Vagit Alekperov oligarca
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Perché alcuni oligarchi russi non sono stati ancora sanzionati

Questo articolo di John Hyatt è apparso su Forbes.com

Un miliardario accusato di atti di violenza e riciclaggio di denaro, un ex vice primo ministro della Russia e un oligarca che ha acquistato una tenuta di Palm Beach da Donald Trump sono tra coloro che devono ancora essere colpiti dalle sanzioni

Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, 20 oligarchi sono stati colpiti dalle sanzioni degli Stati Uniti e dei loro alleati (prima dell’invasione erano solo 11). Nella lista ci sono Roman Abramovich e altri sei miliardari sanzionati dal Regno Unito giovedì.

Mentre la lista si allunga ogni giorno e la guerra contro l’Ucraina continua, molti si chiedono chi viene  sanzionato e chi no.

Prendiamo ad esempio Iskander Makhmudov, il proprietario del colosso russo dei metalli Ural Mining. Makhmudov è stato accusato insieme al suo partner commerciale, il già sanzionato Oleg Deripaska, di essere a capo di un “imponente sistema di racket”, che compie “aggressioni, frodi postali e telematiche e riciclaggio di denaro in America”, in una causa federale statunitense archiviata nel 2003. (Il caso è stato respinto per motivi di competenza. Makhmudov ha negato di avere commesso illeciti). Il magnate delle miniere è “molto vicino al Cremlino”, afferma Anders Åslund, economista ed esperto del mondo dei plutocrati russi.

Nonostante il suo curriculum, Makhmudov non è incluso nell’elenco dei sanzionati del dipartimento del Tesoro statunitense. È dunque uno dei molti oligarchi russi non ancora raggiunti (alla data del 10 marzo) dalle sanzioni di Stati Uniti, Regno Unito e Unione europea. Tra gli altri assenti illustri c’è il magnate dell’energia Leonid Mikhelson, che detiene partecipazioni sostanziose nel produttore di gas naturale Novatek e nella società petrolchimica Sibur assieme al suo partner commerciale, Gennady Timchenko, alleato chiave di Putin e tra i primi miliardari russi sanzionati dagli Stati Uniti nel 2014. C’è poi Vladimir Potanin, ex vice primo ministro della Russia tra l’agosto 1996 e il maggio 1997, quando Boris Yelstin era presidente. E ancora Dmitry Rybolovlev, proprietario del Monaco, noto a molti americani come l’oligarca che ha acquistato la Maison de L’Amitié, la villa sull’oceano di Donald Trump a Palm Beach, per 95 milioni di dollari nel 2008,  per poi rivenderla in seguito.

La distribuzione “a macchia di leopardo” delle sanzioni agli oligarchi russi da parte dei governi occidentali ha portato molti esperti e osservatori russi a farsi una domanda: In che modo i funzionari responsabili delle sanzioni decidono chi perseguire e chi risparmiare?

La risposta è: in base a un mix di considerazioni politiche, economiche e geostrategiche, elaborate da esperti di sanzioni, avvocati ed ex funzionari del dipartimento del Tesoro che hanno parlato con Forbes.

“Quelli che sono stati aggiunti alle liste dei sanzionati lo sono stati per particolari motivi politici”, afferma Adam Smith, ex consulente dell’ufficio di Controllo sulle proprietà estere del dipartimento del Tesoro statunitense durante la presidenza Obama. Alcuni oligarchi “sono più importanti di altri per ragioni politiche”.

Peter Stano, portavoce dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, si è rifiutato di commentare le deliberazioni sulle sanzioni dell’Ue e ha aggiunto: “Tutte le decisioni sull’imposizione di nuove sanzioni sono prese dagli stati membri in seno al Consiglio e solo con pieno consenso, ma nulla è fuori discussione”.

Un portavoce dell’Ufficio per gli Affari esteri, il Commonwealth e lo sviluppo del Regno Unito ha illustrato a Forbes le sanzioni comminate più di recente e ha dichiarato: “Il Regno Unito ha già sanzionato oltre 200 tra le più importanti persone, società e loro sussidiarie della Russia a partire dall’invasione. Oltre 500 di loro sono ora inclusi nella lista delle sanzioni del Regno Unito”.

Un portavoce del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti si è rifiutato di commentare.

Secondo gli esperti, le relazioni commerciali, i legami di investimento e i prezzi del mercato globale sono elementi cruciali nella politica delle sanzioni di un paese. Il predominio della Russia nelle esportazioni di petrolio, gas e materie prime ha collegato il destino dei produttori e delle imprese occidentali con quello delle imprese russe e dei loro proprietari – gli oligarchi. Gli oligarchi russi “possono essere criminali, ma non sono criminali senza risorse“, dice Richard Nephew, che ha lavorato alla politica di sanzioni contro l’Iran del dipartimento di Stato americano durante la presidenza Obama. “Gli oligarchi sono persone che hanno legami economici significativi, di cui si deve tenere conto. Questo non significa che non li si possa sanzionare, ma significa che bisogna pensarci e stare un po’ più attenti”.

I funzionari statunitensi che si occupano di sanzioni sanno bene che genere di equilibrismo sia necessario. Il dipartimento del Tesoro ha revocato a dicembre 2018 le sanzioni all’azienda metallifera Rusal di Oleg Deripaska e alla sua società madre En+, meno di un anno dopo averle imposte, dopo che le misure avevano causato un aumento dei prezzi dell’alluminio, apparentemente danneggiando gli alleati europei degli Stati Uniti. Washington ha affermato di avere allentato le sanzioni perché Deripaska aveva rinunciato alla proprietà delle società, ma Nephew dice che sono state le lobby europee e gli interessi commerciali a spingere il governo americano a un accordo. “Con Deripaska, abbiamo intrapreso questa azione e i prezzi globali dell’alluminio sono saliti alle stelle. A volte un provvedimento, che pure avrebbe totalmente senso e sarebbe giustificato dal punto di vista legale, può avere conseguenze economiche significative”.

Un possibile esempio nel contesto di oggi: l’Ue e il Regno Unito non hanno sanzionato Vagit Alekperov, il fondatore della compagnia petrolifera e del gas Lukoil. Alekperov è stato tra gli uomini d’affari russi convocati al Cremlino per un’udienza con Putin il mese scorso. Tuttavia, Alekperov e Lukoil, un’azienda privata che produce oltre il 2% del petrolio mondiale, sono noti per essere meno vicini a Putin di Igor Sechin, l’amministratore delegato della compagnia petrolifera statale Rosneft. Sechin è stato sanzionato dall’Ue il 27 febbraio e dal Regno Unito il 9 marzo.

Alekperov, che è “relativamente indipendente”, “non deve essere sanzionato” secondo Anders Åslund, che afferma che Alekperov e Lukoil sono alternative importanti a Sechin e Rosneft. “Igor Sechin vuole prendere il controllo di Lukoil”, dice Åslund. “Se Alekperov viene sanzionato, [allora] Sechin e Rosneft, di proprietà dello Stato, diventano padroni assoluti nel settore petrolifero”. L’Ue importa circa il 30% del suo petrolio dalla Russia.

L’analisi dei compromessi politici ed economici è fondamentale per il processo decisionale alla base delle sanzioni, come spiega Ari Redbord, un ex consulente dell’Unità antiterrorismo e informazione finanziaria del dipartimento del Tesoro statunitense. “Su ogni obiettivo si ragiona e si discute all’interno del dipartimento del Tesoro e anche del Consiglio di sicurezza nazionale. Non ci si chiede semplicemente se una persona deve essere sanzionata, ma anche quale sarà l’impatto delle sanzioni”.

Oltre alle considerazioni di natura economica, le autorità preposte alle sanzioni con ogni probabilità soppesano mentalità e motivazioni del presidente russo, Vladimir Putin, che, secondo quanto riferito da varie fonti, è sempre più isolato. L’impressionante raffica di sanzioni emesse da Stati Uniti e Unione europea potrebbe infatti fare parte di una strategia di escalation in cui “i bersagli più importanti vengono colpiti solo nell’eventualità che la condotta censurabile della Russia perduri o peggiori”, afferma Timothy Frye, professore di politica post-sovietica alla Columbia University.

L’idea guida di questa strategia è di mantenere sempre attivi strumenti di deterrenza: se le autorità dovessero sanzionare tutti gli oligarchi in un colpo solo, teoricamente potrebbero perdere del tutto la capacità di influenzare Putin. C’è poi un’altra questione, strettamente correlata, ed è quella della psicologia di Putin: sanzionare ogni oligarca potrebbe far sentire il presidente russo all’angolo, senza alcuna via di fuga o strategia di uscita dal suo militarismo sconsiderato, e questo rischierebbe di ispirare comportamenti ancora più sregolati e crudeli.

Un approccio strategico divide et impera potrebbe anche essere il motivo per cui ad alcuni “bersagli eccellenti” sono state finora state risparmiate le sanzioni: “Risparmiare le sanzioni ad alcuni oligarchi può generare diffidenza, poiché altri potrebbero chiedersi perché uno dei loro simili sia stato escluso dalla lista”, afferma Frye.

Alcuni osservatori russi non sono d’accordo con l’approccio frammentario dei governi occidentali sulle sanzioni agli oligarchi e sull’interpretazione della mentalità di Putin.

“Ci sono ancora alcuni che pensano che, se applichiamo determinate sanzioni, possiamo influenzare le decisioni di Putin, ma non è così”, afferma Daniel Vajdich, presidente di Yorktown Solutions, società di consulenza internazionale che lavora con il settore energetico ucraino dal 2017. Vajdich sostiene la necessità di sanzionare tutti gli oligarchi contemporaneamente: “Se vogliamo che queste persone facciano pressione sul Cremlino, dobbiamo far provare loro dolore”.

Anche se il potere di scegliere chi sanzionare e quando è nelle mani dei funzionari statali, ciò non impedisce agli oligarchi di cercare di togliere il proprio nome dalle liste. Le manifestazioni pubbliche di sottomissione e contrizione, sostiene Nephew, possono essere intese come segnali che gli oligarchi stanno prendendo le distanze da Putin, nel tentativo di non subire sanzioni o ulteriori punizioni. “Ritengo che, se qualcuno sceglie volontariamente di rinunciare alla propria posizione o ai propri beni, di questo si debba tenere conto nel decidere se comminare o meno sanzioni”.

Tali gesti e comportamenti possono far guadagnare tempo agli oligarchi per liquidare i beni e avvicinarsi alle potenze occidentali, ma possono anche ritorcersi contro di loro. Il 2 marzo, due giorni dopo che l’Ue ha sanzionato numerosi miliardari russi, imponendo divieti di viaggio e congelando i loro beni, yacht e jet, Roman Abramovich ha messo in vendita il suo amato Chelsea e diverse delle sue opulente case londinesi, giurando di donare i proventi della vendita del club alle vittime della guerra in Ucraina.

Il 9 marzo Nephew ha detto a Forbes che “se si scoprisse che Abramovich sta segretamente facendo questa o quell’altra cosa per aiutare Putin, la nostra reazione sarebbe di colpirlo con ancora più decisione e fermezza di quanto preventivato”. In meno di 24 ore questa ipotesi è diventata realtà. Il Regno Unito ha sanzionato Abramovich giovedì mattina, una settimana dopo che il Guardian ha scoperto e riferito che le donazioni che Abramovich sosteneva fossero per l’Ucraina potrebbero in realtà andare ai soldati russi e alle loro famiglie.

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