Fulvio Montipò Interpump Group
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Il nuovo miliardario italiano: Fulvio Montipò, il figlio di un muratore che ha creato dal nulla un gigante industriale

“Sono sempre stato innamorato di quello che ho fatto: di un mattone, di un cavallo, di un fiore o di una sciocchezza. Ma sempre innamorato”. In un’intervista al Resto del Carlino del 2015, Fulvio Montipò spiegava così il suo successo imprenditoriale. Oggi, il presidente e amministratore delegato di Interpump Group, gigante delle pompe ad alta pressione e del settore dell’oleodinamica, è il nuovo miliardario italiano.

Nell’ultimo anno, il prezzo delle azioni della società, che ha fatturato 1,294 miliardi di euro nel 2020, è cresciuto del 71%. Merito, spiega Forbes.com, “di una forte ripresa nel campo dei componenti idraulici per camion, guidato da clienti come la svedese Volvo. La quota dell’imprenditore, pari al 17%, vale ora un miliardo”.

Chi è Fulvio Montipò

Fulvio Montipò ha definito Interpump come “figlia di un sogno post-bellico, della miseria più cattiva, del desiderio di riscatto”. Il neo-miliardario è nato infatti a Baiso, sull’Appennino reggiano, nel 1944. Il padre, muratore, passava nove mesi l’anno in Svizzera. “Una vita lontano da noi dentro una baracca infame, con i sacchetti del cemento alle pareti per fermare gli spifferi”, ha ricordato Montipò a Repubblica. “Quando ci ripenso, mi dico che tutta la mia vita è una rivincita rispetto a quella baracca”.

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Fu un maestro elementare, convinto del suo potenziale, a permettergli di studiare. “Mio padre spiegava che non c’erano soldi, ma il maestro non mollava e un giorno mi presentò ai frati dei Servi di Maria per un colloquio”, ha raccontato al Giornale. “Il loro istituto ogni anno assicurava studi gratuiti a cinque ragazzi meritevoli. Quando venni ammesso, il maestro tornò trionfante da papà e disse che avrei potuto studiare senza spendere una lira. Lui aveva già pianificato che avrei fatto il muratore e io stesso non vedevo l’ora di aiutarlo. Alla fine, pur non felicissimo, cedette”.

Nel 1972, Montipò si laureò in sociologia all’università di Trento, nella stessa facoltà in cui studiava Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse, e insegnava il futuro ministro Nino Andreatta. Già dal 1967 lavorava alla Bertolini, azienda reggiana di pompe idrauliche. “Lavoravo fino alle 9 di sera e studiavo fino alle 2 di notte”, ha dichiarato. “Quattro anni di formidabile piacere”.

Interpump Group

Nel 1977, a 33 anni, Fulvio Montipò ebbe l’idea da un miliardo: sostituire i pistoni d’acciaio delle pompe con pistoni in ceramica, più affidabili, più resistenti e meno costosi. Nacque così Interpump, azienda con sede a Sant’Ilario d’Enza, in provincia di Reggio Emilia. Montipò investì l’equivalente di circa 1.250 euro di tasca propria e raccolse capitale da vari imprenditori locali, in cambio di un 40% della società. La crescita dell’azienda fu così rapida da permettergli di ricomprare la quota entro tre anni.

Interpump Group è arrivata a fatturare 1,37 miliardi nel 2019. La società è presente in oltre 30 paesi di tutti i continenti con almeno un’azienda e realizza oltre l’80% dei ricavi sul mercato internazionale. Nell’anno della pandemia, le entrate hanno subito una flessione del 5%. Montipò, figlio della guerra, respinge però facili paragoni tra l’era Covid e quella bellica.

“Non vedo analogie, se non trascurabili”, ha detto a Forbes Italia nel giugno 2020. “Il quadro culturale generale è totalmente diverso. La fase post-bellica era caratterizzata dalla distruzione, da un livello di disoccupazione altissimo, da una difficoltà vera e diffusa per sfamare famiglie, anche numerose, che non possedevano alcunché. Era un tempo in cui il sacrificio non pesava, era la norma, l’anelito a uscire dalla miseria era il sogno di tutti”. E in cui “la quantità di sogno e di bisogno era alta. Oggi viviamo una difficoltà di tipo diverso. Non c’è la distruzione, non c’è la stessa disperata fame, né la stessa disponibilità al sacrificio”. Una società con “un senso del diritto alto, per fortuna, ma un senso del dovere che si è attenuato”. I giovani, però, oggi sono “più formati, più critici. In una parola, migliori rispetto al passato”.

Quanto alla ricetta per uscire dalla crisi, Montipò ha auspicato un abbandono della politica dei sussidi. “Assistere chi è in difficoltà è un atto nobile, ma i giovani non possono crescere in un mondo fondato sull’assistenzialismo”, ha detto a Forbes nell’ottobre 2020. “Chi utilizza una bici assistita non potrà mai correre il Giro d’Italia. Un sistema fondato sui sussidi uccide gli stimoli di riscatto, l’esercizio del sogno e la chiamata alla responsabilità e al sacrificio di ciascun individuo”.

Il padre prodigo

Il giornalista Luciano Nigro ha definito Montipò “un raro esempio di padre prodigo”. Nel 1996, anno della quotazione in Borsa a Milano, vendette la sua quota in Interpump Group ai britannici di Bc Partners e si dedicò alla sua passione: i cavalli. Tra il 1996 e il 2015 gli esemplari usciti dalle sue scuderie, secondo i dati dell’Associazione nazionale del cavallo trottatore, ottennero premi per milioni di euro.

Già sul finire degli anni ’90, però, Montipò si era pentito di avere lasciato la sua creatura. “Alla fine del 1999”, scrive Forbes.com, “aveva ricomprato il 2%” delle azioni per circa 7 milioni di dollari”. Quattro anni dopo aveva ricostruito tutta la sua quota. 

Dal giugno 2020, Interpump Group è entrata a far parte del Ftse Mib. La crisi legata al Covid e il conseguente calo dei ricavi non ha alterato la strategia di acquisizioni che ha sempre caratterizzato la società: nell’ultimo anno ne sono state completate quattro in Italia e in Spagna. Al termine delle operazioni, alle aziende inglobate viene permesso in genere di mantenere il capitale umano. “Io credo che dentro tutte le imprese ci sia una storia di pensiero, di fatiche, di errori e di successi”, ha spiegato Montipò a Forbes. “Chi acquista aziende e le colonizza, butta via quel patrimonio. L’acquisitore resta così solo col suo pensiero. Se invece conserva, valorizza e integra, il suo pensiero cresce ogni volta che acquisisce una storia”.

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