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Leadership a domicilio: la manager 31enne che sta portando il quick-commerce di Glovo in Italia

Quando Elisa Pagliarani è entrata in Glovo Italia, il team contava appena una decina di persone. Che oggi sono diventate 120 e da piccola startup con uno spirito “avventuristico”, come spiega la general manager, hanno contribuito a formare un’azienda solida per processi e procedure, con una struttura ben definita. Dal cibo dei ristoranti alla spesa dei supermercati, passando per i farmaci da banco, i fiori o semplicemente le chiavi di casa, l’unicorno spagnolo guidato da Oscar Pierre, che di recente ha raccolto un round di 530 milioni di dollari, in Italia è disponibile in 200 città coprendo sia le grandi piazze come Milano, Roma e Torino, sia i comuni più piccoli. Alla base del suo successo, il cosiddetto q-commerce, dove “Q” sta per “quick” (rapido, ndr), che garantisce consegne di prodotti e beni entro un’ora dall’ordinazione.

In alcune grandi città, Glovo è già in grado di compiere consegne in 10 minuti, attraverso una rete di dark store ovvero magazzini collocati in luoghi strategici, riempiti con le merci da consegnare in breve tempo. Ne ha parlato anche Pagliarani recentemente: “Abbiamo inaugurato il nostro secondo dark store a Milano e il primo a Torino; puntiamo ad averne almeno 15 sul territorio entro la fine dell’anno e abbiamo programmato oltre 100 assunzioni come personale dedicato”.

Pagliarani è arrivata in Glovo quasi per caso. La scoperta di una open position e, soprattutto, il momento adatto per chi come lei in quel momento era in cerca di un cambiamento. Laurea in Ingegneria gestionale al Politecnico di Milano e diversi anni in Vodafone, è nel 2017, anno particolarmente dinamico per il settore del food delivery per il mercato italiano, che nell’arco di tre giorni aveva già fatto quattro colloqui per entrare nell’azienda catalana. Oggi in qualità di general manager si occupa dello sviluppo del business in Italia a 360° dal marketing alle operazioni strategiche, dallo sviluppo commerciale a tutte le tematiche legali, di public policy e finanziarie.

Le abbiamo chiesto di raccontarci la sua idea di leadership al femminile e le nuove sfide che attendono il business dell’home food delivery in Italia.

Esiste in azienda una “giornata tipo”?
Direi proprio di no. Anzi, spesso si ha l’impressione sbagliata che un general manager stia seduto davanti al computer tutto il giorno oppure sia impegnato in riunioni infinite. Ricopro un ruolo talmente sfaccettato che ogni giorno letteralmente “saltello” tra sfide e opportunità diverse. Un giorno passo la mattina da un partner mentre il pomeriggio a controllare l’andamento delle città in cui il servizio è stato appena avviato; il giorno dopo potrei essere coinvolta in incontri istituzionali o per rivedere come rendere più efficace la nostra organizzazione. Certo, abbiamo degli appuntamenti fissi in cui ci riuniamo tutti insieme per valutare come stiamo andando o semplicemente per festeggiare i risultati raggiunti.

Quali insegnamenti porti con te dopo gli anni in Vodafone?
L’insegnamento più grande che mi ha lasciato è stato l’attenzione e la centralità del cliente in ogni scelta di business. Quando lavoravo lì il cliente era quasi un’ossessione nel senso buono del termine. Oggi siamo abituati a vedere le aziende incentrate molto sul consumatore, ma nel 2013 questo approccio era rivoluzionario, perché il business veniva creato partendo da un’esigenza e non viceversa. Questa è una forma mentis che mi sono portata anche in Glovo e che tuttora applico nelle mie scelte quotidiane. Naturalmente tenendo conto che per noi il cliente può essere l’utente che ordina sull’app, ma anche un ristorante o un esercizio commerciale.

Cosa significa per te essere una leader?
Prima di tutto empowerment. Una squadra funziona davvero se ciascun componente si sente pienamente responsabile delle sue attività. Essere leader per me significa dettare la direzione e le linee guida, ma lasciare che sia il singolo a raggiungere il proprio risultato. Ovviamente, empowerment e delega non significa essere assenti: credo anche nell’importanza di offrire una presenza costante per supportare e agevolare il lavoro dei membri del proprio team, cercando di non essere ingerente.

(Courtesy Glovo)

Quali sono gli ultimi successi raggiunti in Glovo di cui sei particolarmente fiera?
Ammetto che sono tanti: pensando a due anni fa vedo che abbiamo raggiunto dei risultati davvero incredibili. Quando ho iniziato in Glovo eravamo circa una decina, oggi siamo oltre 120. Non semplici numeri ma un insieme di talenti che ci hanno permesso di espandere il nostro servizio in più di 200 città (nel 2017 eravamo presenti solo a Milano e Roma) e, non da ultimo, di sviluppare il concetto di quick-commerce in Italia (la seconda generazione dell’e-commerce) con partnership strategiche chiuse e l’apertura di ben 3 dark store tra Milano e Torino.

È difficile essere donna in questa industry? E fare sistema?
È difficile come in molte altre industrie. Credo ci siano però dei pro e dei contro: se da un lato è leggermente più difficile crearsi una buona credibilità, dall’altro si ha il vantaggio di lasciare il segno subito ed essere molto più riconoscibili.

So che svolgi alcune attività con le scuole a sostegno dell’inclusione delle donne nell’ambito delle carriere professionali…
Certo, proprio l’altro giorno con l’iniziativa STEMintheCity del Comune di Milano siamo stati ospiti di un liceo di Milano. Sono dei momenti bellissimi perché parlare direttamente con le nuove generazioni non ha prezzo. Come donna che ha fatto un percorso STEM (dall’inglese science, technology, engineering and mathematics, ndr) ci tengo particolarmente a incoraggiare i ragazzi e le ragazze a seguire i propri sogni in maniera razionale. Quello che dico sempre è: imparate a leggere i dati, la matematica non è solo per astro-scienziati e non c’è niente di difficile in essa; secondo, scoprite il vostro talento, non basta fare quello che vi piace, cercate quello che vi piace e in cui siete anche bravi; terzo, guardate ai vostri colleghi/compagni come alleati perché c’è spazio per tutti. Anche perché due stelle vicine brillano di più di due separate…

Che performance avete avuto in questo ultimo anno, dallo scoppio della pandemia?
All’inizio la pandemia ha avuto un impatto incerto, soprattutto sulla categoria del cibo, dopo ha dato invece una forte accelerazione al delivery. Nei grandi centri ma anche nei piccoli comuni i consumatori hanno scoperto il valore della consegna a casa, considerandola non più un’opzione per chi ha poco tempo ma un servizio essenziale che caratterizza la quotidianità. Quando si parla di delivery, ci si riferisce spesso a un servizio “piatto” guidato da una tecnologia che quasi non legge la realtà. La pandemia non ha modificato il servizio in sé, l’ha solo mostrato nella sua interezza evidenziandone il suo valore. Per noi in Glovo si è trattato comunque di un’accelerazione della penetrazione del servizio, il cui trend era già estremamente positivo.

Di recente avete lanciato anche un’iniziativa relativa alla Tampon Tax…
Personalmente sto facendo una mia battaglia personale sul ciclo mestruale, per abbattere un tabù che non ha senso di esistere. Quel periodo del mese presenta diversi disagi per noi donne: non è confortevole sia fisicamente sia psicologicamente, per gli sbalzi ormonali. E poi c’è anche un fattore economico, considerato che è prevista l’Iva al 22%. Per questo in Glovo dall’8 al 15 aprile abbiamo lanciato la “Tampon tax free week”, abbattendo per una settimana l’IVA su tutti gli assorbenti nei dark store di Torino e Milano. Abbiamo inoltre consegnato gratuitamente 10mila assorbenti alla onlus “Villaggio della madre e del fanciullo”, che si occupa di sostenere donne in condizione di vulnerabilità economica. Come società sosterremo inoltre la petizione di Onde Rosa “Stop tampon tax” che ha già raccolto oltre 600mila firme su Change.org. Gli assorbenti sono a tutti gli effetti un bene essenziale e necessario per affrontare una condizione naturale: tassarlo come un bene di lusso è un approccio anacronistico.

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