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La storia di Gazprom, il gigante dell’energia in mano agli uomini di fiducia di Putin

Ci sono molti modi per rendere l’idea di che cosa sia Gazprom in Russia. Si può partire dai 116,7 miliardi di dollari di fatturato, che ne fanno la prima azienda del Paese e la 47esima al mondo. Si può dire che il gruppo calcola di contribuire al Pil russo per più del 3% e dà lavoro a quasi mezzo milione di persone. Oppure che possiede 176.800 km di gasdotti, che le sue riserve di gas corrispondono al 70% di quelle di tutta la Russia e al 16% del totale globale. Si può scrivere che il gruppo è un’istituzione, in senso quasi letterale: è nato nel 1989, quando Gorbaciov decise di trasformare il ministero del Gas in un’industria. Oppure si può ricordare che il nome non è che una contrazione di Gazovaya Promyshlennost: semplicemente, “l’industria del gas”.

La cosa migliore, però, è forse partire dall’estate del 2000. Vladimir Putin, nel giugno di quell’anno, divenne il secondo presidente russo dopo Boris Eltsin. Una delle sue prime mosse fu proprio mettere due suoi uomini al vertice di Gazprom: il suo delfino, Dmitry Medvedev, e Aleksej Miller, con cui aveva lavorato a San Pietroburgo, all’inizio della sua carriera politica.

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Oggi di Gazprom si parla in funzione della guerra in Ucraina. E non solo perché il suo sito è tra quelli attaccati dagli hacker di Anonymous. Si teme infatti che Mosca possa rispondere alle sanzioni annunciate dall’Occidente con un taglio delle forniture di gas naturale, da cui dipende gran parte d’Europa. Un’eventualità che per ora Gazprom ha allontanato. “Forniamo gas russo attraverso il territorio ucraino come di consueto, in conformità con le richieste dei consumatori europei: 107,5 milioni di metri cubi al 27 febbraio”, ha affermato un portavoce alla Tass, l’agenzia di stampa ufficiale russa.

Che cos’è Gazprom (e chi la controlla)

Nel 1992 il presidente Eltsin nominò primo ministro proprio l’allora presidente di Gazprom, Viktor Chernomyrdin. Nello stesso anno iniziò la privatizzazione dell’azienda, nata come compagnia statale. Il processo, raccontato dall’economista Marshall Goldman in Petrostate: Putin, power and the New Russia (‘Petrostato: Putin, il potere e la Nuova Russia), ha portato la quota dello Stato a scendere poco al di sotto del 40%. Il 15% finì ai dipendenti di Gazprom, mentre un’altra parte del capitale fu privatizzata tramite voucher. Il processo fu comunque sottoposto a stretto controllo governativo: gli investitori stranieri non potevano possedere quote superiori al 9%.

Nel 2005, durante il secondo mandato di Putin, Rosneftgaz, una compagnia energetica di proprietà dello Stato, acquistò una quota del 10,7% di Gazprom da varie sussidiarie del gruppo. In questo modo, Mosca riprese il controllo del gruppo.

Oggi Alexey Miller è ancora amministratore delegato di Gazprom. Nel 2018 Miller si era detto “orgoglioso” di essere stato tra le persone sanzionate dagli Stati Uniti per l’interferenza russa nelle elezioni presidenziali americane del 2016. L’incarico di presidente di Gazprom è invece di Viktor Zubkov, primo ministro di Putin tra il 2007 e il 2008.

L’impero Gazprom

L’impero Gazprom va oggi molto al di là del settore del gas naturale. Nel 2001, per esempio, la compagnia ha acquistato Ntv, all’epoca l’unica televisione nazionale indipendente del Paese. Quattro anni più tardi ha sborsato 13 miliardi di dollari per acquistare la compagnia petrolifera Sibneft, rinominata poi Gazprom Neft, oggi terza azienda russa del settore. Tra le sue sussidiarie ci sono società di investimenti e Gazpromavia, una compagnia aerea che si occupa sia di trasporto passeggeri, sia di trasporto merci, in particolare per l’industria del petrolio e del gas.

Gazprom ha avuto inoltre un ruolo centrale nella politica russa che testate come il Guardian hanno definito sportswashing, ovvero l’uso dello sport per ripulire l’immagine del Paese e del suo governo. Solo nell’ultimo decennio, la Russia ha organizzato i Mondiali di calcio 2018 e le Olimpiadi invernali di Sochi 2014. Un’edizione macchiata peraltro dalle squalifiche per doping di molti atleti di casa, che hanno portato a parlare di doping di stato e all’esclusione dagli ultimi Giochi, in cui gli atleti russi hanno gareggiato sotto la bandiera del loro comitato olimpico.

Nel 2022 San Pietroburgo avrebbe dovuto ospitare la finale di Champions League, spostata da pochi giorni a Parigi. Proprio alla Champions è legato il marchio Gazprom, sponsor della manifestazione da dieci anni. Secondo i media inglesi, l’accordo potrebbe essere stracciato nei prossimi giorni, come già è accaduto a quello di sponsorizzazione dello Schalke 04.

Il gruppo è anche proprietario del 76% dello Zenit San Pietroburgo. Il marchio Gazprom è anche sulle maglie della Stella Rossa di Belgrado e su quelle di squadre di altri sport, come lo Zenit Kazan di pallavolo. Si è poi affacciato, tra l’altro, in Formula 1: in passato sulla Minardi, oggi sulla Haas, che ha eliminato lo sponsor in occasione dei test di Barcellona.

La questione del gas

Secondo i dati Eurostat relativi al 2020 e al primo semestre del 2021, più del 40% del gas naturale importato dall’Europa proviene dalla Russia. Una quota più che doppia rispetto a quella della Norvegia, secondo partner. È facile allora capire perché, in un momento in cui l’Occidente sta infliggendo sanzioni per l’invasione dell’Ucraina, molti temono che Putin replichi con un taglio delle forniture di gas.

“Se otterremo volumi aggiuntivi da paesi come Norvegia, Azerbaigian, Qatar e Stati Uniti, potremo pensare di reggere a una totale interruzione dei flussi di gas dalla Russia”, ha detto qualche settimana fa Kadri Simson, commissario europeo per l’energia. Esperti interpellati dalla National Public Radio statunitense si sono detti però scettici sulla possibilità di compensare del tutto un blocco totale.

La dipendenza dell’Europa dalla Russia

Il grado di dipendenza dal gas russo è in realtà molto diverso tra i paesi europei. Secondo i dati dell’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia, organo dell’Unione europea, paesi extra-Ue come Macedonia del Nord, Bosnia ed Erzegovina e Moldavia usano al 100% gas russo. Finlandia e Lettonia, stati membri, sono intorno al 90%. Tra le economie più grandi, la Francia è al 25%, l’Italia al 46%, la Germania al 49%.

Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, in un intervento al Bundestag ha spiegato che “i progetti per eliminare le centrali a carbone e per chiudere le centrali nucleari” hanno lasciato Berlino “con poche scelte” e hanno reso inevitabile appoggiarsi al gas naturale russo. Scholz ha promesso che il suo governo ridurrà la dipendenza da Mosca nei prossimi anni.

La posizione dell’Italia

L’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ha elaborato un indice ancora più accurato per valutare la vulnerabilità dei paesi europei a un possibile taglio delle forniture russe. L’Ispi tiene infatti conto anche del ruolo che il gas svolge nel mix energetico di un Paese. “Consideriamo la Finlandia: Helsinki importa tutto il gas utilizzato, e il 97% di questo gas viene dalla Russia”, si legge sul sito. “Ma, per produrre l’energia di cui ha bisogno, il Paese usa il gas solo per il 7%, affidandosi soprattutto a legname e nucleare: in questo modo si ‘svincola’ dalla dipendenza da Mosca”.

Dai calcoli dell’Ispi risulta che il Paese più esposto a eventuali tagli alle forniture sarebbe l’Ungheria, con un tasso di vulnerabilità del 31%. A seguire la Slovacchia (29%) e la Lettonia (28%). L’Italia, con il 19%, è settima in assoluto e prima tra i principali paesi Ue, davanti alla Germania (12%).

Anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha ammesso del resto la vulnerabilità italiana. Draghi ha parlato di “un’imprudenza” commessa negli ultimi decenni, in cui “si è scelto di non diversificare le fonti”.

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