Paolo Scaroni
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Mani Pulite, il processo Eni-Nigeria, la vicinanza a Draghi e Berlusconi: la vita in discesa di Paolo Scaroni

“In un paese in cui gli affari e il governo erano così strettamente intrecciati, dove le istituzioni erano controllate dai politici, era possibile comportarsi in modo diverso? La risposta semplice è: no, non era possibile”. Era il 2002 quando Paolo Scaroni scelse il Financial Times per giustificare il suo comportamento che il 14 luglio di dieci anni prima aveva portato al suo arresto da parte del pool dei giudici milanesi di Mani Pulite. L’accusa era di avere versato tangenti ai partiti per ottenere appalti dall’Enel in qualità di amministratore delegato della Techint, il gruppo di engineering di proprietà della dinastia dei Rocca, nella persona dei due fratelli Gianfelice e Paolo. Nel 1996 Scaroni patteggiò con i magistrati un anno e quattro mesi, sotto la soglia che lo avrebbe portato in carcere.

La storia di Paolo Scaroni

Da quell’arresto sono passati tre decenni e Scaroni, nato a Vicenza nel novembre del 1946, rientrò in Italia dopo un periodo londinese post-Tangentopoli. Il governo Berlusconi lo nominò prima amministratore delegato di Enel (2002), poi dell’Eni (2005). Oggi sembra conoscere, a quasi 76 anni, una seconda giovinezza, dimostrandosi uno dei pochissimi manager (con l’eccezione di Franco Bernabè) che ha attraversato (quasi) indenne la prima, la seconda e la terza Repubblica, forte di una serie di relazioni vicine ad alcuni centri di potere. Scaroni, del resto, ha sempre avuto ottime relazioni: è cugino di Margherita Boniver, ex ministro socialista, è stato amico dei defunti Massimo Pini (già uomo di Bettino Craxi all’Iri e poi consigliere economico di An) e Gianni De Michelis (l’ex ‘doge’ del Psi) e ha coltivato un lungo legame con il faccendiere romano Luigi Bisignani, già andreottiano doc.

La sua nuova primavera è iniziata a luglio scorso, quando è stato definitivamente assolto – assieme ad altri, fra cui Claudio Descalzi, attuale numero uno del gigante petrolifero italiano – nel processo milanese Eni-Nigeria, quello sulla presunta tangente da 1,092 miliardi di dollari che sarebbe stata versata da Eni per aggiudicarsi la concessione da parte del governo del Paese africano dei diritti di esplorazione sul blocco Opl245. Il sostituto pg di Milano Celestina Gravina ha infatti rinunciato ai motivi d’appello nel processo di secondo grado nei confronti di Descalzi, Scaroni e altri 13 imputati e ciò ha comportato la conferma dell’assoluzione di primo grado che è diventata definitiva, senza che nessuno possa sapere se quella tangente fu mai pagata, a chi e da chi. Ma tanto è bastato e così non c’è, da allora, partita importante che non riguardi Scaroni. Come dimostra il suo ruolo da suggeritore dietro le quinte (forte anche del suo incarico come vicepresidente della banca d’affari Rothschild) nella scelta a sorpresa del governo di Mario Draghi della cordata composta dalle compagnie aeree Delta e Air France-Klm e dal fondo americano Certares (di cui managing director è il figlio di Salvatore Sardo, che lavorò a lungo con Scaroni in Eni) per il negoziato in esclusiva riguardante la cessione di Ita Airways (la ex Alitalia), battendo al fotofinish la cordata favorita della compagnia aeree tedesca Lufthansa e del gigante crocieristico Msc di Gianluigi Aponte.

Tra Tim e le Olimpiadi

Scaroni ora, dopo aver bocciato il tetto al prezzo del gas (e non a caso, perché quando guidò l’Eni consolidò la nostra dipendenza energetica dalla Russia), guarda alle telecomunicazioni e alla presidenza di Tim. L’amministratore delegato di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, ha infatti individuato nell’ex ad di Eni ed Enel il candidato giusto per la presidenza, forse giocando anche sulla vicinanza di Scaroni a Draghi. Così il manager ha cominciato a muoversi per ottenere anche l’appoggio di Cassa Depositi e Prestiti, il secondo grande azionista del gruppo tlc.

L’operazione, però, non sembra quadrare, e così Draghi avrebbe proposto a Scaroni di diventare amministratore delegato di Milano-Cortina 2026. Un progetto che ben si sposerebbe con la consuetudine del manager di passare il tempo libero sulle montagne ampezzane. L’unica condizione posta da Scaroni per accettare l’incarico (che è stato di Vincenzo Novari) è quella di non dimettersi da presidente del Milan, perché si dice che il manager abbia una success fee calcolata sulla costruzione del nuovo stadio di Milano. Non per altro, quello che i milanisti hanno simpaticamente ribattezzato ‘Stadioni’ ha dedicato la maggior parte del proprio mandato a cercare di mettere d’accordo il sindaco Giuseppe Sala e l’Inter per fare il nuovo San Siro, per ora senza successo. “Io”, disse Scaroni vent’anni fa al quotidiano britannico, “ho pedalato in discesa tutta la vita”. Visto quello che gli successe 30 anni fa e dov’è arrivato oggi, c’è da credergli.  

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