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Il mondo è assetato di Cognac. Ma in Francia trionfa il Whisky

articolo di Federico S. Bellanca

Ci sono prodotti storici che paiono essere arrivati all’inevitabile passaggio  che porta dalla maturità al declino, superati nel percepito dei consumatori da novità più attraenti ed innovative. Eppure in un mondo globalizzato come il nostro può capitare che il lento ma inesorabile tramonto del ciclo di vita di un bene coincida al contempo per lo stesso con la più splendente delle albe, perché proprio come il percorso della nostra stella ci insegna, anche quando pare che la notte sia più buia, c’è sempre un paese illuminato sul globo.

In tal senso ha quasi dell’incredibile la vicenda del “distillato di bandiera” francese, il Cognac, capace di far battere i cuori della nobiltà europea per secoli ai tempi in cui il Whisky era poco più che un sistema di riscaldamento economico per pastori scozzesi, e che oggi è quasi dimenticato in patria. Può sembrare incredibile ma i dati in tal senso hanno del clamoroso: il consumo pro-capite annuo del celeberrimo distillato di vino è inferiore a quello mensile di whisky nell’esagono.

A fronte di una così dura e spietata realtà, non sarebbe strano se ci trovassimo davanti a un comparto sull’orlo del fallimento, con distillerie in vendita e ricerca di nuovi utilizzi per gli alambicchi, ed invece è tutto il contrario, e tutto questo grazie solo a una strategia legata all’export che pare inarrestabile. 

A fronte di un mercato domestico che pare stanco, troviamo infatti un mondo esterno sempre più assetato di Cognac, con 216,5 milioni di bottiglie vendute nel 2019 per un valore di 3,6 miliardi di euro (l’11,4% in più rispetto l’anno precedente secondo i dati dell’Ufficio nazionale interprofessionale del cognac, BNIC pubblicati il ​​15 gennaio 2020). Negli ultimi cinquant’anni le vendite globali sono cresciute in media del 2,5% ogni dodici mesi, arrivando a triplicare i volumi e passando da 83 milioni di bottiglie nel 1970 a 192 milioni nel 2020.

Ciò significa che ad oggi 98% delle bottiglie prodotte in Francia vengono esportate, ed il merito di questo successo è da ricondursi ad un ottimo lavoro di posizionamento sui mercati internazionali e di strategia marketing che ha portato l’acquavite francese a divenire uno status symbol inimitabile per due categorie capaci di influenzare le vendite globali: la middle class cinese e i rapper afroamericani.

cognac
foto di Michele Tamasco

Il legame con la comunità afroamericana

Il legame tra la cultura afroamericana ed il distillato francese pare possa aver avuto il suo inizio durante la seconda guerra mondiale. Secondo gli studi del professore americano Emory Tolbert pubblicati sulla rivista Slate Il rapporto del cognac con i consumatori afroamericani iniziò quando i soldati neri di stanza in Francia durante la guerra ebbero modo di scoprirlo nella sua terra natale, e di riportarla al rientro dal conflitto nell’immaginario della comunità. Ma è altresì probabile che il legame sia stato rafforzato da icone musicali Jazz e Blues nere di origine francese che ebbero enorme successo negli USA tra le due grandi guerre come ad esempio Josephine Baker. 

Ma se volessimo individuare il momento del vero e proprio boom, lo dovremmo cercare all’inizio di questo millennio, quando la superstar rap Busta Rhymes fece uscire la canzone “Pass the Courvoisier” (nome di un celebre Cognac) che nel testo recitava “Give me the Henny, you can give me the Crissy You can pass me the Remi, but Pass the Courvoisier”. Traducibile più o meno in “Dammi l’Henny (Hennessy), puoi darmi il Crissy, puoi passarmi il Remi (Rémy Martin), ma dammi il Courvoisier”.

Nel videoclip della canzone viene mostrata costantemente la bottiglia, ad ogni inquadratura. Risultato? Secondo iDistilled Spirits Council la canzone avrebbe portato ad un aumento pressoché immediato delle vendite di Courvoisier del 30%. In brevissimo tempo Cognac divenne nella cultura afroamericana sinonimo di ricchezza e raffinatezza. Pare che dal 60% all’80% degli acquirenti di questo prodotto negli Stati Uniti provenisse ad inizio del nostro secolo da questa comunità.

Se il marchio Courvoisier lanciò il trend, è stata Hennessy a cavalcare la moda in maniera egregia fino ad oggi. Da Drake a Kanye West, tutti i maggiori nomi della musica urban si sono rifatti a questo brand. Non solo, Il marchio ha spesso utilizzato per le proprie pubblicità oltreoceano i volti di grandi musicisti afroamericani, come Marvin Gaye o Erykah Badu, e dando spazio anche ad artisti di colore nella reinterpretazione delle etichette. E visto che alcune star sono anche imprenditori di talento, c’è chi non si è limitato al ruolo di testimonial, ma si è anche lanciato nella produzione, come Il rapper Jay Z che ha collaborato con Bacardi per la proposta della propria bottiglia. 

L’ascesa nella middle class cinese

Subito dopo il mercato americano, il secondo grande porto per il futuro del Cognac pare essere quello cinese, secondo maggior mercato di consumo in valore con 35,5 milioni di bottiglie importate nel 2019, e primo in valore.

Infatti, il cognac è diventato nel Celeste Impero sinonimo di ascesa sociale per le classi medie, che lo sostituiscono ai distillati nazionali come il baijiu, subendo il fascino dell’internazionale ma utilizzandolo nella stessa maniera in cui sono abituati con i prodotti autoctoni (mentre ad esempio resta atipico il vino per gusto, gradazione e utilizzo). In Asia vengono privilegiati i grandi invecchiamenti (e questo spiega il primato a valore) dai 5 anni in su fino ai 15, e viene bevuto sia durante che dopo i pasti, come da tradizione.

A fronte di un mercato interno che al 99% del consumo in volume e il 94% in valore continua a privilegiare i propri distillati, negli alcolici importati il cognac rappresenta il 50% del consumo contro il 41 % del whisky, con la differenza che il primo ha una sola regione di produzione (il Cognac appunto) mentre il secondo è distillato in Scozia, Irlanda, Usa e Giappone solo per citare i più famosi stati produttori. Inoltre quell’1% per quanto piccolo rappresenta le grandi città del progresso, a discapito dei consumi tradizionali molto diffusi nelle zone rurali dell’immenso paese.

Anche in questo caso però i francesi non sono solo spettatori del successo, bensì protagonisti attivi di strategie marketing vincenti, come ad esempio quella di creare etichette dedicate al capodanno cinese, principale festività della nazione, trasformando dunque le bottiglie in oggetti da regalo estremamente apprezzate.

Il futuro del Cognac

Se nel 2020 l’economia del cognac si è ridotta dell’11,3% in volume e di circa il 22% in valore a causa della crisi sanitaria, il rallentamento sembra non spaventare la produzione che è convinta di poter recuperare al superamento della crisi. Paradossalmente potrebbe essere stata l’occasione di tirare un po’ il fiato per in comparto che stava cominciando ad avere serie difficoltà a soddisfare la crescente richiesta internazionale. Insomma, il Cognac pare non temere di essere dimenticato in patria, perché il mondo non è mai apparso così ampio come adesso per i distillatori d’oltralpe.

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