollari, fondato da Angelo Magni e Giovanni Bonati. In questo caso abbiamo provato a rivoluzionare l’esperienza degli utenti, non appoggiandoci a una delle piattaforme di crowdfunding sul mercato, ma costruendone una nostra. Per scovare poi i potenziali finanziatori, siamo partiti dai social con un’azione di marketing diretta sui piccoli investitori.

Quali sono oggi le piattaforme più diffuse e qual è il loro costo?
Restando nel campo dell’equity crowdfunding, sono cinque oggi le piattaforme top in Italia, in termini di volume di raccolta: Crowdfundme (quotata in Borsa), Mamacrowd (ex Siamosoci), Opstart (è quella che ha raccolto di più nel 2020, con quasi 23 milioni di euro), Backtowork e Two Hundred. Il loro modello di business si basa sulle percentuali che ottengono sulla cifra raccolta, fee comprese in un range medio dal 4 al 10%.

Quali sono gli altri strumenti finanziari alternativi al crowdfunding?
Qualche tempo fa ho letto nel libro The Art of Startup Fundraising, una frase che mi sembra molto centrata sulla raccolta dei soldi: “I migliori imprenditori non sono i migliori visionari, ma i migliori venditori. Sanno come raccontare una storia che convince gli altri a farne parte”. Ciò premesso, avendo questa capacità di vendere una storia appassionante, si possono provare le strade tradizionali del fundraising per le startup. Da quella classica del “family, friends and fool”, sempre con un approccio professionale, fino ai business angel, giungendo poi alle forme del private equity, investitori istituzionali che investono in aziende già consolidate. 

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