SpaceEconomy

Il ricatto “spaziale” della Russia e i 36 satelliti OneWeb che non sono stati lanciati

Oltre a ridisegnare gli equilibri geopolitici a livello globale, la cruenta invasione dell’Ucraina sta avendo un considerevole impatto negli scambi commerciali in tutti i settori. Le sanzioni, che i Paesi occidentali hanno adottato per colpire l’economia russa, stanno avendo ripercussioni anche su tutti noi. L’aumento del costo del gas e del petrolio (da pagare in valuta non meglio specificata) è una emergenza in tutta Europa, ma stanno scarseggiando materie prime necessarie all’industria elettronica e anche meno tecnologici prodotti agricoli come farina, soia e mais potrebbero presto non essere sufficienti (oltre al fatto che anche in questi casi i prezzi sono già saliti). La verità è che nessuno Stato è autosufficiente e, per scelta o semplicemente per convenienza economica, viene deciso di approvvigionarsi all’estero, diventando dipendenti da coloro che i beni li producono.  

Quello che abbiamo visto accadere nel mercato dei lanciatori, una nicchia di alta tecnologia e di grande rilevanza strategica, è emblematico: per rispondere alle sanzioni messe in atto dai Paesi occidentali, l’agenzia spaziale russa (la Roscosmos) ha deciso di richiamare il suo personale distaccato in Guyana Francese per sovrintendere ai lanci del razzo Sojuz commercializzato da ArianeSpace in base a un riuscito accordo strategico. In questo modo ArianeSpace poteva offrire i servizi del lanciatore medio Sojuz sia dalla base equatoriale di Kourou, sia dai cosmodromi russi di Bajkonur e di Vostočnyj.

Il richiamo del personale, con il conseguente stop ai lanci Sojuz da Kourou, è stato seguito dalla cancellazione del lancio di 36 satelliti OneWeb, già sulla rampa di lancio a Bajkonur. Dmitry Rogozin, capo di Roscosmos, aveva dichiarato che i satelliti sarebbero stati lanciati solo se il governo inglese, importante azionista di OneWeb, avesse rinunciato alla sua quota. Una condizione impossibile da soddisfare, tanto da spingere OneWeb ad annullare il lancio che, in ogni caso, Roscosmos non avrebbe fatto. 

4 marzo: il lanciatore Soyuz con 36 satelliti OneWeb viene riportato nell’hangar (credit ROSCOSMOS)

In quel momento è stato quindi messo in discussione il contratto tra ArianeSpace e OneWeb, che prevedeva la messa in orbita polare di 648 satelliti con 19 lanci Sojuz in parte da Kourou, in parte dalle due basi russe per un costo di circa 1 miliardo. All’epoca della firma, nel 2015, era il più grande contratto per lanci commerciali mai siglato.

Al momento della cancellazione, Roscosmos aveva effettuato 13 lanci (due da Kourou, cinque da Baikonur e sei da Vostočnyj) mettendo in orbita polare, a circa 1.200 chilometri di quota, 428 satelliti della costellazione OneWeb. Mancavano sei lanci (ciascuno di 34 o 36 satelliti) per completare l’opera.

A inizio marzo, OneWeb si è dunque trovata a cercare dei lanciatori per i suoi satelliti già costruiti tenendo conto che anche le strutture in grado di contenere (e poi rilasciare) 34 o 36 satelliti, pensate per il lanciatore Sojuz, sono già pronte.

Anche se la società non sembrava, sulle prime, intenzionata a rompere il contratto con ArianeSpace, si è dovuta presto rendere conto di quanto poco, al mercato dei lanciatori europei, rimanesse da offrire, visto che quasi tutti i lanci sono prenotati da tempo. 

Nonostante OneWeb abbia azionisti in India e Giappone, neppure quei Paesi hanno offerto alternative: troppo piccoli i razzi giapponesi, troppo grandi (oppure lontani nel tempo) quelli indiani.

Sapendo che il mercato cinese è intoccabile causa problemi di esportazione, si è quindi dovuto guardare ai lanciatori americani dove, però, gli Atlas 5 sono a loro volta tutti prenotati. Ultima possibilità? SpaceX, la quale, grazie al recupero di parte dei lanciatori, ha capacità e rapidità di lancio senza precedenti e può allocare lanci aggiuntivi rispetto al suo già impressionante calendario. 

Alcuni pensavano SpaceX non avrebbe accettato di lanciare i satelliti di una società che promette di offrire servizi internet dall’orbita, in linea di principio concorrenti alla costellazione Starlink.

Forse il fatto che le due società guardino a un diverso target ha funzionato, oppure la prospettiva di un lucroso business immediato è stata abbastanza convincente per SpaceX: tant’è, l’accordo è stato trovato. Non è dato sapere quanti lanci siano previsti né di che somma si parli. Di sicuro, il Falcon9 di SpaceX potrebbe lanciare più di 36 satelliti alla volta ed è possibile che, grazie alla loro straordinaria rapidità di risposta, i tecnici di Elon Musk pensino di riconfigurare l’adattatore. 

Curiosamente, non tutto il male viene per nuocere: usare il Falcon9 lanciato da Cape Canaveral risolverebbe diversi problemi logistici, visto che la fabbrica di OneWeb è nelle vicinanze, cosa che ridurrebbe le spese di trasporto. Il primo lancio è previsto entro fine anno .

Che morale possiamo trarre? Una società europea ha perso una consistente frazione di un contratto importante (che dovrà rimborsare) a tutto beneficio di un concorrente americano pronto a cogliere la palla al balzo, facendo anche la figura del magnanimo salvatore. C’è da rifletterci.

*Patrizia Caraveo è dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e lavora all’Istituto di astrofisica spaziale e fisica cosmica di Milano. Nel 2021 è stata insignita del premio Fermi. 

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