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La storia di Marzia Bolpagni, l’italiana diventata una stella dell’ingegneria in Inghilterra

Nomen omen. Un nome, un destino. Si chiama Marzia Bolpagni – combattiva come vuole Marte – l’ingegnere 33enne fresca di vittoria del britannico Women of the Future, premio che finisce in un palmares già ricco. Uno sguardo a quanto accaduto nel 2021: è stata nominata giovane ingegnere dell’anno dalla Royal academy of engineering, professionista emergente dell’anno dall’Associazione di consulenza e ingegneria inglese (Ace), Inspiring Fifty l’ha inclusa tra le 50 donne più influenti nella tecnologia nel Regno Unito (alla premiazione era presente Hillary Clinton). Una stella in Inghilterra, dove vive da quattro anni, ma poco conosciuta in Italia, dove è nata e si è formata (in ingegneria edile-architettura all’Università di Brescia, con dottorato al Politecnico di Milano).

Forbes rilancia questa fuoriclasse che guida l’implementazione digitale internazionale in Mace, colosso con un fatturato pre-Covid di 2,7 miliardi di euro e cui si deve – per citare una struttura pop – la ruota panoramica London Eye. Alla Fiera di Milano, il 22 novembre, prende il via la decima edizione di Made Expo, fiera leader nel settore della progettazione, dell’edilizia e delle costruzioni. Fra i relatori degli incontri, anche Bolpagni, che è l’ottava ospite della serie #ZetaMillennials ad alto contenuto tecnologico.

Il settore delle costruzioni è responsabile del 40% delle emissioni di CO2. Che impatto potrà avere la digitalizzazione dei processi di costruzione sulla riduzione delle emissioni? 
Entro il 2050 il pianeta conterà 10 miliardi di persone, di cui il 70% nelle città. L’impatto del settore delle costruzioni sarà molto forte. Faccio un esempio. Alla Cop26 è stato spiegato che, per un edificio commerciale di nove piani, sostituire una facciata in alluminio con una mista alluminio-legno ha lo stesso impatto ambientale di 350 persone che passano a una dieta vegana per due anni e mezzo. Il settore delle costruzioni è molto imprevedibile, mentre per rispondere alla crisi climatica è necessario un processo prevedibile e controllato, simile a quanto accade nella manifattura. La digitalizzazione permette di gestire e controllare questo processo. 

Scendendo nei dettagli: come?
È possibile eseguire analisi energetiche e calcolare le quantità utilizzate e i relativi materiali, così da optare per soluzioni più sostenibili. Senza la digitalizzazione, questi processi restano manuali e dunque inaccurati e di difficile gestione.

Per iniziare un cammino virtuoso verso la sostenibilità, cosa dobbiamo fare?
Ridurre le nuove costruzioni a favore della riqualificazione di edifici e infrastrutture. Adottare materiali innovativi e a basso impatto, prediligendo – per esempio – il calcestruzzo con materiali riciclati anziché quello tradizionale. Dovrebbe cambiare poi il modo in cui trasportiamo i materiali, usando veicoli elettrici. In alternativa, bisognerebbe usare materiali prodotti localmente. Inoltre, sebbene ci siano indicatori per la sostenibilità, questi devono essere migliorati.

In Italia abbiamo società di ingegneria molto piccole, al punto che per lavorare ai progetti più ambiziosi del Pnrr dovranno associarsi a colossi stranieri. Un commento.
C’è anche un altro grosso problema: la mancanza di una visione strategica sul futuro delle costruzioni. In Inghilterra, ad esempio, c’è un mandato governativo per essere zero net carbon entro il 2050. Questo sta generando iniziative per cambiare il modo di costruire e gestire edifici e infrastrutture. Senza una visione ben definita e incentivi legati alla domanda di grandi opere, è difficile cambiare la strutture organizzativa delle società. 

In tema di digitalizzazione delle costruzioni, l’Italia dove si colloca?
Potrebbe sorprendere, ma l’Italia da diversi anni ha stabilito mandati governativi la Francia, ad esempio, ancora non ha. Inoltre ci sono norme specifiche in materia (create da Uni, ente italiano di normazione) che altri Paesi non hanno. Forse quello che manca in Italia è un’agenzia di supporto al mandato governativo. Tuttavia il nostro Paese ha un grosso potenziale, soprattutto se si pensa all’uso della digitalizzazione per preservare l’ambiente o per analisi sismiche. Servizi che possiamo esportare in tutto il mondo.

Dove la digitalizzazione delle costruzioni è un modello?
In generale nei Paesi scandinavi, poiché hanno iniziato il percorso di digitalizzazione dieci anni prima degli altri. In Norvegia, ad esempio, ci sono progetti realizzati senza disegni, ma solo con modelli 3D.

Lei lavora anche per l’ente di standardizzazione europeo (Cen) rappresentando l’Italia. L’anno scorso la sua squadra ha messo a punto lo standard europeo per la gestione delle informazioni digitali nel mondo delle costruzioni. Di che cosa si tratta?
Aggiungo che ora è stato implementato in tutta Europa e spero presto anche a livello internazionale. Lo standard consente di definire e gestire in modo accurato le informazioni necessarie durante il ciclo di vita di edifici e infrastrutture, evitando sia gli sprechi nella produzione di dati non necessari, sia la mancanza di informazioni.

Quando si parla di ingegneri, la mente corre a un uomo di mezza età con la pettorina gialla. Un commento.
Proprio per questo dobbiamo cambiare questa percezione. Dobbiamo fare in modo che le nuove generazioni vedano il nostro settore come accogliente. Dobbiamo attrarre nuovo talento per affrontare problemi complessi come il cambiamento climatico.

Nel 2021 ha vinto l’edizione britannica dell’Inspiring Fifty. Parteciperà anche all’Inspiring Fifty italiano?
Per la verità, AssoBIM aveva trasmesso la mia candidatura al gemello italiano, poi non s’è saputo più nulla. Per dire che spesso il problema non siamo noi, ma il sistema. In questo caso, una professionista che nel Regno Unito vince diversi premi nel proprio Paese non riceve neppure un messaggio di ringraziamento per essersi candidata. Non lo dico con spirito polemico, ma solo per invitare i giovani a guardare oltre i confini e a non fermarsi alla prima porta chiusa.

È cresciuta a Brescia, città di provincia ma dal dinamismo metropolitano. Cosa ha voluto dire vivere lì?
Brescia è riconosciuta come città di grandi lavoratori e, durante l’emergenza sanitaria, anche di “innovatori”. Penso, per esempio, a quanto fatto da Cristian Fracassi e dal suo team (hanno trasformato una maschera da sub in un respiratore, ndr). A questa città devo una formazione eccellente. Aggiungo che fin da piccola ho avuto la possibilità di confrontarmi con la diversità, frequentando la Scuola Audiofonetica. Una delle mie migliori amiche è sorda e questa diversità mi ha arricchito, aiutandomi ad apprezzare il talento delle persone al di là dei limiti fisici e culturali.

Proviene da una famiglia di ingegneri, o comunque di scienziati?
Non proprio. Ho iniziato ingegneria edile-architettura senza sapere dove mi avrebbe portata. Ho sempre amato le materie scientifiche. Da mamma ho ereditato la passione per l’arte, che si è poi evoluta in passione per l’architettura e l’ambiente costruito. Mio padre mi ha instillato il senso della precisione e dell’organizzazione.

Fra i mentori chi ricorda?
Sono tanti, ma penso anzitutto a due menti italiane molto innovative: Angelo Luigi Camillo Ciribini dell’Università degli Studi di Brescia e Luciana Burdi, a capo dell’agenzia aeroportuale del Massachusetts in Usa.

A fronte di proposte allettanti, tornerebbe in Italia? E se sì: cosa intende per allettanti?
Sono già coinvolta in iniziative per il mercato italiano, ad esempio nella standardizzazione. Ho inoltre fondato Italians in Digital Transformation Uk, una comunità di professionisti italiani che lavorano nel Regno Unito e hanno spirito collaborativo, in modo da fare da tramite tra i due paesi. Faccio anche parte di European Women’s Management Development (Ewdm) di Brescia. Il mio legame con l’Italia rimane forte e tornerei volentieri, a fronte di proposte che prima di tutto possano attingere alle mie competenze per avere un impatto significativo per il Paese e che mi permettano di continuare a crescere. 

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