di Matteo Borgogno
Angelo Calculli è un entusiasta: a un mese dai suoi sessant’anni, sorride come un bambino ricordando la lunga serie di successi professionali che ha ottenuto nella sua vita, che messe insieme formano un cursus honorum senza pari. Le sue conquiste Calculli, originario di Matera, se le è prese seguendo una carriera dalla traiettoria ellittica, ma mai meno che brillante: dopo una vita da avvocato d’azienda è passato al cinema e alla musica, vincendo premi prestigiosi e animando la vita culturale della sua terra. Poi è arrivato l’incontro che gli ha cambiato l’esistenza: quello con Lauro De Marinis, meglio noto come Achille Lauro, con cui ha costruito un modello di management che fa invidia a tutto il Paese. Forbes gli ha chiesto di raccontare la sua storia unica.
La sua storia non inizia con la musica: da dove inizia, e perché?
Inizia con la mia principale attività, che per anni è stata quella di avvocato d’impresa. Per molti anni ho lavorato per grandi aziende italiane sia del mondo agro-industriale che del Food & Beverage, anche con un lungo trascorso in Florida dove ho collaborato come legale di aziende italiane e americane allo sviluppo di reti distributive, in particolare nella contea di Miami.
E poi?
Dopo la crisi dell’export del 2002, causata dalla forte valorizzazione dell’euro sul dollaro, la mia attività si è concentrata in italia e in particolare nel mondo delle grandi imprese del distretto del mobile imbottito di Puglia e Basilicata. Ho ideato e collaborato alla creazione di un software per la mappatura dei rischi aziendali che si chiama Risk Controller. Nel 2008 le aziende vertice del Distretto del mobile imbottito mi hanno nominato project leader della task force nata per contrastare la crisi di settore e nello stesso anno ho fatto parte del direttivo Api Matera, nella sezione Mobile imbottito. Una costante, però, nella mia vita c’è sempre stata: la forte passione per la musica e per il cinema.
Ecco, cosa l’ha spinta a passare al cinema e agli eventi culturali?
Al liceo con i compagni di classe avevamo creato una band. Io me la cavavo a suonare la chitarra, amavo Pino Daniele e mi vestivo come lui con una “scazzetta”, com’è detto in gergo il copricapo simil-clericale. Anche se abbiamo fatto una sola “data” in pubblico – nell’oratorio della chiesa S.S. Salvatore all’Immacolata grazie al nostro professore di filosofia, Vito Manfredi – e poi ci siamo resi conto che era meglio studiare, io quella passione l’ho sempre coltivata. Nonostante il duro lavoro da avvocato aziendalista ho fondato l’Officina del Jazz a Matera con l’aiuto del maestro Dino Plasmati e quello che guadagnavo dalla professione lo spendevo per organizzare eventi a Matera, portando nella mia città nomi illustri come Gegè Telesforo, Stanley Jordan, Ray Gelato, Rosa Emilia Dias, Rosalia De Sosa e molti altri.
Nel 2011 ho iniziato una collaborazione con il Ueffilo Jazz Club di Gioia del Colle, divenendone poi socio di maggioranza e direttore artistico nel 2012. Dal Ueffilo sono passati artisti di fama mondiale del calibro di Brian Blade, Joey De Francesco, James Taylor Quartet, Pat Martino, Diego Amador, Kenny Garret, Tok Tok, Tommy Emmanuel e Irio De Paula. Molti artisti italiani hanno calcato il palcoscenico del Ueffilo e alcuni hanno lasciato il segno: Lina Sastri per il suo unico fuori teatro e Franco Califano per il suo ultimo live, pochi giorni prima della sua morte. Voglio anche ricordare il mio fraterno amico Guido Lembo della taverna Anema e Core di Capri, che durante la stagione invernale veniva a cantare al Ueffilo.
Ma lei ha avuto a che fare anche col cinema.
Nel frangente sono stato coinvolto nella produzione di un cortometraggio la cui sceneggiatura mi colpì moltissimo. Ebbi la fortuna di poter coinvolgere l’amico Sergio Rubini e ne venne fuori un lavoro eccezionale: Sassiwood, una parodia sulla film commission lucana che fu premiato con il Globo d’oro nel 2014. Ne vado particolarmente fiero poichè le musiche furono scritte da mio figlio Gregorio, giovanissimo direttore d’orchestra laureatosi al Santa Cecilia a Roma, compositore di molte musiche dei film che ho scritto e prodotto ed oggi componente del team Achille Lauro oltre che direttore delle sue ultime due performance a Sanremo. Ho prodotto diversi cortometraggi di successo nel circuito festivaliero e ho co-prodotto anche interessanti lungometraggi tra i quali voglio ricordare “L’Esigenza di unirmi ogni volta con te” con Marco Bocci e Claudia Gerini con la regia dello scomparso Tonino Zangardi e “L’Eroe” con Salvatore Esposito e Cristina Donadio.
Come avviene l’incontro con Achille Lauro, e cosa ricorda di aver pensato quando l’ha conosciuto?
L’incontro con Lauro è avvenuto per puro caso. Avevo scritto un film sul caso Claps, dal titolo “Applausi”; non avevo idea di come far conoscere ai giovani del 2017 una storia degli anni ‘90. Avevo pensato insieme a Paolo Sassanelli che il miglior modo fosse quello di utilizzare i moderni cantastorie: i rapper. Dopo una selezione ho incontrato Lauro. Non è stato subito la mia scelta, devo dire. Il merito va al mio più piccolo dei miei figli, all’epoca 14enne, fan di Lauro, che mi ha convinto a sceglierlo. Ci aveva visto bene. Il colpo di fulmine è scattato quando l’ho visto in camera da presa: Lauro è magnetico e buca lo schermo. La sera dopo le riprese ho approfondito la sua conoscenza più dal punto di vista umano che artistico. L’ho invitato a trascorrere qualche giorno con me a Monte Carlo, e lui mi ha chiesto alcuni consigli da avvocato, più che altro. Il prosieguo è una lunga storia fatta di reciproci sacrifici, di scelte di vita (a partire dalla mia di abbandonare tutto e tutti e seguirlo), di grandi litigate e grandi riconciliazioni, di diversità di vedute e poi condivisioni. Ancora oggi è così.
Una bella storia, insomma.
La mia storia con Lauro merita di essere raccontata in un libro, progetto che ho avviato e spero possa vedere la luce quando non lavorerò più per lui: pubblicarlo oggi potrebbe apparire strumentale.
Una cosa è certa, e potete scriverla a caratteri cubitali: io voglio bene a Lauro De Marinis molto più che ad Achille Lauro; con quest’ultimo non sempre vado d’accordo perchè la sua irrazionalità fa a botte con la mia razionalità e la differenza di età e l’esperienza a volte mi porta a fargli un po’ da padre. Ed è un errore: in fondo sono solo il suo manager, nulla di più che un uomo al suo servizio.
Qual è il modello della vostra società MK3, e in quali settori di business opera?
MK3 è il primo modello di network associativo nel mondo della musica. La società inizialmente aveva lo scopo di gestire le attività di Achille Lauro e di selezionare e produrre giovani talenti. Poi ho avuto l’intuito e la visione di aggregare all’interno della società le migliori figure che potessero contribuire alla crescita e allo sviluppo di artisti emergenti, ciascuno mettendo a disposizione le proprie competenze professionali. Personalmente godo di buoni rapporti, ho investito sulla mia vita solo curando buone relazioni per anni, quindi ho chiamato a raccolta leader dell’editoria, del mondo della tv e dell’entertainement, del mondo della notte, degli eventi live, della discografia e oggi del metaverso. Oggi, oltre ad Achille Lauro, gestiamo artisti del calibro di Malika Ayane, Federico Rossi, Nahaze, Elenoir ed emergenti che presto faranno parlare di se stessi nella scena musicale italiana. Oggi MK3, che di fatto ha solo un anno e mezzo di vita, si è affidata a Pwc in qualità di advisor per essere accompagnata al mondo degli investitori al fine di potenziare la struttura fino al punto di farla diventare leader di mercato. MK3 vuole assumere nel music business il ruolo di generatore di crescita e successo per nuove leve della musica pop/urban italiana, integrando e mettendo in campo l’esperienza dei propri partner.
La musica oggi è un insieme di “esperienze” che si intersecano tra loro e sono strettamente collegate: digital, metaverso, fashion, entertainment, tv, live, endorsement e placement, charity, giusto per citarne le principali. Un management di qualità deve essere in grado di integrare tutto ciò, perché un buon manager deve avere una visione d’insieme.
5Come fa oggi una società di management a essere sostenibile finanziariamente e ad affermarsi?
Noi fondamentalmente operiamo nel terziario. Non costruiamo missili nucleari. Ma io vengo dalla grande industria e ho comunque una mentalità organizzativa di tipo industriale: nel salotto si sta attenti anche alle economie sui chiodini e le rondelle, e gli si presta la stessa attenzione che si presta ai meccanismi di movimento. Questo spesso non è ben recepito dagli artisti, specie quelli contemporanei che non si rendono conto di essere oggetto di consumo al pari di milioni di altri prodotti. Non mi vergogno nell’affermare che la musica oggi è meno arte e più business. Purtroppo il consumismo, o largo consumo, ha colpito anche questo settore, accelerando i tempi di fruizione anche mediante il sistema di ascolto in digitale. Non esisteranno più i Lucio Battisti, i De Gregori, i Guccini o i De Andrè, e nemmeno i Vasco Rossi. La musica sembra essere diventata come il calcio: parti a 18 anni e a 35 (a dir tanto) sei a fine carriera. Per l’amor del cielo, ci sono casi che smentiscono questo mio assunto ma sono mosche bianche, perle rare e soprattutto non seguite dalla massa. Io ho la tendenza a esaminare i dati, a leggere le statistiche. A 60 anni sono consapevole che il mondo è governato dai numeri, e che i numeri hanno sempre ragione e non mentono mai.
Come arriva il successo?
Per affermarsi bisogna essere leali, professionali e credibili. Il music business, specie nel mondo urban, è pieno di ciarlatani e venditori di fumo; gente che anziché costruire carriere le distrugge. Io sono un sostenitore del fatto che un professionista si valuta per il percorso di studi che ha fatto, l’esperienza che ha acquisito e i risultati che ha ottenuto. Spesso la qualifica di “manager” è impropriamente utilizzata. Un manager vero prescinde dal settore in cui è chiamato a svolgere il proprio compito proprio perché ha un bagaglio di studi e competenze che gli consentono di aver maturato un metodo di lavoro replicabile nei diversi settori. La componente artistica, è chiaro, compete all’artista, ma la guida di un progetto è fondamentale per raggiungere il successo. La storia ci ha regalato una casistica in cui grandi artisti mal guidati hanno riscosso successo solo dopo la morte. Ho avuto modo di incontrare e conoscere molti che posso definire certamente validi colleghi in questo settore, da Shablo, Max Brigante, Fabrizio Ferraguzzo, Jacopo Pesce, Marta Donà, Paola Zukar, Stefano Settepani, eccetera; molti altri sono solo improvvisati senza alcuna competenza. Finanziariamente allargheremo l’azionariato a investitori esterni/fondi di private equity per sostenere una crescita programmata con obiettivi molto ambiziosi. Sicuramente procederemo ad acquisire aziende di settore.
Qual è la prossima svolta nella vita di Angelo Calculli? Come si immagina i prossimi 5 o 10 anni?
Voglio realizzare questo sogno e sono sincero, lo voglio per me e per gli artisti, e spero che MK3 riuscirà a lavorare nel modo più serio e professionale che si possa fare. Sogno una musica in cui l’ostentazione dell’uso delle droghe pesanti non diventi l’unica modalità per avere successo. Gli anni ‘70 hanno insegnato tanto alla mia generazione; molti usavano droghe, allucinogeni, lsd. Nessuno ne ostentava l’uso e neppure lo promuoveva. In massimo 5 anni voglio aver realizzato il progetto MK3 e poi vorrei tornarmene in Puglia a vivere gli ultimi anni di vità in campagna, tra ulivi e animali che amo. Magari sarò diventato nonno. Magari potrei farlo anche prima. Faccio le cose finchè mi piacciono e mi gratificano: non ho mai pensato ai soldi ma alla gratificazione personale data dal conseguire risultati che mi stanno a cuore.
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