Circa il 30% delle lavoratrici tra i 30 e i 50 anni ritiene che la propria posizione professionale non sia in linea con le proprie competenze. Il 36% non ritiene valorizzate le proprie competenze e oltre il 40% ritiene inadeguata la retribuzione.
Tutto questo emerge da un’analisi condotta da Ey per indagare la presenza e il ruolo delle donne all’interno delle aziende italiane.
Nelle imprese i ruoli dirigenziali continuano a parlare al maschile
“L’applicazione della legge Golfo-Mosca ha prodotto un incremento della quota delle donne negli organi di amministrazione delle società quotate, passata dal 7,4% del 2011 al 36,5% del 2019. La presenza negli organi di controllo è passata dal 6,5% al 38,8%. Tuttavia, non possiamo dare per realizzata la parità di genere nei vertici aziendali”, dice Stefania Radoccia, managing partner dell’area tax & law di EY in Italia. “È necessaria una transizione culturale che in altri Paesi europei è già avviata. Diversi studi documentano che le aziende con leadership femminile ricorrono meno al debito come fonte di finanziamento e hanno una maggiore possibilità di sopravvivenza rispetto a società simili gestite da leader uomini”.
La percezione generalizzata è che le caratteristiche di un buon leader non dipendano dal genere, anche se su
alcuni tratti emergono delle sfumature che sembrano attribuire maggiormente alle donne le competenze di inclusività e di motori del cambiamento e agli uomini autorevolezza e carisma.
Gender gap: a che punto sono le aziende italiane?
Dalla survey emerge inoltre che in oltre la metà delle imprese i ruoli dirigenziali continuano a parlare al maschile. E, anche laddove hanno acquisito ruoli dirigenziali, le donne si trovano a gestire un numero inferiore di risorse rispetto ai colleghi maschi.
Ma guai a dire che le donne non sarebbero interessate a fare carriera. Gli ostacoli principali rimangono quelli legati alla conciliazione tra lavoro e attività di cura (per il 46% delle lavoratrici) e la predominanza maschile nei ruoli chiave (per il 48% delle lavoratrici).
Sono ancora poche le aziende che si sono dotate di una reale struttura organizzativa per ridurre le differenze di genere. Nel 68% delle aziende non è presente una struttura che si occupi dell’inclusione delle donne. Solo il 21%, inoltre, ne prevede l’adozione nei prossimi anni.
L’obiettivo di raggiungere la parità di genere è ancora lontano
Per il 16% delle dirigenti donne intervistate sarà irraggiungibile, mentre per il 35% delle intervistate ci vorranno più di 10 anni.
Nel confronto tra dirigenti uomini e donne, il percepito appare spesso molto distante, con una differenza di oltre 20 punti percentuali quando si parla di effettiva equità nel trattamento di uomini e donne e della capacità dell’azienda di promuovere la formazione professionale delle donne. Solo per il 31% delle dirigenti donna e per il 39% dei dirigenti uomini nella propria azienda è previsto un piano per la parità di genere.
“Il 56% dei dirigenti intervistati non è a conoscenza della certificazione di parità, una delle misure che il Governo ha inserito nella missione 5 del PNRR. Questa certificazione, se ottenuta, prevede un esonero sui contributi previdenziali in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50mila euro annui”, prosegue Radoccia.
“Si tratta di un tema cruciale per la crescita del Paese, sul quale tuttavia non abbiamo registrato una grande attenzione: solo il 42% dei dirigenti conosce la misurazione dell’impatto di genere, che viene applicata nel 20% delle aziende degli intervistati”.
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