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Tutti pazzi per gli eSport: dalla eSerie A Tim, ai nuovi attori. Le nuove frontiere di un business multimiliardario

Come si sta evolvendo l’esport, quali sono i trend che traghetteranno il gaming competitivo verso una nuova era? Di questo e di molto altro si è parlato in occasione dell’Esport Summit 2021, il primo evento italiano dedicato all’industria del gaming competitivo organizzato da Mkers e Social Media Soccer. Nato con lo scopo di coinvolgere le istituzioni, i publisher e gli attori dell’industria dell’intrattenimento e del marketing, l’evento ha illustrato le sconfinate potenzialità dell’esport.

Ecco alcune delle direttrici su cui si muoverà l’esport che verrà.

Il gaming competitivo su mobile: l’esport in tasca 

L’essenza del significato di gaming competitivo è stata plasmata da quello che può essere considerato l’hardware per eccellenza: il Pc. Non c’è dubbio, però, che il balzo tecnologico degli ultimi anni abbia aperto le porte a una nuova frontiera per la fruizione di ogni forma di intrattenimento digitale. Dunque anche del gaming e del suo approccio agonistico. In particolare, i dispositivi tascabili oggigiorno ospitano vere esperienze Tripla A: Call of Duty: Mobile e League of Legends Wild Rift sono solo alcuni dei titoli che hanno poco da invidiare, se non mouse e tastiera, alle controparti principali, tanto per offerta contenutistica quanto qualitativa. 

Secondo i dati raccolti da Newzoo, i gamer su mobile muovono 2,69 miliardi di dollari (numero trainato da paesi in rapida crescita e affamati di tecnologia portatile, con Cina e India in testa). Entro la fine del 2023 si dovrebbe raggiungere la ragguardevole cifra di 3,07 miliardi. Un bacino di utenza travolgente, a cui sviluppatori e publisher guardano con sempre maggior interesse non solo per aumentare gli introiti attraverso modelli di business ibridi, spesso basati sulle microtransazioni, ma anche per creare una sorta di piattaforma social 2.0, in cui le persone interagiscono e, soprattutto, si sfidano.

In tutto questo l’esport può rappresentare un mezzo, forse il più importante, per attingere a piene mani da un tesoro dall’entità ancora sconosciuta. Offrire contenuti adatti alla competizione, supportare le community con eventi e premi, giova alla stessa popolarità del titolo e induce i giocatori a popolare i server, mantenendolo in vita. 

Lo stream, quando l’esport si guarda

L’avvento dell’emergenza sanitaria ha rivoluzionato il concetto stesso di intrattenimento, spostando il baricentro delle consuetudini di consumo verso le piattaforme di streaming. Il gaming e l’esport, in questo senso, hanno beneficiato più di altri dell’improvviso aumento della domanda. Questa proviene dai cosiddetti avid fan quanto da una nuova tipologia di utenza, più tradizionale (o casual), attratta – vista la lunga assenza di eventi sportivi – dalla possibilità di assistere a competizioni, seppur sotto un’altra forma. 

In particolare, gli attori dello sport tradizionale hanno sfruttato l’occasione, accelerando i piani per il loro ingresso nel gaming competitivo. In Italia, per esempio, la Lega Serie A, con la eSerie A TIM, ha calamitato l’attenzione anche della fetta di pubblico che non poteva andare allo stadio, e le stesse società coinvolte nel progetto hanno creato una loro divisione dedicata al gaming e alla produzione di contenuti originali. 

Il giro d’affari che gravita attorno alle piattaforme di streaming come Twitch (che detiene ancora il monopolio di fatto), YouTube Gaming e Facebook Gaming è in rapida espansione. La società statunitense Juniper ha stimato che questo particolare segmento vale già 2,1 miliardi di dollari quest’anno e crescerà sino a toccare quota 3,5 miliardi di dollari nel 2025, con un traino importante proveniente dai paesi asiatici. Solo la Cina rappresenterà un terzo dell’intera fetta di mercato.

Il dialogo con il mercato mainstream

Il gaming si è ormai affrancato dalla propria nicchia e si è via via avvicinato all’enorme calderone chiamato mainstream. I giocatori più famosi raggiungono lo status di vere celebrità. Aggregano milioni di follower; visualizzazioni e guadagni provengono dai loro canali, streaming e social. I professionisti, insomma, sono diventati imprenditori con tanto di entourage. Non si limitano più a essere solo cyber atleti, ma sono anche creatori di contenuti e, soprattutto, influencer in grado di smuovere masse di fan fedeli ed entusiasti. 

Un trend che avvicina sempre più i videogiocatori professionisti alle personalità dello spettacolo tradizionalmente intese. E viceversa, potremmo dire, perché anche i vip guardano sempre più al gaming e all’esport come a un nuovo terreno fertile su cui seminare investimenti. 

Gli investimenti…di attori non endemici

Non sono solo le celebrities e le cordate di imprenditori a iniettare denaro sonante nel segmento esport, ma anche le aziende non endemiche, vale a dire aliene al settore, sempre più interessate a intercettare un’importante fetta di potenziali consumatori impossibili da ammaliare attraverso i mezzi tradizionali, come televisione e riviste cartacee. Se, almeno all’inizio, gli eventi dal vivo rappresentavano l’ambiente perfetto per approcciare la Generazione Z, con l’arrivo del Covid e lo spostamento del baricentro verso l’online i maggiori brand internazionali hanno intuito le potenzialità dello streaming, trovando soluzioni inedite: streaming sponsorizzati con pro player e produttori di contenuti, banner, unboxing dei prodotti (un esempio è l’attivazione di Lavazza con Pow3r), inserimento del brand addirittura all’interno del gioco stesso (come accade per gli sponsor dei campionati di League of Legends, presenti negli stendardi della Landa degli Evocatori).

A tutto questo si affianca ora una tendenza in forte crescita: l’arrivo degli sportivi (o ex sportivi), decisi a plasmare il futuro del settore con le proprie società e il proprio expertise, quest’ultimo rivisto e corretto per valorizzare al massimo, e con un metodo inedito, le skill dei campioni del domani. 

Le media company, l’erosione e la rinascita del concetto di intrattenimento

La necessità di colonizzare un segmento di mercato fondamentale come quello dello streaming e dell’intrattenimento mainstream ha impresso una spinta decisiva anche alla crescita di un altro fenomeno recente: l’avvento delle cosiddette media company. In Italia abbiamo già esempi di questo nuovo modo di intendere il segmento esport, su tutti Qlash e Mkers. Dunque, le organizzazioni che un tempo si occupavano semplicemente di gestire e coltivare i propri talenti, ora si stanno trasformando in compagnie di ultima generazione, con tanto di quartier generali polifunzionali, dove il contenuto diviene il fulcro attorno al quale far ruotare l’intera strategia di crescita della compagnia. Ciò significa che, per soddisfare la sempre maggiore richiesta di novità, le organizzazioni vanno diversificando il loro portfolio, associando all’attività legata al gaming competitivo anche canali streaming, linee di abbigliamento, merchandise, partnership e sponsorizzazioni con brand endemici e non.

In campo internazionale i casi studio sono ormai incalcolabili. Eccone alcuni, seguiti dalle loro entrate annue espresse in milioni di dollari secondo la classifica stilata da Forbes alla fine del 2020: Team Liquid (28 milioni, 85% dall’esport), 100 Thieves (16 milioni, il 35% direttamente dall’esport), Team SoloMid (45 milioni, di cui il 50% dall’esport). Questi sono dei veri e propri “brand” a tutto tondo, spendibili anche al di fuori del framework esport e soprattutto, in grado di imporsi ovunque, nel mondo.

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