Davide D'Andrea Ricchi
Blockchain & Co

L’impatto della blockchain e delle criptovalute sul franchising secondo Davide D’Andrea Ricchi

di Daniele Tortoriello

Può la tecnologia della Blockchain aiutare il business nel franchising? Lo chiediamo a uno dei massimi esperti del settore Davide D’Andrea Ricchi, fondatore di Sviluppo Franchising e autore del libro Let’s Franchising (edizioni BFC Books, Milano 2020). Sebbene il libro sia uscito da qualche mese e nonostante il taglio contemporaneo, non si fa nessun riferimento a una tema di tendenza come la Blockchain. Cerchiamo di capire quindi, parlandone direttamente con Davide D’Andrea Ricchi, se c’è una relazione tra il mondo franchising e quello della cryptoeconomy.

La Blockchain è una tecnologia estremamente flessibile e per la sua utilità è stata associata a più tipologie di business. C’è spazio per impiegarla anche nel franchising?

“Sì, d’altronde se ne parla già dal 2018 da quando si è tenuto un evento proprio in Italia, a Roma, nel quale un gruppo di esperti guidato da Craig Tractenberg, partner di Fox Rothschild, ha discusso proprio di possibili applicazioni della Blockchain e delle criptovalute all’interno dell’universo del franchising. Curiosando online, si trovano le riflessioni venute fuori in quell’incontro”.

In che modo il mondo di criptovalute e Blockchain può sposarsi con le logiche del business del franchising?

“Per capirlo, conviene partire da casi concreti. Un esempio che ha già fatto scuola è quello di Burger King, che ha lanciato un suo sistema di pagamento in criptovalute, chiamato Whopper Chain, proprio in omaggio al suo celebre panino. In questo caso, la criptovaluta aveva lo scopo, come spesso accade, di fidelizzare ancora di più i clienti, innovando i programmi fedeltà. I clienti di una rete franchising così possono convertire i tradizionali punti fedeltà in token, da usare poi per comprare beni e servizi”.

Per gli esperti, la Blockchain si lega a doppio filo con la supply chain. Un legame che può essere utile anche per le reti franchising?

“Come la fetta di cetriolo nel Gin Tonic. Uso questa espressione popolare per raccontare che la supply chain è il luogo nel quale davvero la Blockchain può fare la differenza. Immaginiamo il food, che è il settore che più soffre i problemi legati alla mancanza di tracciabilità dei prodotti, che mina la fiducia dei consumatori. Già grosse catene, come Walmart e Carrefour, hanno sviluppato delle proprie Blockchain che aiutano i consumatori a tracciare le origini e i movimenti dei cibi che intendono comprare. Per esempio, Carrefour ha ideato una sua Blockchain per la produzione dei polli ruspanti. I consumatori scansionano un codice e ricevono tutte le informazioni sulla produzione, dall’allevamento fino alla trasformazione della carne. Immagina come questo meccanismo può potenziare la trasparenza e la fedeltà del consumatore al brand”.

Parliamo di investimenti. Come può oggi un imprenditore del franchising investire direttamente nel mondo della Blockchain e delle criptovalute?

“Il modello franchising sa adattarsi alla natura di business diversi, anche nel campo delle criptovalute. Basti pensare che sono nate reti di franchising che sono punti di interscambio di Bitcoin e altre criptovalute. Parlo nello specifico di negozi nei quali è possibile usare ATM per scambiare una criptovaluta con euro o dollari, o anche con altre criptovalute. Tra i casi di successo c’è BuyBit, che è parte di una rete europea, con casa madre spagnola, e ha trovato un buon seguito anche nel nostro Paese”.

Si parla anche di criptovalute come un nuovo modello di finanziamento per le imprese. Può un imprenditore, nel franchising, sfruttare canali alternativi per reperire fondi e lanciare attività?

“Oggi è da escludere. In Italia sono pochissimi i progetti (e non riguardano il franchising) che sono stati finanziati con capitale in Bitcoin. Ricordo, per esempio, Oraclize, la startup di Thomas Bertani, ma parliamo di sei o sette anni fa. In teoria esistono strumenti di finanziamento alternativi, che vanno immaginati alla stregua delle piattaforme di crowdfunding. Penso alle STO, acronimo di Security Token Offering. Eppure le STO non sono ancora regolamentate dalla Consob, come invece succede per le piattaforme di equity crowdfunding, e sono accessibili per progetti che hanno delle tecnologie disruptive alla loro base. Mondi che hanno dinamiche ancora lontane da quelle del franchising”.

È evidente che il franchising rappresenta un modello di sviluppo molto interessante. Bisogna però conoscerne i segreti. Davide D’Andrea Ricchi, nel suo Let’s Franchising, ne individua 69 per creare una rete di successo. Il volume rientra in una collana innovativa, realizzata in collaborazione con l’edizione italiana di Forbes, per raccontare le storie imprenditoriali di successo. Il libro è acquistabile direttamente sul sito di Forbes nella sezione dedicata dello Store. Tutti coloro che acquisteranno il libro attraverso lo Store di Forbes avranno il privilegio di fare una call conference con l’Autore di 40 minuti.

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