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Innovazione e accessibilità alle cure secondo l’azienda che ha prodotto il farmaco anti-Covid Remdesivir

Articolo tratto dal numero di gennaio 2022 di Forbes Italia.  Abbonati!

Nell’ampio ventaglio terminologico con cui gli italiani hanno familiarizzato in tempo di pandemia c’è anche la parola Remdesivir, un farmaco antivirale prodotto da Gilead e utilizzato per combattere il coronavirus, oltre che, in un recente passato, l’Ebola. Per l’azienda californiana, guidata in Italia dall’amministratore delegato Valentino Confalone, l’enorme visibilità ed esposizione mediatica drammaticamente offerta dal Covid è stata innanzitutto occasione preziosa per “prendere coscienza di un ruolo in ciò che ogni giorno facciamo, nonché della responsabilità che da esso deriva”, spiega riferendosi in particolare alla consapevolezza che, “in base alle scelte che adottiamo, possiamo davvero cambiare la vita di migliaia di persone. E non ho dubbi che per i tanti colleghi che si occupano di vaccini l’esperienza vissuta sia stata la medesima”.

Oltre a essersi rivelata terribile banco di prova per l’intero sistema salute, l’emergenza pandemica lo è stata anche per le aziende, comprese quelle farmaceutiche. E lo è stata “non soltanto con riferimento all’area dei farmaci con cui contrastare il Covid”, tiene a precisare Confalone, “ma per l’insieme dei nostri comparti, e devo dire che il sistema Gilead ha tenuto”. In questa capacità di resistere e al tempo stesso reagire di fronte all’imprevisto, osserva Confalone, hanno giocato un ruolo chiave tanto i “trent’anni di competenze accumulate in area infettivologica in altrettanti anni di vita per l’azienda” e che “sono state la chiave per offrire una soluzione terapeutica che ancora oggi è a disposizione dei clinici per gestire i casi di Covid-19”, quanto “la solidità e flessibilità di una rete di approvvigionamento delle materie prime e distributiva che non è mai entrata in crisi, nemmeno dei momenti più difficili della pandemia”. Rete in cui, peraltro, proprio l’Italia ha una parte importante.

Così, a due anni di distanza dall’insorgere della pandemia, quando nella lotta al coronavirus la sanità deve gestire un paziente positivo, ospedalizzato e con impellente necessità di ossigeno, il Remdesivir “rimane ancora oggi uno degli strumenti principe”, ricorda Confalone, “al di là, evidentemente, dello strumento primo che sono i vaccini”. Per non parlare poi dell’impatto economico: provando a quantificare il risparmio per il sistema sanitario nazionale, Gilead, conferma l’ad, “ha stimato un risparmio pari a oltre 430 milioni, al netto dei costi del farmaco”. Un valore destinato a crescere non appena i dati potranno essere aggiornati a fine 2021. Quello che è certo è che “sono già 4 milioni in tutto il mondo le persone trattate con Remdesivir”, ricorda. Gilead, in almeno 125 paesi al mondo, ha peraltro rinunciato alle royalties sul Remdesivir, proprio per renderlo disponibile anche laddove non ci sia la possibilità di acquistarlo.

E mentre a fine dicembre i casi di Covid hanno ripreso a crescere, al tempo stesso l’ampia campagna vaccinale ha iniziato a dimostrare il suo impatto, specie con riferimento “all’infinitamente inferiore numero di pazienti che finiscono in terapia intensiva”, Confalone si mostra fermamente convinto che non sia il caso né di fare trionfalismi né tantomeno di ridimensionare il problema. Ancora prima di un eventuale ritorno alla normalità, infatti, a suo avviso, si tratta piuttosto di “imparare a convivere con una crisi non acuta, ma in qualche modo endemica, e quindi imparare a vivere e lavorare in un contesto che sarà comunque diverso da quello a cui eravamo abituati prima della pandemia”.

Da questo punto di vista, secondo Confalone, quello che non deve cambiare invece, “sono gli obiettivi aziendali di lungo termine” che, nel caso di Gilead, rimangono gli stessi antecedenti all’insorgere della pandemia. “Abbiamo come motto ‘rendere possibile l’impossibile’. E pertanto è confermato il target di rendere disponibili ai pazienti di tutto il mondo almeno dieci nuove terapie trasformative entro il 2030. Lo vogliamo fare come sappiamo farlo, ossia continuando a investire in ricerca e sviluppo, prevalentemente su due aree”, prosegue, “quella delle malattie infettive, come epatiti e hiv, la cui gravità a noi non era mai sfuggita in tutta la sua evidenza a livello globale, e quella dell’oncologia, dunque tumori solidi ed ematologici”.

“Ma non c’è innovazione senza che a quell’innovazione sia garantito un accesso generalizzato”, puntualizza Confalone. Dunque, per ogni nuovo farmaco la sfida è anche quella di “renderlo sostenibile per i sistemi sanitari”. E anche questo, assicura, è “uno dei pilastri fondamentali nella strategia di Gilead al 2030”. La strada è già stata tracciata nell’esperienza di questi anni e significa: “meccanismi di rimborsabilità innovativi e sostenibili come, per esempio, il price volume utilizzato per l’Hcv dove il costo del farmaco decresce all’aumentare del numero di pazienti trattati, oppure, come nel caso delle terapie cellulari, sposando una logica di pagamento solo in caso di successo del trattamento”. Senza dimenticare la pluriennale esperienza di farmaci come quelli contro l’hiv che, per oltre il 90% dei casi – e stiamo parlando di oltre 17 milioni di persone nel mondo – sono stati concessi tramite licenza volontaria o a prezzi estremamente ridotti nei paesi con minori disponibilità economiche. Sempre per garantire la massima accessibilità possibile.

E sempre per restare nel campo dell’innovazione, c’è una considerazione finale che Confalone ha voluto condividere dopo due anni di lotta con il coronavirus. “L’importanza di investire, a tutti i livelli, nei sistemi sanitari, anche attraverso meccanismi di cooperazione tra pubblico e privato. Vale quando si parla di rinforzare la medicina territoriale, e le riforme sembra che vogliano andare in questa direzione, di riprendere i percorsi di diagnosi e trattamento per patologie che in questi anni di pandemia hanno sofferto, ma vale anche quando si parla di terapie avanzate”. Terapie dove eccellenza e accessibilità devono e dovranno sempre più andare di pari passo.

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