Articolo apparso sul numero di aprile 2021 di Forbes Italia. Abbonati!
Ingegnere gestionale e logistico, classe ‘81, Alessandro Grosso è entrato in Accenture nel 2006, subito dopo la laurea all’Università degli studi della Calabria, dove ha ricoperto diversi incarichi nella logistica e distribuzione. Ha fatto il suo ingresso nel 2011 in Fca dove ha potuto mettere a frutto la sua esperienza nei reparti vendite, supply chain, logistica, flotte e b2b fino alla responsabilità dei marchi Alfa Romeo e Jeep per l’Italia per concentrarsi dal gennaio scorso sul solo brand americano – vero marchio globale – nell’ambito della riorganizzata Stellantis.
Jeep è uno dei brand che ha contribuito maggiormente alla rinascita del gruppo Fca: che ruolo ha ricoperto il nostro mercato in questo senso?
Per Jeep l’Italia è un Paese molto importante. Se noi prendessimo la curva di crescita dal 2011 ad oggi vedremmo una crescita esponenziale. Una forma che ricorda quella dei pendii che le nostre off road sono abituate a superare. Siamo partiti da quote e volumi di vendita da marchio di nicchia, ma grazie all’introduzione del Renegade nel 2014, del Compass nel 2017, al rinnovamento dei modelli ‘americani’ e all’introduzione di nuovi modelli con la tecnologia 4xe, il brand Jeep è riuscito ad arrivare a quote di mercato importanti, in alcuni casi anche superiori al 5%.
L’elettrificazione sta rivoluzionando la mobilità: come sta vivendo questo delicato passaggio un marchio con 80 anni di storia?
Jeep entra in maniera importante, robusta e soprattutto univoca nel mondo dell’elettrico. Abbiamo introdotto la rivoluzione tecnologica ed elettrica con il nuovo modo di essere 4×4. Da qui nasce il logo 4xe, che non è solo una vettura plug-in, ma è l’evoluzione del 4×4 che permette di entrare nel mondo della mobilità urbana sostenibile e di avere come obiettivo di disporre entro il 2025 di una gamma completa di modelli elettrificati nel mondo per il marchio Jeep. Questo lo facciamo migliorando ulteriormente l’eccellenza del 4×4 e cercando di conquistare nuovi clienti che fino a poco tempo fa non avrebbero mai pensato a Jeep. Avvicinandoci ai clienti più eco-friendly, clienti urbani che hanno bisogno di spostamenti medio-brevi nella loro quotidianità.
Quali sono le unique selling proposition Jeep riconosciute dal mercato italiano?
Sicuramente l’eccellenza nel 4×4, ma anche una vettura tecnicamente superiore dal punto di vista del prodotto e dell’infotainment. Il nuovo Compass raggiungerà l’eccellenza in tale ambito. Verrà lanciato in Italia tra fine marzo e inizio aprile per compiere uno step successivo per questo importante prodotto di volume, leader del segmento C-Suv, superando anche competitor che costano la metà di un Compass. Il fatto di essere Jeep, il prodotto, l’offerta, il modo in cui vendiamo e posizioniamo Jeep in Italia, permette al cliente di vivere un’esperienza unica.
Come va interpretato il ritorno di Jeep nel segmento dei pick-up con Gladiator?
Sicuramente il Gladiator lavorerà sul segmento dei pick-up, ma sarà anche un’evoluzione della nostra icona Wrangler. Attirerà quei clienti che hanno bisogno di un pick-up, ma anche gli amanti del Wrangler che apprezzano la possibilità di trasporto offerta dal cassone di Gladiator. Il cosiddetto ‘Wrangler col cassone’ è proprio il concetto che vogliamo far passare in Italia. Renegade è la Jeep nata per acquisire nuovi clienti: un approccio turnaround, disruptive. Nonostante il lancio risalga al 2014, a sette anni dal lancio Renegade è ancora leader nel segmento B-Suv grazie all’aggiornamento costante del prodotto – sia in termini estetici sia di contenuto e innovazione.
In che modo la produzione italiana ha contributo al successo di Jeep?
Ci piace definire questa importante localizzazione della produzione Italiana, parte della nostra storia. Abbiamo iniziato a festeggiare gli 80 anni di Jeep l’anno scorso, purtroppo in una pandemia mondiale come quella che ci affligge ancora oggi, ma siamo comunque riusciti a localizzare i due modelli di volume: prima il Renegade nel 2014 e poi il Compass l’anno scorso. Possiamo dire che Jeep è a tutti gli effetti anche un prodotto made in Italy. Questo ha creato un volano sia dal punto di vista dell’impiego negli stabilimenti ex Fca (ora Stellantis) sia nell’indotto, portando enormi benefici a tutto il mondo automotive. Localizzare la produzione a Melfi ci ha permesso – e ci permetterà anche in futuro – di migliorare gli indicatori di qualità come le tempistiche di consegna, la qualità stessa del prodotto e la soddisfazione del cliente.
Manager a 40 anni in una multinazionale di prestigio come Stellantis: come si raggiunge questo traguardo?
Non mi definisco fortunato, ma al posto giusto con le competenze giuste. Tutto nasce dalla capacità di mettersi in gioco. Nella prima parte della mia carriera, da neo-laureato, ho preso la valigia e sono andato all’estero per cinque anni. Capire i vari modi di lavorare, le varie etnie, i vari colleghi nel mondo fornisce a un manager un background fondamentale di questi tempi. La mia esperienza consulenziale mi ha permesso di acquisire resilienza, di prendere il cambiamento come fattore di opportunità e non di rischio. Poi il percorso in Fca, ora Stellantis, mi ha permesso di raggiungere rapidamente delle tappe molto importanti con una crescita repentina.
Quali sono le sfide più importanti che l’aspettano in questo nuovo ruolo?
Jeep deve continuare a consolidare la propria crescita. Una crescita basata su tre principali fattori: la qualità, e la qualità verso il cliente, la sostenibilità e l’elettrificazione, puntando molto sulla tecnologia plug-in. Dev’essere una crescita in linea con le aspettative che Stellantis ha per questo brand. Una crescita di volume, ma anche di certezza da un punto di vista di cliente e soprattutto di coinvolgimento a pieno della rete, assieme ai canali di vendita addizionali come l’e-commerce.
Cosa ha cambiato la pandemia nel business dell’auto e di Jeep?
Sicuramente ci sta togliendo dei potenziali clienti. Il 30% dei clienti Jeep è un professionista con partita iva. Una situazione di incertezza che non aiuta a compiere un passo importante come quello dell’acquisto dell’auto nuova. Diciamolo pure, in Italia l’auto è il secondo bene di consumo importante dopo la casa anche nel 2021. Questa pandemia ci ha permesso di stare ancora più vicini alla rete, perché in un momento difficile siamo stati bravi a sostenerla. Abbiamo fatto dei programmi di supporto nei primi mesi post-lockdown nel 2020 e siamo stati in grado di lavorare su iniziative digitali per poter procacciare clienti da passare ai nostri concessionari e avere una ripartenza veloce. Tra i vari aspetti negativi, uno positivo e senz’altro il rafforzamento del nostro modo di lavorare. Abbiamo scoperto di essere bravi a lavorare in smart working: abbiamo compiuto quel passaggio tecnologico che i Paesi del nord Europa hanno già fatto e siamo pronti anche per il prossimo futuro.
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